A dirlo è l'Istat, che ne suo rapporto annuale 2013 scatta la fotografia di un Paese sfiduciato e in difficoltà, alle prese con il quinto anno di crisi.
Il rapporto ha approfondito in particolare come negli ultimi cinque anni le famiglie italiane abbiano modificato, anche radicalmente, le proprie abitudini di consumo. Colpa del diminuito potere d'acquisto, dell'aumento della pressione fiscale e della disoccupazione sempre più diffusa. In particolare "per far fronte alle difficoltà economiche - ha detto il direttore generale dell'Istat Maria Carone, durante la presentazione del rapporto - le famiglie riducono la quantità o la qualità dei prodotti alimentari acquistati".
Un comportamento diventato particolarmente frequente nell’ultimo anno, al punto da coinvolgere ormai il 62,3% delle famiglie, con un aumento di quasi nove punti percentuali nell’arco di soli dodici mesi.
Nel rapporto si legge che la punta massima del fenomeno si è verificata nel Mezzogiorno (al 73%), ma in termini incrementali si sono avute variazioni anche più ampie al Nord, dove il salto è stato di quasi 10 punti percentuali, e al Centro. Aumenta, inoltre, di circa due punti percentuali la quota di famiglie che acquistano generi alimentari presso gli hard discount, soprattutto nel Nord.
Sul fronte dei prezzi, il rapporto rileva che "per tutto il 2012, poco più della metà dell’inflazione è stata determinata dagli andamenti dei prezzi delle voci energetiche e dei prodotti alimentari (trasformati e non) che, nel loro insieme, pesano circa il 25% sull’indice dei prezzi al consumo". I prezzi dei beni alimentari hanno segnato una crescita analoga a quella del 2011, ma con andamenti divergenti delle due componenti, trasformati e non. Per gli alimentari trasformati, dopo i rincari del 2011 imputabili agli aumenti dei corsi internazionali degli input di base, ha preso avvio il processo di rientro, osserva l'Istat, mentre per la componente non lavorata nel corso dell’estate sono emerse tensioni sui prezzi, dovute essenzialmente a fattori climatici, che hanno determinato una fase di forti rialzi.
Secondo un'elaborazione di Coldiretti sui dati Ismea Gfk-Eurisko, la spesa dei prodotti alimentari nel primo trimestre del 2013 si è contratta del 2,3% su base annua: un calo particolarmente sensibile per prodotti ittici (-10,2%), pasta di semola, (-10%), riso (-8%) bevande alcoliche e analcoliche (-4,4%, esclusi vini), ortofrutta (-3,6%), derivati dei cereali (-3,1%), prodotti lattiero-caseari (-2%), oli e i grassi vegetali (-1,7%).
"Il quadro che viene fuori dal rapporto annuale è desolante, con gli italiani ormai 'in trincea' che si comportano come ai tempi di guerra". Questo il cupo commento della Cia - Confederazione italiana agricoltori davanti ai dati presentati dall'Istituto nazionale di statistica.
"Se non si prenderanno presto misure a sostegno delle famiglie e dell'occupazione, soprattutto giovanile, ma si procederà con provvedimenti come l'aumento dell'Iva al 22%, la situazione non potrà che peggiorare ancora" osserva la Cia. Secondo la Confederazione la situazione è già allarmante: è quasi raddoppiata (dal 6,7% al 12,3%) la quota di italiani che non può più permettersi di mangiare carne o pesce ogni due giorni e, dato ancora più preoccupante, negli ultimi dodici mesi sono aumentati del 9% gli italiani costretti a rivolgersi agli enti caritativi per un pasto gratuito o un pacco alimentare.
Cresce anche il numero di famiglie che fa la spesa in discount e hard-discount: è arrivato a 13,8 milioni, il 62%.
A cambiare è dunque anche la percezione del valore del cibo: se fino a qualche anno fa il cibo non era messo in discussione e gli italiani erano disposti a risparmiare su tutto tranne che a tavola, ora il valore della qualità passa in secondo piano rispetto al prezzo. Un aspetto preoccupante, secondo Confagricoltura, "perché diminuisce l'attenzione verso il made in Italy, la tipicità e le vocazioni produttive del territorio".
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Fonte: Agronotizie