Complice la riduzione delle superfici coltivate (-2% sul 2012) e la diffusione della batteriosi, i raccolti di kiwi in Italia quest'anno saranno del 16% inferiori rispetto alla media del triennio 2008-2011, per un totale di 420.551 tonnellate. La produzione 2013, tuttavia, sarà superiore rispetto alla scorsa stagione (+5%), caratterizzata da gelate che avevano compromesso soprattutto le coltivazioni in Piemonte, e garantirà un frutto di buona qualità, con calibri più elevati rispetto al 2012 che fanno prevedere una produzione commercializzabile prossima alle 403 mila tonnellate (+7% sul 2012).
Le stime previsionali per la prossima campagna del kiwi sono state illustrate ieri dal direttore del Cso, Elisa Macchi, nel corso del Summit internazionale "Il Mondo del Kiwi fra emergenza e mercato: le eccellenze si confrontano", anteprima di Macfrut (Fiera Cesena, 25/27 settembre 2013).
"In Italia – ha dichiarato Macchisono stati stimati complessivamente circa 25 mila ettari in piena produzione (età media superiore di 2 anni) coltivati a kiwi, pari al -2% sul 2012, con cali di potenzialità produttiva in tutte le principali regioni di coltivazione: Piemonte (98.300 tonnellate), Veneto (70.111 tonnellate) , Emilia Romagna (70.484 tonnellate) e Lazio (128.343 tonnellate)". 

A livello europeo la situazione produttiva non si prospetta molto diversa da quella della passata stagione: la produzione commercializzabile dovrebbe infatti raggiungere 582.000 tonnellate, rispetto alle 579.963 del 2012, con cali significativi per l'offerta greca (-15%, 93.500 tonnellate) e francese (-13%, 55.000 tonnellate). "In questo ambito - ha proseguito il direttore del Cso - va sottolineato il risultato negativo della Grecia, un Paese che notoriamente esercita una rilevante concorrenza alle produzioni italiane. Da questi dati previsionali non si evidenziano criticità legate all'eccesso di  offerta. Possiamo quindi sperare in una stagione commerciale soddisfacente".

Secondo le indicazioni del Cso, quest'anno le conseguenze sulle rese della batteriosi sono state meno negative delle attese. La difesa e la prevenzione della Psa hanno naturalmente un costo importante che, tuttavia, può essere in parte compensato dai buoni risultati conseguenti alle tecniche adottate. "Produrre kiwi – ha rimarcato Macchi - costa all'incirca 0,45 euro/kg di costi vivi a seconda delle aree territoriali. Se aggiungiamo i costi indiretti e i costi figurativi, il costo totale di produzione arriva  sui 60 centesimi di euro al kg. Le tecniche di prevenzione e difesa necessarie a contrastare la malattia elevano il costo di qualche centesimo di euro al kg, ma le conseguenze di una mancata prevenzione - conclude  il direttore del CSO - graverebbero sui costi in misura molto superiore". 


Elisa Macchi, direttore del Cso
 
Circa il 70-80% della produzione italiana di kiwi viene diretta ai mercati esteri, con le esportazioni che hanno raggiunto le 350 mila tonnellate nel 2012. Illustrando la relazione "I nuovi mercati: numeri, tendenze e barriere", il presidente di FruitimpreseMarco Salvi, ha offerto il quadro attuale della situazione sui mercati esteri: "Il 70% dell'export italiano di kiwi è indirizzato verso 10 Paesi (Germania, Spagna, Francia, Usa, Polonia, Olanda, Regno Unito, Russia, Belgio e Brasile), ma le destinazioni sono progressivamente aumentate negli ultimi dieci anni, fino a coprire oltre 80 Paesi nel mondo".

Salvi ha inoltre evidenziato l'importanza di aprire nuovi mercati attualmente chiusi per via delle barriere fitosanitarie, considerate spesso una forma di protezionismo da parte di alcuni Paesi, come Giappone, Messico, Vietnam e Israele. Fra le notizie interessanti, il calo della produzione degli Stati Uniti registrato quest'anno, che potrebbe far sperare in maggiori esportazioni verso il mercato statunitense.
"Di certo – prosegue il presidente di Fruitimprese – l'Italia deve rimanere leader produttivo dimostrando risultati importanti. Per crescere bisogna fare sistema, puntare molto sulla qualità, combattere le raccolte precoci e, soprattutto, collaborare con le istituzioni per aprire nuovi mercati".

Durante il Summit internazionale si è svolta anche la tavola rotonda sulla situazione italiana della batteriosi, alla quale hanno preso parte esperti dei servizi fitosanitari delle regioni Emilia Romagna (Alberto Contessi), Veneto (Tiziano Visigalli), Piemonte (Giacomo Michelatti) e Lazio (Luciano Nuccitelli), oltre a responsabili del Cra di Roma (Guido Cipriani) e di Caserta (Mario Scortichini), il coordinatore del coordinamento del CReSo (Graziano Vittone) e Raffaele Testolin, docente dell'Università di Udine, moderati da Roberto Della Casa dell'Università di Bologna.
In base ai dati forniti dagli esperti dei servizi fitosanitari, è emersa una significativa diffusione della batteriosi con punte del 70% degli impianti colpiti in Veneto (64 ettari in fase di estirpo) e addirittura del 100% nel Lazio (1.000 ettari, anche se la propagazione nel 2013 risulta in calo), mentre in Piemonte (80 ettari) e in Emilia Romagna (100 ettari) il contagio si assesta sul 50%.

Il prof. Testolin ha presentato i tre principali progetti in atto in Italia per l'analisi della malattia che appare più insidiosa nei casi in cui il batterio si è già insediato all'interno della pianta. Al di là di tutto lo sforzo che si sta facendo, spiega Testolin, "occorre il dovuto tempo per capire come è mutato il batterio per comprendere come debellarlo". E' infatti "molto difficile riuscire a trovare risposte in tempi brevi, anche se generalmente situazioni di questo genere – sottolinea Testolin - vengono sempre risolte".  

Scortichini (Cra Caserta) ha in seguito sottolineato come l'adozione di una serie di pratiche colturali di prevenzione siano strategiche per limitare lo sviluppo della malattia.
"Per quanto riguarda la difesa delle coltivazioni - ha aggiunto Graziano Vittone (Creso) - i prodotti che hanno dato le risposte migliori a livello sperimentale riguardano due gruppi: i rameici e l'acibenzolar. Portati in pieno campo, i risultati non sono stati però risolutivi".
Guido Cipriani (Cra Roma) ha invece trattato il tema della ricerca, sottolineando che sono state trovate "due selezioni che mostrano livelli differenziali di tolleranza alla Psa". Se queste due prove daranno ora buoni risultati anche sul piano delle caratteristiche del frutto per gli aspetti commerciali, si potrebbe arrivare in pochi anni alla loro utilizzazione in campo. Viceversa, si dovrà attendere "non meno di una decina d'anni".

"La soluzione ad un problema complesso come quello della batteriosi richiede un intervento sinergico tra pubblico, privato e istituzioni", ha posto l'accento Bruno Faraglia, capo dell'Ufficio Produzioni vegetali del Mipaaf -. A livello comunitario, in particolare, stiamo lavorando all'ipotesi di inserire l'actinidia tra le piante che in Italia possono avvalersi della certificazione volontaria. Questo potrà servire per portare il tema della propagazione della batteriosi sui tavoli di Bruxelles".

Nel pomeriggio confronto internazionale, moderato da Alessandro Fornari di Kiwifruit of Italy, fra esperti provenienti dalla Nuova Zelanda (Joel Vanneste dell'Institute of Plant & Food Research), dalla Cina (Caihong Zhong del Wuhan Botanical Garden) e dal Cile (Carlos Cruzat del Comité del Kiwi – Asoex).



Alessandro Fornari di Kiwifruit of Italy

Vanneste ha posto l'accento sull'importanza di mettere insieme le forze per combattere la batteriosi, che in Nuova Zelanda è oggi presente in 10.388 ettari, pari al 75% della superficie nazionale coltivata a kiwi. Le principali speranze  del Paese dell'Emisfero sud sono riposte nella nuova cultivar G3 e si sta addirittura lavorando per "portare la produzione di kiwi in serra".  

Zhong ha evidenziato gli studi e le tecniche per il miglioramento genetico delle numerose varietà presenti in Cina. Le cultivar di actinidia del futuro – secondo Zhong - dovrebbero presentare le seguenti caratteristiche: alta conservabilità a 0-2°C per 7 mesi;  elevate qualità organolettica e salutistiche  (gusto delizioso, aumento del contenuto di vitamina C e antiossidanti); buccia completamente edibile, resistenza alla batteriosi del kiwi (PSA).  

Cruzat ha invece sottolineato l'importanza della bontà del prodotto e del connubio fondamentale fra ricerca, sistema di produzione e commercializzazione del prodotto. La creazione del Comité del Kiwi in seno ad Aosex, rappresenta la risposta degli esportatori cileni all'esigenza di assicurarsi che i frutti abbiano caratteristiche ottimali al consumo e garantiscano la soddisfazione del cliente e dei consumatori, elevando l'immagine del kiwi cileno. "A livello globale – ha spiegato Cruzat - dobbiamo offrire un frutto eccellente dal punto di vista qualitativo, delizioso e maturo al consumo. Il consumatore deve riuscire a cambiare mentalità e deve iniziare a sentire l'esigenza di acquistare kiwi. Sono certo che si possa collaborare con l'Italia per riuscire ad entrare in alcuni mercati esteri, allo scopo di fare del kiwi una categoria". 

Le conclusioni sono state affidate a Paolo Bruni, presidente del Cso, che ha elogiato la sinergia con Macfrut e ha evidenziato come il kiwi sia un "autentico ambasciatore dell'ortofrutta made in Italy nel mondo". Il vero "ambasciatore" dell'ortofrutta, ma in modo particolare del kiwi, è l'internazionalizzazione e, in tal senso, l'esportazione di questo prodotto può fare da traino per la commercializzazione di altri tipi di frutta e verdura.