Il rapporto Federalimentare-Ismea arriva proprio in concomitanza con la classifica sulla competitività del World economic forum che incorona i più bravi e relega il nostro Paese al 42° posto, superati da Ungheria, Lituania, Qatar, Tunisia, Barbados. Quattro posizioni in meno rispetto allo scorso anno.
La parolina magica si chiama competitività e non sembra affascinarci più di tanto visto che continuiamo a perdere colpi sul mercato internazionale. Trascinato nel vortice anche il nostro agroalimentare, secondo comparto produttivo nel Paese dopo quello meccanico, con il suo fatturato di 107 miliardi di euro. La nota dolente è rappresentata proprio dalla capacità di partecipare alla competizione internazionale, dal dinamismo delle nostre imprese una volta che varcano i confini nazionali.
Secondo gli indicatori del rapporto il vantaggio competitivo del settore alimentare italiano negli ultimi dieci anni si è ridotto del 15,4% mentre la produttività è diminuita nello stesso periodo del 3% a causa della frammentazione aziendale, dell'insufficiente concorrenza nei servizi, di una scarsa tendenza all'innovazione ma soprattutto, recita il rapporto, per colpa di una finanza non a misura d'internazionalizzazione.
Per il rafforzamento della filiera agroalimentare il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Paolo De Castro, che ha partecipato a Roma alla presentazione del rapporto, ha annunciato l'introduzione del credito d'imposta, tra le misure previste nella Finanziaria per lo sviluppo del settore. "Sarà come uno stimolo - ha sottolineato De Castro - perché legherà il marchio alla materia prima italiana". Il ministro a più riprese nel corso del suo intervento rimarca la strategicità dell'export anche in considerazione della stabilità dei nostri consumi interni. Con tale nuovo strumento si intende dare una mano alle imprese che commercializzano all'estero concedendo loro un sostegno alle iniziative promozionali e pubblicitarie.
Tutto il valore dell'export assomma a 16 miliardi di euro, appena al 14% del fatturato del settore, una cifra irrisoria che, sottolinea il rapporto, equivale a quanto gli italiani spendono in un anno per giocare al lotto o fare i regali di Natale.
La nostra 'pigrizia' o scarsa attenzione verso l'estero si accompagna all'aggressività dei vecchi competitors mentre sempre nuovi paesi si affacciano sui mercati mondiali. I concorrenti di sempre sono la Francia e la Germania che, complessivamente, hanno saputo fare meglio di noi e correre ad una velocità superiore alla nostra. Ma c'è anche la Spagna che si affaccia prepotentemente e che nello specifico del segmento agroalimentare può diventare di anno in anno un temibile concorrente e il Belgio. Sul fronte extraeuropeo il rapporto individua la Cina per l'ortofrutta e l'Australia per le bevande alcoliche. Il 79% del nostro export agroalimentare si indirizza verso 12 Paesi, con al primo posto la Germania, seguita da Francia, Stati Uniti e la stessa Spagna.
Un altro indicatore è inoltre estremamente significativo, il 60% dell'agroalimentare esportato è composto da solo dieci prodotti che sono in ordine di importanza: vino, frutta fresca, pasta, olio d'oliva, formaggi, ortaggi in scatola, prodotti da forno, salumi e insaccati, succhi di frutta e riso. Negli ultimi 5 anni il saldo complessivo con l'estero dei nostri magnifici 10 è salito da 6,1 a 6,6 miliardi di euro. Eppure anche questi campioni del Made in Italy perdono terreno e questo rappresenta un vero campanello d'allarme. Il rapporto infatti compara la performance ottenuta dagli stessi prodotti o comparti nella seconda metà degli anni '90 con l'andamento dell'ultimo quinquennio e segnala un rallentamento considerevole in quanto il ritmo di crescita annuo è sceso dal 6,4% del primo periodo all'1, 7% del secondo. In parole povere già dalla fine degli anni '90 il nostro sistema agroalimentare ha cominciato a perdere colpi sui mercati internazionali, anche per quanto riguarda i suoi prodotti di punta.
"Lo slogan piccolo è bello è oramai tramontato" avverte il presidente di Federalimentare, Luigi Rossi di Montelera. "In assenza di politiche capaci di agevolare la crescita dimensionale delle aziende, continua Rossi di Montelera, e di favorire l'innovazione e la concentrazione nell'intera filiera agroalimentare nazionale i nostri prodotti reggeranno con sempre maggiore fatica la concorrenza dei Paesi che sembrano aver innescato una marcia in più". Secondo il presidente di Federalimentare l' internazionalizzazione non si fa con i soli prodotti ma anche con una finanza a misura di mercato globale.

Foto by: Scott Liddell
Fonte: Agricoltura Italiana Online