È una suinicoltura in affanno quella che si è vista a Reggio Emilia in occasione della Rassegna suinicola internazionale, che si è svolta dal 18 al 20 aprile. Un affanno che deriva da un insieme di fattori negativi, che vanno dalla difficile situazione di mercato alle complicazioni che sul settore gravano per l'applicazione delle norme sul benessere animale. Da inizio anno ha trovato infatti applicazione in Italia il dettato della direttiva comunitaria del 2008 che pone nuovi vincoli soprattutto per l'uso delle gabbie nei reparti di riproduzione.  La maggior parte degli allevamenti è riuscita a mettersi in regola, ma a costo di grandi sacrifici. Chi poteva ha investito per allargare gli spazi a disposizione degli animali. Ma i più hanno dovuto ridurre il numero di scrofe in allevamento. Che stando ai numeri presentati dall'associazione dei suinicoltori (Anas) ha visto diminuire di oltre il 12% in un anno il numero di scrofe allevate in Italia. Le difficoltà degli allevamenti hanno finito per riverberarsi sulla “Rassegna”, che nonostante alcune visibili assenze fra gli stand espositivi e le mai sopite tensioni che agitano il mondo fieristico italiano, non ha però tradito le attese della vigilia. Fra gli stand si sono potute toccare con mano le nuove tecnologie attente al benessere animale, all'ambiente, al risparmio energetico. E negli incontri che hanno affollato la tre giorni suinicola di Reggio Emilia è stato un susseguirsi di dibattiti su due fattori chiave, la produttività degli allevamenti italiani e le conseguenze delle regole sul benessere, destinate peraltro ad inasprirsi.

Situazione

Partiamo da alcuni numeri chiave che misurano la produttività dei nostri allevamenti. Le elaborazioni del Crpa (Centro ricerche produzioni animali) indicano che il numero di suinetti svezzati per scrofa va aumentando di anno in anno, ed è passato dai 20,68 suinetti del 2007 ai 23,35 del 2012. Va meglio, ma resta un forte distacco con le medie che altri Paesi fanno registrare. In Francia, stando alle valutazioni di Interpig, questo numero sale a 26,69 suinetti e raggiunge quota 28,60 suinetti negli allevamenti danesi. Mete per noi lontane, ma raggiungibili, avendo coscienza della buona preparazione tecnica e manageriale degli allevamenti italiani. Un miglioramento produttivo che si rende poi necessario per comprimere i costi di produzione. Sono ancora una volta le analisi del Crpa, presentate anch'esse in occasione della Rassegna, che forniscono un metro di valutazione della “salute” del settore suinicolo. E c'è motivo di preoccuparsi. Il costo di produzione si colloca a 1,503 euro per ogni chilo di carne prodotta. In questi giorni le quotazioni di mercato si fermano però a soli 1,30 euro. Numeri, è opportuno ricordare, che si riferiscono al suino pesante, del peso di 150 e oltre kg, una tipologia di allevamento per la quale l'Italia vanta una lunga tradizione, sconosciuta agli altri Paesi della Ue e fonte di materia prima insostituibile per le produzioni dei nostri salumi e insaccati a marchio Dop. Prodotti che in un prossimo futuro potrebbero mancare se il mercato da una parte e le nuove norme dall'altra, continueranno ad infliggere pesanti condizionamenti al mantenimento degli animali.

Settore in contrazione

Già oggi molti allevamenti a ciclo chiuso, quelli cioè che dispongono sia dei reparti di riproduzione sia di quelli da ingrasso, si stanno riducendo. In alcuni casi chiudono, in altri si convertono a soli allevamenti da ingrasso. Minori i vincoli sul benessere, più semplice la gestione dell'allevamento. Si perdono però professionalità difficilmente rimpiazzabili e si apre ad una maggiore dipendenza dall'estero, già oggi significativa. Lo si è ricordato in più occasioni anche durante la “Rassegna". Importiamo ogni anno carni suine per oltre due miliardi di euro e forte è l'ingresso di cosce fresche, da avviare alla stagionatura. Tanto che ogni tre prosciutti consumati, due non possono vantarsi di essere “made in Italy”. Le tensioni al ribasso sul mercato nascono anche da qui.

Certo, qualcosa potrà fare, se verrà mai approvata dal legislatore europeo, la norma che prevede l'indicazione in etichetta dell'origine delle carni. Ma è bene non farsi troppe illusioni. La concorrenza sarà sempre forte e la sfida va affrontata con le armi dell'efficienza produttiva e con la riduzione dei costi, che le regole sul benessere animale tendono però a far aumentare, così come accade per l'alimentazione degli animali, con i prezzi delle materie prime che, dicono gli esperti, non invertiranno a breve la loro corsa al rialzo.

Innovare, parola d'ordine

Dunque bisogna puntare a quelle innovazioni che portano ad una riduzione dei costi. Gli impianti per la produzione di energie rinnovabili a partire dai reflui animali vanno in questa direzione, tecnologie che sono state proposte anche dalla “Rassegna” di Reggio Emilia. Utili anche per rispondere ai dettati della direttiva nitrati, altro problema che incombe sulle sorti della suinicoltura italiana. Poi una genetica capace di offrire elevate performance produttive. Molte le proposte che si sono viste a Reggio Emilia e importante il lavoro che in questa direzione sta portando avanti l'associazione dei suinicoltori, Anas. Significativa in proposito la presentazione di “Italo”, il verro di razza Duroc che grazie alla selezione italiana ha perso anche l'ultimo “difetto”, quello delle setole troppo grosse, motivo di qualche inconveniente alla macellazione.

Tempo di “lobby”

Nuove tecnologie e innovazione possono essere gli strumenti con i quali aggredire la sfida che attende gli allevamenti. Ma gli sforzi saranno vani se gli allevatori non saranno capaci di darsi efficaci strumenti di rappresentanza a Roma come a Bruxelles. Se non saranno cioè capaci di fare “lobby” o se preferite gioco di squadra. La Rassegna poteva offrire uno sguardo sulle innovazioni tecnologiche, e pur fra le difficoltà del momento, ha assolto questo compito. Nulla poteva fare sull'altro fronte, quello della aggregazione dei produttori. Che resta un problema insoluto.