La rogna dell'olivo è una malattia batterica piuttosto diffusa praticamente in tutte le zone dove si fa olivicoltura in Italia, e non solo.
Ma come si sviluppa l'infezione, quali sono i batteri che contribuiscono alla formazione dei tumori e come cambia il decorso e lo sviluppo della malattia in cultivar diverse?
Lo abbiamo chiesto al dottor Matteo Zucchini, dell'Università Politecnica delle Marche, che ha condotto insieme alla collega dottoressa Antonietta Maoloni, un lavoro di ricerca proprio su questi aspetti, pubblicando poi i risultati sulla rivista scientifica PlosOne.
Dottor Zucchini, cosa avete fatto in questo studio?
"Tutto parte dalla gelata del 2018 che colpì pesantemente gli ulivi delle Marche e di gran parte della costa adriatica. A seguito della gelata ci fu un'esplosione di casi di rogna che colpì tutti gli olivi ma in maniera diversa a seconda delle varietà. Da lì partì l'interesse per vedere come questa malattia attaccasse in maniera diversa le piante, per capire se quelle più colpite erano effettivamente le più suscettibili o erano quelle che avevano subito più danni da freddo e quindi avevano avuto più ferite. Capimmo che i danni maggiori erano su quelle piante che avevano avuto più ferite da freddo. Quindi abbiamo continuato a studiare per valutare quali cultivar siano invece meno suscettibili, cioè che si ammalino meno, e come la malattia si sviluppa sulle piante. E per farlo abbiamo fatto delle prove su piante in vaso, ferite artificialmente e inoculate con batteri isolati dai tumori delle piante malate".
Tutti sappiamo che la rogna dell'olivo è causata dal batterio Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi, ma ci sono anche altri microrganismi coinvolti nell'infezione? E che ruolo hanno?
"Andando a isolare i batteri dai tumori delle piante malate, abbiamo trovato diverse specie di batteri appartenenti al genere Pseudomonas e li abbiamo inoculati tutti (compreso Pseudomonas savastanoi pv.savastanoi). A fine prova in tutti i tumori di tutte le varietà abbiamo ritrovato solo Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi, confermando che è quello l'agente patogeno che causa la malattia. In ogni caso altri batteri possono contribuire alla formazione dei tumori ed è noto che alcuni siano dei simbionti di Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi, a cui apportano benefici, provocando tumori più grossi sulle ferite".
Voi avete valutato se i batteri, una volta entrati nella pianta, possano diffondersi da soli ampliando le zone infette. Che cosa avete scoperto?
"Anche se la rogna dell'olivo è una malattia nota e studiata da moltissimi anni, non è ancora chiaro se i batteri una volta entrati nella pianta da una ferita possano diffondersi e causare danni e tumori anche in zone diverse rispetto alla ferita da cui sono entrati. Alcuni studi sostengono di sì ma con scarse prove sperimentali. Dalle nostre prove è apparso un dato netto: le ferite che non erano state inoculate da noi con il batterio si rimarginavano sempre senza mai presentare tumori. Quindi dalle nostre prove possiamo dire che il batterio non è in grado di diffondersi da solo nella pianta, almeno in tempi brevi. E questo ci dice che per la prevenzione della rogna una delle cose fondamentali sia ridurre al minimo le ferite".
Avete valutato gli effetti di cultivar diverse, quali? E perché avete scelto quelle?
"Abbiamo usato 13 cultivar (di cui due ripetute): Rosciola Colli Esini, Ascolana Tenera, Ascolana Dura, Carboncella, Frantoio, Fs-17®, Leccino, Leccio del Corno, Pendolino, Arbequina, Piantone di Falerone, due cloni a Piantone di Mogliano (A e B), due cloni di Maurino (A e B). Le abbiamo scelte in parte perché ci avevamo già lavorato nel 2018, in particolare per quelle della Regione Marche, come Rosciola Colli Esini, Ascolana Tenera, Ascolana Dura, Carboncella, Piantone di Mogliano e Piantone di Falerone, in parte perché di interesse nazionale, come Frantoio, altre perché impiantabili nelle zone colpite da Xylella, come il Leccino e la Fs-17® e altre perché interessanti per gli impianti ad alta densità come, il Leccio del Corno, Maurino, il Piantone di Mogliano e l'Arbequina".
E che differenze ci sono tra le varie cultivar?
"Dal punto di vista dello sviluppo dei tumori, tutte e 13 le varietà hanno mostrato un loro sviluppo su molte ferite inoculate con i batteri, ma alcune ne hanno prodotti pochi e piccoli come il Maurino, il Piantone di Falerone, il Leccio del Corno e il Leccino. Questo è un indice di una minore suscettibilità, anche se abbiamo notato molta variabilità nelle risposte anche nella stessa cultivar da pianta a pianta. Mentre la peggiore, cioè la più suscettibile, quella che si è ammalata con i sintomi più severi è indubbiamente la Rosciola Colli Esini, quella che dopo la gelata del 2018 si era ammalata meno, confermando che in quel caso era stata la sua tolleranza al freddo e quindi le minori ferite ad aver causato un attacco di rogna minore".
Esistono cultivar resistenti o al limite meno suscettibili?
"Cultivar veramente resistenti, cioè che non si ammalano, no. In tutte le prove, fatte anche da altri ricercatori, le piante inoculate sperimentalmente si ammalano sempre tutte, anche se a livello sperimentale si usa una quantità di batteri nell'inoculo molto alta. Per quanto riguarda quelle meno suscettibili, in qualche modo tolleranti, si può indicare sicuramente il Leccino e il Leccio del Corno, che sono sicuramente quelle che subiscono meno i danni dovuti alla malattia".
A quali conclusioni si può arrivare dai risultati della vostra ricerca? E ci sono degli sviluppi che possono essere interessanti dal punto di vista della pratica di campo?
"Sì, dal momento che il batterio è praticamente sempre presente sulle superfici di foglie e rami, sicuramente la strategia principale è quella di ridurre al minimo le ferite sulle piante. E questo si può fare usando piante più tolleranti al freddo nelle zone con maggiori rischi di gelate tardive o con piante meno suscettibili alla malattia in altre zone.
Poi può essere importante anche l'asportazione tramite potatura, dei rami maggiormente colpiti dai tumori.
Un altro approccio, per quanto ancora da approfondire bene, è quello di cercare di mantenere un'elevata biodiversità di microrganismi sulla pianta. Infatti, oltre a batteri simbionti, quindi utili per Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi, ce ne sono anche molti antagonisti diretti o indiretti (occupando la nicchia più velocemente). Quindi, per quanto possa sembrare paradossale, in futuro sarà importante ridurre al minimo i trattamenti a base di rame, che hanno un effetto negativo ed indiscriminato su tutti i microrganismi del sistema oliveto".