Scelta curiosa, per non dire altro, questa della Danimarca che ha deciso di tassare i bovini.

La loro colpa, AgroNotizie® lo ha già spiegato, sarebbe quella di inquinare e contribuire con le loro emissioni, metano in particolare, ai fenomeni di cambiamento climatico.

 

L'obiettivo dell'Esecutivo danese, fissato per il 2030, è la riduzione di queste emissioni svuotando le stalle.

A dire il vero non ci sarebbe nemmeno bisogno di una tassa. Già ci pensa il mercato, con le politiche di prezzi bassi, a far chiudere gli allevamenti.

Nel volgere di pochi anni il patrimonio zootecnico dell'Unione Europea si è assottigliato ovunque e in particolare in Italia, come AgroNotizie® ha più volte denunciato.

 

Risultati irrilevanti

Ma torniamo alla Danimarca e alle sue scelte "ambientali".

Il patrimonio bovino danese rappresenta appena il 2% di quello dell'intera Unione Europea.

Se l'obiettivo è quello di ridurre le emissioni climalteranti, il contributo che deriverebbe da una contrazione del patrimonio bovino danese sarebbe del tutto ininfluente.

 

Il risultato non cambia se lo si osserva guardando il rapporto fra popolazione e bovini allevati.

In Danimarca si ferma al 25%, più basso di quello di altri Paesi, come la Francia, dove si arriva al 26,4% e che accoglie il 23% di tutti i bovini europei.

 

Scelte errate

Ci si interroga poi sul perché di questa scelta, che non sembra la più efficace per raggiungere gli obiettivi di transizione ecologica.

Vero che i bovini emettono metano, che deriva dalle fermentazioni ruminali e altri gas "naturali".

Ma contrariamente a quanto accade quando si utilizzano energie da fonti fossili, siamo di fronte a un ciclo biogenico che nulla aggiunge in termini di CO2.

 

In condizioni ottimali di allevamento, è stato dimostrato scientificamente, l'allevamento del bovino consente persino di catturare più CO2 di quanta ne venga emessa.

I bovini in particolare, ma anche altri animali in produzione zootecnica, sono poi campioni in economia circolare.

Utilizzano valorizzandoli sottoprodotti dell'industria alimentare (difficili altrimenti da smaltire), sono fonti di farmaci e materie prime per manufatti. E ciò che "residua" dal loro metabolismo può trasformarsi in energia.

 

I numeri reali

Pregi dei quali nessuno sembra tenere conto, mentre martellanti campagne di demonizzazione continuano a descrivere gli allevamenti come i maggiori responsabili delle emissioni climalteranti.

Non resta che ricordare ancora una volta i dati reali, calcolati da Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale.

 

Gli allevamenti "pesano" sull'ambiente per il 5,2% e l'agricoltura nel suo complesso, allevamenti compresi, per il 7%.

Se transizione ecologica deve essere, meglio allora puntare su trasporti ed energia che "pesano" rispettivamente per il 24,7% e il 55%.

 

Un Paese "ricco"

Tornando alla scelta danese, non bisogna dimenticare che le iniziative per proteggere l'ambiente raccolgono sempre ampi consensi (e voti) nell'opinione pubblica.

Non stupisce che per raggiungere questo obiettivo si scelga la strada più facile, quella che desta meno proteste, come può esserlo una tassa sulle stalle piuttosto che sui carburanti o sull'energia.

 

Ma in questo caso già i danesi hanno di che lamentarsi. La loro bolletta energetica è fra le più care in Europa a dispetto del forte ricorso alle energie alternative.

Se lo possono permettere, grazie al loro reddito, quasi due volte quello medio europeo.

Per questo non avranno nemmeno paura di veder aumentare il prezzo della "fettina" o quello del latte, anche questa una prevedibile conseguenza della tassa sulle stalle.

 

Esempio da non imitare

Quello della Danimarca è però un pericoloso precedente per iniziative analoghe, le cui conseguenze sociali ed economiche potrebbero essere fortemente negative.

Già oggi il consumo di carne bovina e suina è in flessione, mentre cresce il consumo di carni avicole, premiate dal loro prezzo più competitivo.

 

Ma intanto stiamo perdendo per strada un patrimonio di animali, di imprenditori, di conoscenze ed esperienza il cui valore strategico non dovrebbe sfuggire all'attenzione di chi ha responsabilità di indirizzo della politica e dell'economia.