La renna Rudolph a volte conduce la slitta di Babbo Natale verso lidi inusuali. Il pacco da consegnare in questi giorni di vigilia natalizia, infatti, era destinato a un tribunale della California e conteneva una sentenza favorevole a Bayer sull'annoso tema delle cause predatorie su glifosate.
Di ciò se n'era già dato conto più volte su AgroNotizie: al primo giro si affrontò l'annosa questione della scienza in tribunale. Cioè quanto sia inutile e capzioso sfruttare una sentenza per sostenere tesi di carattere prettamente scientifico. Vizio abbastanza comune fra i detrattori di glifosate.
Alla seconda tornata si parlò invece dei budget multimilionari investiti dagli studi legali in pubblicità per reclutare querelanti da scagliare contro la Casa americana prima, tedesca poi. La terza puntata sul tema "glifosate a processo" venne poi dedicata alla quinta vittoria di fila ottenuta da Leverkusen, nel Missouri.
Infine, è di recente pubblicazione un articolo in cui si sezionano diversi commenti No-Glypho raccolti sui social. Fra questi, ancora, ve ne sono alcuni che insistono col considerare prove scientifiche le sentenze di un giudice.
Fatto salvo che la musica non cambia, cioè una sentenza in tribunale non è e non potrà mai essere considerata come prova scientifica, oggi va data una notizia che potrebbe mandare in cortocircuito i sostenitori della tesi opposta, quelli che cioè spammano sul web le sentenze avverse a Bayer e supposte a favore delle proprie tesi farlocche. Peccato poi che questi soggetti facciano gli gnorri quando accade il contrario.
Già, perché Rudolph a questo giro è proprio questo che ha fatto: ha messo sotto l'albero natalizio di Bayer una bella sentenza a lei favorevole. Per giunta in California, lo Stato in cui tutto cominciò con la causa di Dewayne Johnson, giardiniere poi deceduto a causa di un linfoma non Hodgkin per il quale era stato accusato, ovviamente, glifosate. Quasi comico il successivo arresto di uno degli avvocati di quel primo processo, Timothy Litzenburg, a seguito del tentativo di estorcere denaro a una multinazionale della chimica, minacciandola di montarle contro un caso come quello ordito contro Monsanto.
Con l'ultima sentenza, del 22 dicembre scorso, la Corte Superiore della California, riunitasi nella contea di San Benito, ha decretato che no, glifosate non è il fattore scatenante il tumore dei querelante. Massima soddisfazione da parte di Bayer, ovviamente, ma altrettanto massima va tenuta l'attenzione sul punto principale del contendere: un tribunale non è sede di valutazione scientifica, seguendo iter e schemi logici che troppo spesso non sono quelli che la scienza vorrebbe.
Così, esattamente per le stesse ragioni di cui sopra, la notizia della vittoria di Bayer a San Benito non può e non deve essere presa a prova scientifica dell'innocenza di glifosate. Questa è stata sancita nelle sedi più opportune: Efsa, Epa, Echa, Oms e un'altra ricca messe di Autorità di regolamentazione al mondo.
E che la Iarc, per quanto possa sembrare irriverente affermarlo, si vergogni pure per la deprecabile monografia 112 con cui ha posto glifosate in Gruppo 2A, quello dei probabili cancerogeni per l'uomo, aprendo di fatto la strada all'infinità di cause predatorie che il produttore sta subendo da anni. Talvolta vincendole.