Situazione paradossale quella della carne bovina in Italia. Pur essendo fra i principali produttori europei, siamo al contempo uno dei Paesi con il più forte deficit in termini di autosufficienza.
Lo evidenzia un recente report di Ismea dal quale si apprende che la produzione nazionale copre appena il 40% del fabbisogno e che dipendiamo in larga misura dalla Francia, ma anche da Polonia e Germania, per coprire la domanda di carni bovine.
È in particolare dalla Francia che importiamo ogni anno i vitelli che a noi mancano e che proseguono il loro ciclo produttivo nelle nostre stalle di ingrasso e finissaggio.
È cosi che l'Italia riesce ad essere al contempo un forte produttore e un fortissimo importatore, di animali vivi soprattutto, ma anche di carne.
Conti in rosso
Un modello produttivo dove si realizza un ulteriore paradosso. Efficiente e sostenibile come pochi altri in Europa, ma estremamente "costoso" se si guarda alla bilancia commerciale.
Sui mercati esteri abbiamo speso nei primi sei mesi dell'anno ben 2,3 miliardi di euro per l'acquisto di vitelli svezzati (broutard di circa 300 chilogrammi di peso vivo).
Un bilancio destinato ad aggravarsi con la progressiva chiusura dei nostri allevamenti, che solo negli ultimi quattro anni, dal 2019 al 2023, ha visto chiudere 15mila aziende, mentre il numero di capi bovini è diminuito di 73mila unità.
Una situazione grave e complessa, già denunciata anche da AgroNotizie®.
Colpa di un mercato avaro di soddisfazioni per chi alleva, ma anche di una politica agricola europea che sembra aver perso di vista l'importanza strategica dell'intero settore zootecnico.
Sull'altare di obiettivi in bilico fra utopia e ideologia, si rischia di compromettere settori essenziali per soddisfare la crescente domanda di proteine di elevata qualità nutrizionale, quali quelle della carne.
Le vie di uscita
Qualche indicazione su come uscire da questa situazione, le cui conseguenze potrebbero essere irreversibili, arriva dalla recente assemblea di Assocarni, l'associazione che riunisce gran parte delle aziende che si occupano di trasformazione delle carni e anche di allevamento.
Serafino Cremonini, che di Assocarni è il presidente, suggerisce di prevedere risorse a favore della linea vacca vitello affinché ci si affranchi, almeno parzialmente, dalle importazioni di animali vivi.
Al contempo propone che siano messe a disposizione risorse per favorire il ricambio generazionale e l'ingresso dei giovani in agricoltura.
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Cremonini ha poi chiesto un'azione politica più incisiva da parte delle autorità europee per aprire nuovi mercati internazionali: "È fondamentale - sono parole di Cremonini - sbloccare l'export di carni bovine verso mercati strategici come Cina, Corea, Giappone e Stati Uniti come hanno già fatto alcuni Paesi europei nostri competitor".
Il nodo trasporti
È poi motivo di preoccupazione la proposta europea di revisione delle regole sul trasporto degli animali.
Modifiche che riguardano da vicino l'Italia, tenuto conto della nostra necessità di approvvigionamento di animali vivi.
Le norme che si vorrebbero proporre, si è detto durante l'assemblea di Assocarni, avrebbero un forte impatto proprio sui nostri allevamenti, senza offrire alcun miglioramento per il benessere animale.
Tanto più, aggiungiamo, che il modello zootecnico italiano offre su questo fronte livelli di eccellenza, testimoniati dalle verifiche del sistema Classyfarm e certificate dal sistema nazionale qualità (Sqnba), dei quali AgroNotizie® ha già parlato.
Parola d'ordine, comunicare
Al netto dell'andamento dei consumi di carne, in flessione, il report di Ismea pone l'accento sulla necessità di comunicare al consumatore i plus che la carne prodotta in Italia esprime per qualità e sostenibilità.
Emblematica la riduzione delle emissioni di metano, quasi dimezzate rispetto al passato, con una forte accelerazione negli anni più recenti, grazie alle risposte della scienza sui temi della zootecnia di precisione e delle nuove tecnologie introdotte nell'allevamento bovino.
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Sostenibilità che prosegue con un ciclo virtuoso di economia circolare nella valorizzazione delle seconde lavorazioni agroalimentari, altrimenti motivo di polluzione.
Infine la trasformazione degli scarti in risorse energetiche.
Importanza strategica
Difficile comunicare al consumatore questi valori, ma non impossibile.
Purché si riconosca l'importanza strategica delle produzioni zootecniche e al contempo si mettano in atto strumenti per rendere il mercato delle carni e del latte più trasparente di quanto sia ora.
Senza queste iniziative la nostra dipendenza dall'estero di carni, bovine e suine in particolare, è destinata ad aumentare, mettendoci alla mercé dei mercati internazionali e appesantendo ulteriormente la nostra bilancia commerciale.