Aumenta ogni giorno il numero di microrganismi resistenti agli antibiotici.
Un fenomeno dalle conseguenze molto gravi per la salute dell'uomo e degli animali.

Stime dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), affermano che in Europa l'antibiotico-resistenza sia responsabile ogni anno di 25mila decessi, cifra che sale a 700mila se il perimetro si allarga a tutto il mondo.
Ma ancora più preoccupanti le proiezioni che stimano in dieci milioni i decessi che si potrebbero avere nel 2050.

Dunque un problema grave, che va affrontato con determinazione, coinvolgendo medicina umana e veterinaria. Un approccio complessivo che viene definito con il termine anglosassone "one-health", una "salute unica" dove sono coinvolti al contempo uomo e animali.
 

L'impegno degli allevamenti

Gli allevamenti stanno facendo la loro parte. Abolito da decenni l'uso auxinico degli antibiotici, si sta ora eliminando l'uso di questi antimicrobici a scopo preventivo, per privilegiare gli impieghi terapeutici.

E' questa peraltro la linea indicata già dallo scorso anno dalla Commissione ambiente sanità pubblica e sicurezza alimentare (Envi) del Parlamento europeo, con la proposta di imporre l'uso di antibiotici solo in presenza di una patologia conclamata.


Il progetto "meno farmaco"

Segue idealmente queste indicazioni il progetto di filiera intitolato "meno farmaco", che si pone come finalità la riduzione degli antibiotici nell'allevamento della vacca da latte mediante trattamenti mirati.

Non deve stupire che l'obiettivo si sia spostato dagli animali da carne, sui quali erroneamente si punta il dito per un presunto uso eccessivo di famaci, alle bovine da latte.
Per queste ultime è frequente la comparsa di mastiti, che impone il ricorso agli antimicrobici.
Un'indagine sull'incidenza di questa patologia della mammella ha evidenziato che le mastiti hanno per l'allevamento un costo elevato, che varia da quasi 100 euro a oltre 260 euro per ogni caso che si verifica in stalla.

Ancor più gravi, sebbene di più difficile quantificazione, sono le mastiti subcliniche, assai più frequenti e subdole perché prive di sintomi evidenti.
Non a caso la mastite è da sempre considerata una delle patologie più diffuse negli allevamenti da latte e quella con il maggior peso economico per gli allevatori.


No agli interventi di massa

Di fronte a un quadro così pesante, la risposta degli imprenditori zootecnici si è orientata a massimizzare la prevenzione delle patologie della mammella.
Si è così diffusa la procedura che prevede un intervento di profilassi, con l'impiego di antibiotici, su tutti gli animali in prossimità della messa in asciutta, periodo compreso fra una lattazione e quella successiva.

Priva di rischi per l'animale e per il consumatore, questa procedura è però in contrasto con gli indirizzi di lotta ai fenomeni di antibiotico-resistenza, cosa che impone un drastico cambiamento di rotta. Ma come fare per evitare poi la comparsa di mastiti?


Le cellule "sentinella"

Le risposte si trovano nel progetto "meno farmaco", realizzato nell'ambito del programma regionale di sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Emilia Romagna (più in dettaglio il tipo di operazione 16.2.01 - Focus area 3A).
Capofila del progetto è il Consorzio Granterre, società cooperativa impegnata in particolare nella produzione di Parmigiano Reggiano.

Obiettivo quello di "mirare" gli interventi farmacologici esclusivamente sulle bovine certamente colpite da mastite.
Per raggiungere questa certezza non è sufficiente l'esame del contenuto in cellule somatiche del latte, esame routinario per definirne la qualità anche ai fini della caseificazione.

E' necessario invece il conteggio di alcune tipologie di cellule, come linfociti, macrofagi e leucociti polimorfonucelati, la cui presenza è in grado di confermare o meno la presenza di una patologia a carico sia di tutta la mammella o di un solo o più quarti della stessa.


Solo interventi mirati

Grazie a questo esame si rende possibile intervenire in modo mirato, riducendo sia l'impiego di farmaco, sia i casi di mastite.

Ovvie le ripercussioni sulla qualità del latte destinato alla caseificazione, che avendo un minor numero di cellule somatiche potrà offrire una maggiore resa.
Infine minori scarti di latte, altrimenti inevitabili quando la bovina è in trattamento antibiotico durante la lattazione.


Le prove con il Parmigiano Reggiano

Il protocollo del progetto è in linea con il Piano globale di lotta all'antimicrobico resistenza (Amr) e la sua attuazione prevede la collaborazione dei medici veterinari aziendali e sarà validato in alcune aziende zootecniche del comprensorio del Parmigiano Reggiano che partecipano a questa ricerca.

Oltre agli aspetti di carattere sanitario, saranno prese in esame le ripercussioni di carattere economico, valutando sia la resa del latte sia i costi dei trattamenti mirati, che andranno a sostituire quelli sull'intera mandria.

A monitorare sulla correttezza del piano di ricerca e sui risultati ottenuti sarà il Crpa (Centro ricerche produzioni animali) di Reggio Emilia.
Risultati che poi saranno punto di riferimento per estendere queste procedure ad altri allevamenti di bovine da latte dell'Emilia Romagna e non solo.


Impegno comune

L'impegno del mondo zootecnico per la riduzione dell'impiego di antibiotici si arricchisce così di un altro importante capitolo, a testimonianza di quanto si sta facendo per contrastare i fenomeni di antibiotico-resistenza.

Un impegno che però rischia di cadere nel vuoto se non ci sarà altrettanto impegno nell'ambito della salute dell'uomo.
E' infatti negli ambienti ospedalieri che il problema assume proporzioni assai temibili.
E' doveroso tenerne conto e invitare tutti, anche le singole persone, a un uso consapevole degli antibiotici, evitando sempre il "fai da te".