Di tutto il cibo che circola in Europa, la metà finisce nella pattumiera.

E' lo spaventoso dato da cui è partito il Parlamento europeo nel chiedere di sviluppare una strategia europea contro lo spreco alimentare. Un fenomeno a cui contribuiscono soprattutto famiglie (42%) e produttori (39%), seguiti da ristoratori (14%) e rivenditori (5%).

Gli 89 milioni di tonnellate di cibo commestibile inutilizzati, rappresentano indubbiamente un’emergenza etica, di fronte ai 79 milioni di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà nel nostro continente, e ad altri 16 che dipendono dagli aiuti alimentari.

Ma non solo: il relatore della risoluzione, il deputato socialdemocratico Salvatore Caronna, sottolinea anche la dimensione economica del problema.

 

Le ragioni alla base del provvedimento sono etiche, ma anche economiche. Pensa che, per andare incontro alla crescente domanda alimentare, agire sullo spreco sia più importante che aumentare l’offerta?

"Sono due facce della stessa medaglia. Nell’immediato futuro, dovremo far fronte all’aumento demografico e alla crescita dei consumi nei Paesi emergenti; dovremo produrre di più con meno: meno terra, meno acqua, meno energia, che sono risorse limitate.
Se il modello di sviluppo di questi Paesi sarà quello che abbiamo in Occidente, è evidente che non saremo in grado di reggere il ritmo. Dobbiamo quindi contemporaneamente promuovere l’aumento dell’offerta di cibo ed evitare gli sprechi".

 

Per quanto riguarda famiglie e settore della ristorazione, è più facilmente immaginabile come e perché si spreca. Ma cosa avviene a livello della produzione, responsabile per 2/5 del totale?

"Molti prodotti rimangono sul terreno perché non sono 'belli' dal punto di vista estetico, anche se perfettamente commestibili. Oppure si butta per ragioni di mercato, quando il prezzo del prodotto è talmente basso che vendere non è conveniente. Questa è una parte che andrebbe assolutamente recuperata.
E poi c’è lo spreco legato al modello di consumo. Faccio l’esempio delle confezioni: la composizione familiare è cambiata, spesso si tratta di mono famiglie, eppure le mono dosi sono ancora un’eccezione. Il prodotto è confezionato in modo tale da spingere a consumare il più possibile, perché questa è la logica delle imprese, che vogliono spingere le vendite. Questo concetto va contrastato; ci sono stati passi in avanti, ma bisogna fare ancora di più per promuovere un’offerta della merce in cui si eviti l’eccesso".

 

Proponete anche nuove regole di etichettatura. Di cosa si tratta?

"Ci sono varie idee. Una è l’introduzione di una 'scadenza commerciale' da affiancare a quella, già esistente, del prodotto: la prima indica fino a che giorno si può vendere quel cibo, la seconda fino a quando lo si può mangiare. Un’altra variante è impostare un meccanismo con le catene di distribuzione per cui, quando è chiaro che un dato prodotto scade troppo presto e quindi rimarrà invenduto negli scaffali, non arriva al rivenditore, ma viene messo direttamente a disposizione di chi distribuisce cibo ai poveri.
In parte, poi, è un discorso d’informazione e di educazione del consumatore: quando un prodotto è da 'consumare preferibilmente entro' non significa che il giorno dopo faccia male! Sarebbe meglio indicare, allora, che a partire dal giorno x, quel cibo perde parte delle sue proprietà, ma si può comunque mangiare, fino al giorno y, a quel punto scadenza vera e propria".

 

Pensate anche ad un’azione per migliorare la collaborazione con chi distribuisce cibo ai poveri?

"Assolutamente sì. Innanzitutto si può pensare a formulare le norme sugli appalti pubblici per la ristorazione di modo che privilegino le aziende che sono organizzate in modo tale da ridurre al massimo lo spreco, ad esempio perché ridistribuiscono derrate alimentari ai bisognosi.
Poi, bisogna incentivare lo 'scambio di buone prassi' tra i diversi Paesi europei, di modo che ognuno possa apprendere dalle realtà che funzionano meglio.
L’Italia, sotto questo punto di vista, presenta alcune delle esperienze più avanzate: penso al banco alimentare, ma anche a tante altre dimensioni. Dobbiamo costruire un sistema per cui dalla grande distribuzione, ma anche dal mondo delle associazioni agricole, si recuperino tonnellate di cibo da distribuire ai meno abbienti, non solo attraverso le realtà associative, ma ad esempio vendendo quei prodotti ad un costo inferiore, dando quindi valore al potere d’acquisto di chi possiede meno ed è attratto da una merce che, poiché scade a breve, costa meno".

 

E in famiglia, cosa si può fare per invertire la tendenza?

"In quest’ambito è più un fattore culturale. Bisogna rendere questa questione centrale nella vita delle persone, si deve indurre a comportamenti più sobri e far sì che il cibo venga considerato non come qualcosa di inesauribile, bensì come un bene in sé.
Stiamo pensando soprattutto a campagne di comunicazione, d’informazione: ecco perché chiediamo che il 2014 sia proclamato 'Anno europeo contro gli sprechi alimentari'. Si tratta di un modo per attirare l’attenzione su una problematica, rendere le persone più consapevoli e avvicinarle a comportamenti che contrastino l’attuale trend che, senza azioni concrete, è destinato ad aumentare ulteriormente.
Ma, ripeto, le famiglie sono l’ultimo anello della catena; al cuore del problema c’è il modello di sviluppo nel suo complesso, ed è in primis questo che deve essere modificato.
E' una sfida di cui non deve sentirsi investito solo chi è sensibile alla povertà; al contrario, nel cercare modelli di consumo più adeguati a una nuova epoca sono coinvolti tutti, dall’impresa alla ricerca, passando per la scuola".

 

Quali sono i prossimi passaggi e quali tempistiche vi aspettate?

"E' la prima volta che un’istituzione prende il tema dello spreco alimentare e lo mette al centro della sua azione politica. Finora era stato un aspetto marginale, mentre il Parlamento europeo ha assunto questa questione come un argomento che ha la dignità di essere affrontato in maniera complessiva.
Chiediamo che la Commissione proponga una strategia globale, ma poi ci saranno le singole direttive: una sull’etichettatura, una sugli appalti, e così via. Per quanto riguarda le tempistiche, l’idea di proporre il 2014 come anno dedicato alla tematica è anche un modo di stringere sui tempi".