La crisi del comparto suinicolo è stato l'argomento più dibattuto durante i tre giorni di Qualypig, la manifestazione cremonese dedicata alla filiera suinicola che si svolge ogni due anni, in una ideale staffetta con la Rassegna suinicola di Reggio Emilia. Dei pesanti problemi che affliggono la suinicoltura italiana se ne è discusso fra i numerosi stand che affollavano il recinto fieristico, nel ring che ospitava l'esposizione di animali vivi, e soprattutto nei molti dibattiti, tavole rotonde e meeting che si sono tenuti durante i tre giorni della manifestazione. Questa volta a discutere dei problemi del settore non c'erano solo gli “addetti ai lavori” ma tutte le componenti della filiera. E così sul podio dei relatori si sono alternati economisti e genetisti, veterinari e tecnici, nutrizionisti e ricercatori, allevatori e consumatori.
Il messaggio che ne è scaturito, pur fra molte e diverse sfumature, si riassume nella necessità di individuare e mettere in atto tutti gli strumenti in grado di comprimere i costi di produzione. Al contempo è necessario intervenire sul mercato per indirizzare i livelli di produzione ed allinearli con le richieste che arrivano dal consumo. Non solo in termini di quantità, ma anche di qualità. Magari con un occhio attento ai mercati esteri dove i prodotti d’eccellenza della nostra tradizione salumiera potrebbero trovare maggiori consensi.
Obiettivi condivisibili, ma di non facile attuazione. Partiamo dai costi di produzione, che vedono al primo posto la voce alimentazione degli animali (vale fra il 60 e il 70% di tutti i costi di allevamento). Ben poche le leve a disposizione degli allevatori rispetto al continuo rincorrersi dei prezzi dei cereali sui mercati mondiali. Unica via d’ uscita è quella di migliorare le performance degli allevamenti, aumentando ad esempio la dimensione degli allevamenti per ridurre l’incidenza dei costi fissi e poi migliorare il numero di nati per scrofa allevata. Oggi la media italiana è di 20,5 suinetti svezzati per anno e per scrofa, mentre altri Paesi, come Olanda e Danimarca arrivano anche a medie di 23-24 soggetti. Lo si è detto durante i convegni tecnici di Qualypig cui ha fatto eco un’intervista che Veronafiere ha realizzato con Kees de Roest del Crpa di Reggio Emilia, che su questo argomento ha sottolineato come l'aumento del numero di svezzati “consentirebbe un recupero di 15 centesimi per chilogrammo di carne prodotta. Facendo l’esempio di una struttura di 300 scrofe, il costo di produzione passerebbe così da 1,40 euro a 1,25. Ma si potrebbe anche migliorare l’efficienza della razione alimentare, contemporaneamente, guadagnando altri margini utili nel conto economico aziendale”.
Ma è fuori dagli allevamenti che si gioca la partita più difficile. Lo ha dimostrato il dibattito serrato che si è svolto a Qualypig mettendo a confronto allevatori, trasformatori e grande distribuzione. Quest’ultima è stata messa più di una volta sul banco degli imputati, accusata da una parte di “intercettare ben il 46% del valore dell’intera filiera” come ha detto Claudio Federici di Ismea, mentre occorre per Francesco Pizzagalli, presidente di Assica (Associazione industriali delle carni) “un riequilibrio del rapporto con la GDO, perché non è possibile che l’80% del mercato sia in mano a un paio di grandi catene distributive.”
Pronta la risposta della GDO, secondo la quale le responsabilità della situazione di crisi sono ad esclusivo appannaggio della filiera produttiva che deve essere in grado di intercettare le attese del consumatore, le cui esigenze sono assai diversificate.
E non è mancata la voce dei consumatori, presenti a Cremona con Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori, che ha rimesso sul tavolo due concetti chiave, la richiesta di sicurezza alimentare e di qualità. Un tema quello della qualità (la sicurezza è ovviamente dovuta in ogni caso) che sta molto a cuore al presidente degli allevatori italiani di suini (Anas) Giandomenico Gusmaroli. Suo è stato l’accorato appello per una maggiore trasparenza di tutto il circuito dei prodotti Dop, la cui qualità non può essere confusa con i prodotti generici che affollano il mercato.
Ed è dall’Osservatorio dell’Anas che giunge la nota sui dati di importazione che nel 2007 hanno visto entrare in Italia ben 60 milioni di cosci, destinati alla produzione di prosciutti non a marchio. Una presenza “ingombrante” su un mercato già in affanno. Ma sempre dall’Osservatorio Anas arriva anche la notizia che secondo i dati di previsione elaborati dall’Istat e dall’Eurostat, nel terzo e nel quarto trimestre del 2008 si dovrebbe verificare una contrazione della produzione suinicola nazionale rispettivamente del 2,2% e dell’1,6%. La proiezione su base annua indica una diminuzione pari allo 0,8%. Un calo della produzione che ci si augura possa tonificare il mercato e favorire una risalita delle quotazioni. Una speranza confermata dal calo dei livelli produttivi che dovrebbe interessare anche la Germania (-4,8%), la Francia (-1,2%), il Regno Unito (-1,1%), il Belgio (-0,6%), la Polonia (- 6,1%), l’Ungheria (-4,3%), la Repubblica Ceca (-6,0%) e la Romania (-2,3%). In controtendenza invece le previsioni sulla produzione spagnola (in aumento del 2,9%), dell’Olanda (+1,0%), del Portogallo (+0,8%) e dell’Austria (+0,5%). Aumenti che non dovrebbero modificare il quadro di fondo lasciando il bilancio della produzione suinicola con il segno meno davanti. E con il segno più, questa è la speranza, nella media dei prezzi all’origine.