Le quotazioni dei suini sono in ripresa, seppur lentamente. Ma la stagione della crisi per questo settore è tutt'altro che superata. Un argomento dibattuto a più riprese anche su Agronotizie anticipando l'arrivo di un ennesimo piano anticrisi messo a punto nelle stanze del ministero dell'Agricoltura. Il nuovo piano, ancora in fase di bozza, ma già delineato nelle sue linee essenziali e discusso con Regioni e protagonisti della filiera, prende le mosse dall'analisi del settore e dai motivi della lunga stagione di crisi. Punto centrale, peraltro noto da tempo, è l'eccesso di offerta di suini pesanti (rappresentano l'80% della produzione suinicola italiana) il cui destino principale è la trasformazione in prosciutti e insaccati. Per contro siamo costretti a importare carni suine per il consumo fresco. Illogico, ma solo all'apparenza. La concorrenza internazionale sulla produzione di carne si basa sul prezzo e in questo campo la nostra suinicoltura è perdente. Per la produzione di prosciutti e salumi di qualità serve invece un suino pesante e qui gli allevatori italiani possono vantare capacità ed esperienze ineguagliate altrove. Questa specializzazione produttiva resta dunque la via maestra, ma perché, è lecito chiedersi, gli allevatori continuano a produrre più del dovuto? La risposta sta nel forte indebitamento delle aziende che impone una continua accelerazione produttiva per assolvere i debiti contratti. E poi c'è la frammentazione del settore e la sua scarsa capacità di aggregazione che complica ogni tentativo di indirizzo delle produzioni.

 

Molti auspici

Questo il quadro dal quale prende le mosse il nuovo Piano, ricco di auspici e buone intenzioni, ma con poche risorse e poche idee davvero innovative. Vediamone le principali. Ai primi posti figura lo sviluppo delle Organizzazioni dei Produttori, che dovrebbero essere il tramite per aggregare l'offerta suinicola. Non è da oggi che per il settore agricolo guarda alle OP con grandi speranze. In parte raggiunte per alcuni settori, come quello ortofrutticolo, con risultati deludenti invece per la zootecnia. Ora il Piano suinicolo vorrebbe superare lo scoglio stimolando l'adesione degli allevatori attraverso la leva finanziaria (accesso al credito, ai sostegni, ai Psr). Lo sviluppo delle OP dovrebbe essere accompagnato dall'Organismo Interprofessionale, strumento già codificato nel 2005 (D.lgs 102/2005) ma di fatto non operativo. Si riuscirà a resuscitarlo? Forse, purché riformato come già la stessa “bozza” del Piano prevede.

 

I soldi (pochi)

Il Piano passa poi all'esame degli strumenti finanziari. E qui c'è poco da sperare, soldi non ce sono, o sono davvero pochi. Si parla di strumenti di co-garanzia, credito agevolato, Consorzi Fidi. Si propone persino di concordare con gli operatori del credito un “pacchetto di interventi mirati alle imprese suinicole”. I soldi, comunque, ce li devono mettere gli allevatori. Qualche risorsa potrebbe arrivare dai Psr. Ma non mancano le difficoltà da superare.

 

Troppi macelli

Troppi i suini prodotti, ma troppi anche i macelli operanti in Italia, con disfunzioni e diseconomie. Ed ecco allora che il Piano propone una razionalizzazione della rete degli impianti di macellazione, favorendo la fuoriuscita dal settore delle aziende obsolete e fuori mercato. Ma non sarà né facile, né rapido. Come pure sarà difficile venire a capo del complesso problema della gestione dei reflui, accentuato dalla concentrazione degli allevamenti in alcune aree più vocate alla suinicoltura. Anche di questo si occupa il Piano, pensando alle risposte che possono arrivare dalle nuove tecnologie per il recupero energetico dalle biomasse. Ma sullo sfondo resta il problema delle turbative che possono derivare sui mercati (si pensi al mais, ad esempio) con un aumento degli impianti di questo tipo.

 

Una bella idea, il suino SQN

Nei precedenti piani a sostegno della suinicoltura un ruolo centrale era rappresentato dalla promozione delle carni ottenute dai suini pesanti (che ovviamente non producono solo prosciutti...). Nacque così il Gran Suino Padano Dop. Una bella idea che Bruxelles ha però bocciato. Ora ci si riprova seguendo un'altra via, quella del suino SQN, sigla che sta per Sistema Qualità Nazionale. E' quest'ultima una delle possibilità introdotte con l'ultima riforma della Pac, nel 2006, che dà la possibilità ai singoli paesi di identificare in questo modo prodotti che per qualità offrano caratteristiche superiori rispetto a quelle previste dalle norme commerciali correnti. Il Mipaaf, in accordo con la filiera e con le istituzioni coinvolte (Regioni al primo posto) ha sviluppato così un proprio “SQN” per le carni suine. Ciò permetterà fra l'altro di distinguere le carni suine dei suini pesanti rispetto a quelle di altro tipo, oltre che di altra provenienza. E per questa iniziativa qualche “soldino” lo si può recuperare dai sostegni che erano destinati al Gran Suino Padano e che non è stato possibile utilizzare.

 

Suini leggeri

Il progetto di trasferire una parte della produzione italiana dal suino pesante verso quello leggero, per il consumo di carne fresca, non è abbandonato, ma resta al momento relegato ad un “progetto pilota” per valutarne la fattibilità. Il Piano conferma infine l'operatività del Cun, le commissioni uniche di di mercato per la definizione del prezzo dei suini vivi, dei tagli di carne fresca e di grasso e strutto, alle quali si potrebbe aggiungere una Cun per i suinetti. Il Piano si occuperà poi di risolvere le criticità emerse con l'applicazione della tabella di classificazione delle carcasse, strumento imposto dalla Ue.

 

Contratto quadro

Non poteva mancare un riferimento alla fase della commercializzazione, affrontata con due strumenti, la definizione di un “contratto quadro” di filiera fra produttori e industrie e un'intesa con la Gdo, la grande distribuzione organizzata, attraverso la quale passa la maggior parte dei consumi di carni suine e salumi. Al primo punto è prevista l'applicazione di un contratto quadro che avrà l'obiettivo di definire i requisiti dei prodotti e la remunerazione del prodotto stesso, tenendo conto dei costi di produzione e dell'andamento dei prezzi di mercato. E per i rapporti con la Gdo si vuole giungere a forme di collaborazione, magari attraverso un tavolo interprofessionale. Ci si può provare, ma è difficile credere ad un risultato positivo.

 

Salute animale, l'incompiuta

Per completare il quadro degli interventi bisognerà arrivare, finalmente, alla soluzione dei problemi sanitari che ancora affliggono la suinicoltura italiana e che già nel precedente Piano, quello che recava la firma del ministro Zaia, prevedeva l'eradicazione della malattia vescicolare. Che invece è ancora lì, come pure la Peste suina africana che alberga in Sardegna. Problemi che vincolano il nostro export di carni, ma che a quanto pare nemmeno questo nuovo Piano spera di poter risolvere. Non si spiega altrimenti la proposta di istituire una “territorializzazione” sub nazionale che delimiti zone del Paese indenni alle quali possano essere riaperte le porte dell'export. Sembra quasi una “resa” alle malattie del suino. Che contrasta con l'obiettivo di promuovere sui mercati internazionali i nostri prodotti. Un progetto, si legge nel Piano, che ha l'obiettivo di portare ad un terzo la quota di prodotti Dop esportati. Bello, ma non avverrà domani. Il Piano fissa questa meta nel medio-lungo termine. Insomma, più un auspicio che un progetto.