Professor Cavalieri, il suo team di ricerca ha da poco pubblicato su riviste prestigiose i risultati di una ricerca che mette in relazione lieviti, vespe e vinificazione. Ci può spiegare di che cosa si tratta?
“Abbiamo sempre pensato che i lieviti, i microrganismi che ci permettono di produrre vino e birra, fossero presenti solo nelle cantine. E' infatti difficilissimo trovarli in ambienti naturali, come le vigne, soprattutto da quando utilizziamo antifungini e insetticidi”.
Voi avete dimostrato il contrario?
“Il team che ho coordinato, che ha visto collaborare ricercatori dell'Università di Firenze, della Fondazione Edmund Mach di Trento, dell’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e dell’Institut Pasteur di Montevideo, ha rilevato che i lieviti si trovano in vigna sugli acini rotti. Ci siamo dunque chiesti quale fosse l'elemento che trasportava i lieviti su tali acini e abbiamo scoperto che si tattava di vespe e calabroni”.
Vespe e calabroni diffondo inconsapevolmente i lieviti utili alla vinificazione?
“Abbiamo dimostrato che non solo il calabrone diffonde i lieviti, ma che è anche una riserva di questi microrganismi. All'interno dell'intestino delle vespe e dei calabroni i lieviti chiudono il ciclo vitale riproducendosi. Si incrociano non solo tra individui della stessa specie ma anche di specie diverse”.
Quali vantaggi possiamo trarre da questa scoperta?
“Le vespe proteggono la biodiversità dei lieviti e la arricchiscono con nuovi ceppi, potenzialmente più resistenti ai cambiamenti. Non dimentichiamoci che la vigna non è un ambiente statico: i mutamenti climatici stanno modificando la temperatura di fermentazione, la maturazione delle uve e le tipologie di insetti presenti nei campi. Senza contare il cambiamento apportato dall'uomo, anche con la chimica”.
Quali sono le opportunità per gli agricoltori?
“Nelle nostre cantine si impiega un numero limitato di lieviti selezionati. L'individuazione di nuovi ceppi, nati dall'incrocio di lieviti all'interno dell'intestino delle vespe, può offrire opportunità da un punto di vista aromatico e di resistenza agli stress di fermentazione. Insomma, a fare vini diversi e tipici, che rappresentano un territorio”.
Perché è così importante puntare sulla tipicità?
“Sarebbe sbagliato puntare a fare del vino la Coca cola, qualcosa di standardizzato. Il nostro punto forte è la tipicità e la qualità. Vini che si distinguono per le loro caratteristiche. Per questo dobbiamo lavorare per introdurre in cantina lieviti nuovi, migliori. Per anni abbiamo incrociato le vacche perseguendo il miglioramento genetico. E' giunto il momento che lo si faccia anche per i microrganismi”.
Come si fa, operativamente, a trasferire questi lieviti dalle vespe alla cantina?
“Dobbiamo guardare all'interno degli insetti per studiare i microorganismi presenti e individuare quelli più promettenti dal punto di vista enologico, da 'coltivare'. Una grande opportunità può venire dal recupero dei lieviti antichi”.
In che senso antichi?
“Dal 1980 l'Italia ha importato lieviti dalla Regione francese del Bordolese, lieviti di ottima qualità, selezionati e venduti industrialmente. Questi però sono andati ad intaccare le tipicità italiane, omologando il prodotto. Per riscoprire i lieviti autoctoni italiani abbiamo lanciato il progetto Montecristo, che va a studiare i ceppi presenti nell'intestino delle vespe che vivono nell'arcipelago toscano, non interessato da queste importazioni”.