Impianti spesso obsoleti, scarsa attenzione al benessere animale, inadeguate condizioni di allevamento ed eccessivo ricorso ai farmaci. Questo il quadro del settore cunicolo tratteggiato dalla tavola rotonda che l'Associazione scientifica italiana di coniglicoltura (Asic) ha organizzato in occasione della Fiera di Forlì. Nonostante tutto, nell'allevamento del coniglio siamo ancora i primi al mondo sotto il profilo tecnico e secondi solo alla Cina in quanto a produzione. Ma è un primato che siamo destinati a perdere se il settore non saprà innovarsi. Lo ha messo in evidenza nella relazione di apertura Gerolamo Xiccato, dell'università di Padova e presidente della Associazione mondiale scientifica di coniglicoltura (Wrsa). Ma perché, è lecito chiedersi, il settore cunicolo è come “ingessato” e fermo alle posizioni raggiunte anni fa? La risposta è in larga parte legata all'andamento del mercato, stagionale e con forti oscillazioni, che mal si conciliano con una normale logica di incontro fra domanda e offerta. Una situazione difficile, che non concede spazi alla programmazione e agli investimenti. Il settore è fermo, ma soluzioni sono possibili, a iniziare dalla compressione dei costi di allevamento. Lo hanno evidenziato i numerosi interventi alla tavola rotonda, con le esperienze e i suggerimenti di chi vive la realtà degli allevamenti in chiave professionale. Dal mangimista al genetista, dal macellatore al responsabile di cooperativa.

Parola d'ordine, innovare

Polli e tacchini, ha ricordato Andrea Zuffellato, del gruppo Veronesi, hanno fatto dell'innovazione il loro punto di forza. E' con queste carni che il coniglio si deve confrontare e si impone un analogo percorso di innovazione specie nella presentazione al consumo. Oggi il consumatore medio di carni di coniglio ha un'età di 63 anni. E' dunque necessario conquistare fasce di consumatori più giovani. Per ottenere questo risultato deve cambiare la presentazione delle carni, ma anche il modo di produrle, con una maggiore attenzione agli aspetti del benessere animale. Sono necessari investimenti, ma i costi di produzione potrebbero scendere e ripagare degli sforzi fatti.

Costi eccessivi

Che ci siano forti differenze nei costi di produzione in funzione del management aziendale lo ha evidenziato Micaela Lenarduzzi, della cooperativa CPC di Pinzano al Tagliamento, che ha presentato i dati economici di alcuni allevamenti, dove il costo di produzione passa da 1,75 euro/kg a 1,58 euro in funzione del management aziendale. Con questi costi il bilancio aziendale consente a malapena di retribuire la mano d'opera aziendale. Condizione che rende impensabili nuovi investimenti.

Allevamenti performanti

Pure in queste difficili condizioni, qualcosa si può fare, creando migliori condizioni di allevamento, curando che parametri essenziali come temperatura e umidità rispondano alle esigenze fisiologiche del coniglio. Lo ha evidenziato Andrea Frabetti del gruppo Martini, ricordando che troppo spesso si incontrano in allevamento situazioni non idonee. Poi puntare su alimenti con grande efficienza. Gli alti prezzi delle materie prime hanno fatto salire il costo dei mangimi, che oscillano fra i sette e gli otto euro al quintale. Fondamentale è allora migliorare gli indici conversione, che in situazioni ottimali possono fermarsi a 3,2-3,3. Sono questi i parametri che si possono incontrare nei nuovi impianti, dove si è attenti alle condizioni di benessere e alle condizioni igieniche e sanitarie.

Troppi farmaci

Negli impianti obsoleti si ha un innalzamento dei costi di produzione anche a causa del più largo ricorso ai farmaci, che possono raggiungere il dieci percento del costo complessivo. Nessuna altra specie di interesse zootecnico ha un rapporto così stretto con il farmaco veterinario e questo, ha sottolineato Francesco Dorigo del gruppo Ferrero, è un problema che va superato e presto. In particolare per gli antibiotici, oggi utilizzati in misura eccessiva. La filiera cunicola ha già messo in campo un piano nazionale per l'uso responsabile del farmaco veterinario, con il quale si vuole ridurre del 20% la quantità di antibiotici utilizzati nell'arco dei prossimi cinque anni.
Per raggiungere questo risultato, oggi su base volontaria, ma che presto si tradurrà in un vincolo imposto dalle norme comunitarie, occorre puntare sull'innovazione nelle tecniche di allevamento, nell'ambiente, nel management e nella genetica.

Genetica ok

Del ruolo della genetica ne ha parlato Rudy Sandrin, del Centro maschi San Gaetano, dove si realizza un noto ceppo ibrido. Anche in questo caso le differenze si misurano nel costo di produzione che, dati alla mano, può passare da 2,06 a 1,77 euro per kg di carne prodotta, in funzione dei parametri di fertilità degli animali. La genetica, però, può esprimere le sue potenzialità solo se anche gli altri parametri di allevamento sono in condizioni prossime all'ottimo.

Un primato in pericolo

Ancora una volta si ripropone la necessità di un aggiornamento degli impianti di allevamento, cosa oggi resa difficile dai modesti margini che l'allevamento del coniglio consente. Una “scossa” al settore potrebbe arrivare da Bruxelles, che prima o poi detterà anche per il coniglio norme sul benessere animale che costringeranno ad aggiornare gli impianti di allevamento, come è già avvenuto per polli e suini. Se in questo difficile passaggio la coniglicoltura sarà accompagnata da idonee politiche di sostegno, l'Italia potrà mantenere il suo primato nel settore cunicolo. Assisteremo altrimenti a una crescente marginalizzazione della coniglicoltura, sempre meno importante nello scenario della zootecnia italiana.