La bolla del pesco è una malattia causata dal fungo Taphrina deformans che si trova praticamente in ogni parte del mondo dove si coltivino i peschi.

 

Una malattia importante, che può impattare sensibilmente sulla produttività e sulla durata di vita delle piante e che attualmente si controlla praticamente solo con l'uso di fungicidi.

 

Ma esistono o potrebbero esistere varietà resistenti o tolleranti

 

Uno studio dell'Università di Firenze, portato avanti assieme al Crea, il Centro di Ricerca Orticoltura e Florovivaismo, sta valutando la possibilità di realizzare nuove varietà che non siano attaccate da questa malattia o che almeno non ne subiscano forti danni.

 

E noi abbiamo intervistato i ricercatori che stanno lavorando a questo progetto, il professor Edgardo Giordani del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali  dell'Università di Firenze e la dottoressa Stefania Nin del Crea, che recentemente hanno anche pubblicato un articolo sui primi risultati sulla rivista scientifica Euphytica.

 

Professor Giordani, quando è nato questo progetto?
"Fino alla fine del secolo scorso lo stato forniva fondi per il miglioramento genetico delle specie da frutto, favorendo l'ottenimento di molte nuove varietà. In questo ambito, il gruppo del professor Elvio Bellini dell'Università di Firenze ha giocato un ruolo importante, con il rilascio di numerose cultivar di pesco, susino, albicocco, pero e olivo.

È stato in questo contesto di ricerca che si è lavorato anche su queste varietà di pesco tolleranti a Taphrina deformans. Molti dei dati raccolti utilizzati in questo lavoro risalgono al passato, ma oggi sono stati rielaborati utilizzando metodi statistici avanzati per comprendere come il carattere della tolleranza alla bolla venga trasmesso. Si tratta di un lavoro condotto in collaborazione con la professoressa Catalina Pinto dell'Università di O'Higgins in Cile. Attualmente il progetto per la resistenza alla bolla nel pesco è inattivo, in quanto sono sempre meno le risorse pubbliche per questo tipo di attività".

 

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Il professor Edgardo Giordani dell'Università di Firenze

(Fonte: Università degli Studi di Firenze)


Cosa è stato fatto?
"Casualmente fu notato che la varietà Cesarini, un'accessione afferente alla collezione di germoplasma del pesco, non mostrava sintomi significativi della malattia. Da questa osservazione è nato un piano di miglioramento genetico che ha previsto una serie di autoincroci e incroci intervarietali mirati, potenzialmente, al trasferimento di tale carattere a varietà commerciali. I capostipiti di questi incroci e le loro progenie sono stati valutati per oltre quattro anni per la loro suscettibilità alla bolla del pesco.

Si è trattato, quindi, di un lavoro lungo e complesso, come spesso accade per il miglioramento genetico delle specie arboree da frutto, che ha richiesto un forte impegno per la realizzazione degli incroci e per la coltivazione dei genotipi ottenuti.

 

Un lavoro reso difficile per quanto riguarda la valutazione della tolleranza alla malattia, perché l'intensità degli attacchi da bolla del pesco è fortemente influenzata dall'andamento stagionale e, di conseguenza, non è sempre facile attribuire la sintomatologia osservata alla tolleranza della singola pianta o a condizioni ambientali che hanno limitato la capacità del fungo di arrecare danno".

 

Avete ottenuto delle cultivar tolleranti?
"Non abbiamo ottenuto una cultivar, ma abbiamo realizzato uno studio di popolazione che ci ha permesso di capire in che modo questo carattere si esprime e viene trasmesso".

 

Dottoressa Nin, quali sono stati quindi i risultati principali di questo lavoro?

"Il primo risultato emerso dallo studio è che nessun genotipo (che sia pesca o nettarina) è risultato completamente immune a Taphrina deformans. Sono stati però riscontrati diversi gradi di suscettibilità alla bolla, che variano da una tolleranza moderata a una suscettibilità elevata, a seconda della provenienza della progenie e, quindi, dei parentali utilizzati negli incroci.

 

La suscettibilità delle cultivar di pesco a Taphrina deformans è stata a lungo trascurata a livello mondiale, con rare eccezioni in Europa. La tolleranza a questa malattia non è mai stata tra i tratti prioritari per i breeders, che hanno preferito concentrarsi su caratteristiche come la produttività e la qualità del frutto, ignorando la resistenza alle malattie fungine come la bolla, che essendo di natura poligenica, rende il miglioramento genetico particolarmente complesso e richiede tempi molto lunghi.

 

L'uso di trattamenti fitosanitari ha mascherato ulteriormente il problema, poiché finora la gestione della bolla è stata principalmente affidata a interventi chimici che riducono i sintomi anche nelle piante suscettibili. In effetti, anche noi ci siamo resi conto della variabilità nella tolleranza alla bolla solo quando i trattamenti sono venuti a mancare.

Negli ultimi anni, l'interesse per la selezione di cultivar resistenti o tolleranti alla malattia è cresciuto, soprattutto in un'ottica di riduzione dell'uso di prodotti chimici e fitosanitari. Nonostante ciò, la maggior parte delle cultivar attuali continua a essere suscettibile o molto suscettibile alla malattia.

 

Il valore di questa pubblicazione risiede nell'importante contributo che fornisce alla conoscenza della trasmissione ereditaria di questo carattere, evidenziando le coppie parentali più promettenti per trasmettere la tolleranza alla bolla. Si tratta di un lavoro di grande valore, soprattutto considerando la difficoltà di disporre di così tante popolazioni di incrocio e un numero così ampio di semenzali da valutare. Un limite del miglioramento genetico classico è infatti la lunga giovanilità delle piante e i costi elevati per il loro allevamento, che rallentano i progressi nelle specie fruttifere.

 

I risultati sottolineano l'importanza di combinare dati fenotipici e genetici nello sviluppo di cultivar di pesco tolleranti, considerando anche la variabilità ambientale che influisce fortemente sulla gravità dei sintomi. Tuttavia, il principale limite di questo studio è che si tratta di un miglioramento genetico classico, privo di un'integrazione molecolare che potrebbe apportare rapidi avanzamenti nella comprensione e selezione della resistenza, consentendo di identificare con maggiore precisione i geni coinvolti".

 

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La dottoressa Stefania Nin del Crea Orticoltura e Florovivaismo

(Fonte: Crea)

 

Questo lavoro potrebbe avere un valore e una utilità per un approccio di ingegneria genetica?
"In qualche modo sì, in quanto abbiamo aperto una strada indicando alcuni parentali promettenti come buoni combinatori per i tratti di resistenza. Su questi genotipi sarà possibile intervenire sull'espressione genica e sulla mappatura molecolare, sebbene l'identificazione dei geni e dei percorsi che conferiscono tolleranza al fungo sia un compito complesso, a causa delle intricate interazioni molecolari tra il patogeno e le cellule dell'ospite"
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