Produrre di più e sprecare di meno, ma soprattutto combattere le mode alimentari e le cacce alle streghe mediatiche incrementando la comunicazione del settore e rimodulandola secondo parametri moderni. Questi, in estrema sintesi, i due temi principali emersi nel corso della sezione pubblica dell’assemblea annuale 2016 di Assalzoo.
 
"Produrre di più, producendo meglio e utilizzando quanto non viene consumato per uso umano - ha affermato il presidente dell’associazione Alberto Allodi - è una delle sfide che ha di fronte la mangimistica, e con essa l'intera filiera zootecnia. L'industria mangimistica italiana ha già
intrapreso la via della sostenibilità ambientale e della sicurezza alimentare".


L’industria mangimistica è infatti un settore all’avanguardia nel riciclo produttivo degli scarti di altri comparti alimentari. In base ai dati forniti, in Italia reimpiega attualmente circa 650mila tonnellate l'anno di materie prime di scarto o prodotti secondari inviati dall'industria alimentare, per un valore di circa 300 milioni di euro.

L’obiettivo è quello di raggiungere entro il 2020 la reimmissione nel circuito alimentare di un milione di tonnellate di prodotti inutilizzati, facendoli passare da perdita netta a risorsa per l'alimentazione animale e recuperando materie prime per circa mezzo miliardo di euro.

La produzione 2015, intanto, nonostante la difficile congiuntura del settore zootecnico, è cresciuta dell'1,4% rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 14,2 milioni di tonnellate.
Le previsioni per il 2016 sono di stabilità: "Le nostre industrie hanno già scontato le crisi di mercato - ha continuato Allodi - e non prevedo ulteriori fluttuazioni dei prezzi delle commodity agricole. Resta da fronteggiare il calo dei consumi e la pesante situazione del latte".
 
Grande tema della tavola rotonda seguita alla relazione di Allodi è stata la comunicazione, o meglio, una comunicazione di settore attualmente del tutto inadeguata a fronteggiare quello che il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, ha definito "il virus anti-industria"; che prolifera sui social e si alimenta di teorie complottiste e mode alimentari, ma anche di dissennate politiche e affermazioni di organi istituzionali nazionali e internazionali.

Un elemento devastante per il comparto, che va affrontato - secondo Allodi - affiancando alla politica del 'fare' una nuova politica del 'dire'; ossia rilanciando la comunicazione di settore fornendola di armi più adeguate ai nuovi media, ma soprattutto del supporto di una strategia di lungo termine che può derivare solo da un accordo di filiera.