Sul futuro del vino in Europa si delineano posizioni contrapposte: la maggioranza degli Stati membri, sostenuti dal Parlamento europeo, è contraria a una liberalizzazione, che dovrebbe scattare nel 2015 con la fine del sistema dei diritti d'impianto.
La Commissione europea, al contrario, sembra restia ad abbandonare del tutto l'ipotesi di una deregulation nella filiera.

Un punto di svolta potrebbe arrivare domani, quando l'Esecutivo di Bruxelles presenterà una proposta, in occasione della prossima riunione del gruppo di alto livello, nato a gennaio proprio per riflettere sul destino della regolamentazione della produzione vitivinicola in Europa.

Diritti d'impianto: sì o no e perché?

L'abbandono dell'attuale sistema dei diritti d'impianto era già stato deciso nel 1999: dal 2012 (che è diventato, con una successiva proroga, dal 2015) i produttori non avrebbero più dovuto ricevere autorizzazioni per coltivare vite o aumentare la produzione di vino.
Ma il timore di una sovrapproduzione e di un conseguente calo dei prezzi spaventa i Paesi produttori, preoccupati anche di potenziali grossi investimenti sui vini da tavola, anche qui con ripercussioni al ribasso per i prezzi di quelli di qualità.
Ecco perché, di fronte alla reticenza di molti governi nazionali all'idea di liberalizzare una produzione ora rigorosamente controllata, è partito un dibattito con esperti nazionali e professionisti del settore, all'interno di un gruppo di alto livello.

Liberalizzazione versus controllo della produzione

Con due riunioni alle spalle, la Commissione europea annuncia ora che alla prossima - domani, appunto - metterà sul tavolo una “terza” opzione: né mantenimento dello status quo, né abbandono dei diritti d'impianto.
Anche se i contorni dell'iniziativa restano ancora vaghi, nelle parole del Commissario Dacian Ciolos, i professionisti del settore continuano a cogliere una certa volontà di liberalizzare, lasciando che i produttori, pur all'interno di regole comuni, decidano per loro stessi.
La proposta andrebbe quindi nella direzione opposta a quella auspicata dalle associazioni di categoria, ovvero il controllo della produzione.

Inoltre, la Commissione sembra voler differenziare le regole per i vini di Denominazione d'origine e Indicazione geografica protetta (Dop e Igp) rispetto ai vini da tavola.
Altro elemento che genera qualche perplessità, l'indicazione del Commissario di mettere fine al sistema dei diritti d'impianto per limitare la gestione da parte di Bruxelles quando - fanno notare le associazioni di categoria - l'aumento della produzione sarebbe sì deciso a livello comunitario, ma gestito su base nazionale, così come avviene ora.

La posizione dei Paesi produttori

Ma la proposta della Commissione, qualunque essa sarà, non potrà non tenere in conto le posizioni espresse da ben 10 Paesi membri, tra cui l'Italia, che pur non raggiungendo la maggioranza qualificata in seno al Consiglio (215 voti al posto dei 255 necessari), rappresentano il 98% ovvero la quasi totalità della produzione. 

Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Repubblica ceca, Ungheria, Slovenia, Cipro e Grecia chiedono che il potenziale di produzione continui a essere regolato, anche se sono d'accordo a introdurre degli elementi di flessibilità rispetto al sistema attuale.
Sono favorevoli, infatti, a un aumento della produzione, perché gli Stati che vogliono accrescerla possano farlo.
A due condizioni: che l'aumento sia concordato all'interno di un tetto, definito a livello europeo, e che stia ai singoli Stati decidere in quali regioni e per quali vini sfruttare il loro potenziale di produzione. I maggiori Paesi produttori insistono anche su altri due punti: la gestione deve essere a livello nazionale e le regole devono valere per tutti i tipi di vino (con o senza indicazioni geografiche).
Così come adesso, infine, non dovrebbe sottostare alle regole chi produce meno di 25mila ettolitri di vino all'anno (Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Irlanda e Regno Unito): la proposta nuova è quella di considerare come riferimento, una volta per tutte, la quantità prodotta nel 2007.