La data del 10 agosto 2018 viene ricordata soprattutto per una sentenza, quella emessa dal tribunale di San Francisco contro Monsanto, ormai Bayer. La Casa di St. Louis è stata infatti condannata a versare 289 milioni di dollari a Dewayne Johnson, giardiniere che dal 2012 ha utilizzato formulati a base di glifosate, attribuendo ad essi il linfoma non Hodgkin che lo ha colpito e che, purtroppo, pare non gli lasci molti mesi di vita. Cosa che per un uomo di neanche 50 anni, padre di tre figli, non può che muovere a compassione.

Solo due mesi dopo, l'11 ottobre, dagli States arriva però una notizia di segno contrario: la giudice Suzanne Bolanos Ramos riapre i giochi, chiedendo alle parti di presentare prove aggiuntive.

Come spesso accade, alla prima notizia è stata data un'enfasi quasi isterica da parte dei detrattori della chimica agraria, mentre la seconda è passata molto più defilata. Al di là però dell'usuale doppiopesismo che marchia tali situazioni, AgroNotizie ha voluto vederci un po' più chiaro e ha intervistato lei, la Giustizia.
 
La giustizia: a volte è cieca, come la fortuna (Fonte: billionphotos fotolia)
La giustizia: a volte è bendata, come la fortuna
(Fonte: © billionphotos - Fotolia)

Cara Giustizia, ormai abbiamo la prova provata che glifosate è cancerogeno. O sbaglio?
"Sbaglia. Abbiamo solo una sentenza di primo grado che condanna una società a versare una cifra di 289 milioni di dollari a un privato cittadino. Sui perché e sui percome va però chiarito tutto. Le prove sono prove, è vero, ma non si deve mai confondere quello che è una prova da tribunale con quello che rappresenta una prova da laboratorio. L'arma del delitto con le impronte del sospettato è una prova da tribunale. Un report scientifico che afferma che una sostanza è dannosa non implica necessariamente che la persona danneggiata lo sia stata a causa di quella sostanza".

Mi scusi, ma non capisco. Se quella sostanza è dannosa e qualcuno ha avuto un danno, non è abbastanza chiaro che la colpa è della sostanza?
"Piano: intanto la parola 'colpa' ha una ben precisa connotazione. In tema di diritto si parla di colpa quando sia mancata l'osservanza delle regole di condotta suggerite dalla prudenza, dalla diligenza e dalla perizia. Oppure stabilite da precise norme giuridiche per evitare il verificarsi di un fatto illecito o comunque dannoso. In sintesi, se Le esplode in mano il cellulare perché il costruttore ha utilizzato batterie economiche e difettose, il nesso causale fra la negligenza e le sue dita danneggiate è lampante, a meno che Lei ci stesse facendo il bagno alle terme chattando sott'acqua. Se Lei si ammala di mesotelioma pleurico, tipico dell'amianto, ed era un operaio della Eternit, anche in questo caso il nesso appare robusto. Meno che nel caso della batteria, ma robusto. Se Lei sviluppa invece un tumore perché usava un diserbante è tutto da provare che sia quello la causa del suo male, se a carico di quel prodotto le prove sono tutt'altro che chiare circa la sua cancerogenicità. Negli Usa ci sono stati nel 2017 circa un milione e 700mila casi di tumore, con 600mila morti. Solo di linfoma non Hodgkin si sono ammalati 72mila americani e ne sono morti 20mila. Capisce bene che le probabilità che Dewayne Johnson abbia sviluppato il cancro solo a causa di glifosate sono decisamente nell'ordine dello zero virgola".

Eppure per la Iarc glifosate è un probabile cancerogeno…
"Appunto, probabile in senso lato. Nel senso che sarebbero state ravvisate da Iarc deboli evidenze che possa causare linfoma non Hodgkin negli utilizzatori. Se no sarebbe finito dritto in gruppo 1, quello dei sicuramente cancerogeni. Al contrario, quelle evidenze sono divenute decisamente flebili di fronte all'ultima pubblicazione in tema di glifosate, risalente a fine 2017, in cui si dimostrava come non vi fosse alcun nesso fra uso di glifosate e quel tipo di linfomi fra gli operatori professionali. Cioè i più esposti. Né vi fossero legami fra glifosate e una decina circa di tumori diversi. Peccato che quello studio, il più robusto mai realizzato, sia rimasto nel cassetto invece di essere valutato dalla Iarc coi risultati che ormai tutti sappiamo".
(approfondimenti: 'Iarc contro il resto del mondo', 'Glifosate e quegli studi rimasti nel cassetto' e 'Non c'è indipendenza senza trasparenza')

Quindi il nesso di causalità Lei lo ritiene troppo labile per emettere una sentenza?
"Guardi, sul tema scienza e giustizia è stato scritto un libro che consiglio vivamente, ovvero 'La scienza in tribunale' di Luca Simonetti, avvocato appassionato appunto di scienza. Fra i molti casi in esso trattati, fra i quali Stamina, Xylella, vaccini e terremoti, si trova anche una sintesi efficace del concetto di causalità. Simonetti ricorda innanzitutto come nel diritto penale la responsabilità di un fatto debba essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Tale certezza nasce quando esiste una 'spiegazione generale' che individui nessi regolari e costanti, cioè generalizzabili e ripetibili fra l'evento oggetto del contendere e i suoi antecedenti. Deve cioè esistere una legge scientifica universale o statistica che conduca regolarmente dal fatto 'A' al fatto 'B'. Importantissima la parola 'regolarmente', perché rappresenta la base per affermare che vi è un nesso causale fra due eventi altrimenti non collegabili. Una sentenza di condanna, sempre secondo Simonetti, dovrebbe quindi essere emessa solo a fronte di argomenti inoppugnabili e non a fronte di convincimenti liberi e arbitrari".

E nel caso di Dewayne Johnson, non ci sarebbe?
"Decisamente no. Inoltre, la querelle partiva da un errore di fondo: ritenere Monsanto responsabile per non aver scritto sull'etichetta dei suoi prodotti a base di glifosate che essi potessero essere cancerogeni, in modo che gli utilizzatori potessero comportarsi più diligentemente, proteggendo meglio la propria salute. Fatto però di cui si dubita, visto che ben pochi fumatori hanno smesso di fumare dopo l'obbligo di scrivere sui pacchetti che il fumo causa il cancro. Ma l'argomentazione cade nel vuoto pensando che sono le Autorità di regolamentazione che decidono cosa vada o non vada scritto in etichetta. Un prodotto che non viene considerato cancerogeno dalle suddette autorità, non ha alcun obbligo di riportare in etichetta tale dicitura. E ci sono molti altri casi che a questo punto solleticano la mia curiosità".

E quali sarebbero?
"Ci pensi un attimo. Se le monografie Iarc fossero la base per esprimere condanne in tribunale in merito alle responsabilità oncologiche di chicchessia, ci troveremmo in situazioni al confine col paradossale e anche oltre. Per esempio: sapendo che l'alcol è in gruppo 1 Iarc (sicuramente cancerogeni), si dovrebbero forse obbligare i produttori di birre, vino o whisky ad apporre sulle etichette la dicitura 'Attenzione: l'alcol provoca il cancro'? Perché ora come ora se a un bevitore venisse un tumore al fegato potrebbe benissimo fare causa al suo produttore preferito di alcolici. Sulle sigarette, del resto, già vige questo obbligo, non sarebbe quindi così strano per gli alcolici, visto che l'alcol ricade nel medesimo gruppo Iarc del fumo. Sorpresa! Ma anche le carni lavorate sono in gruppo 1. Pensano forse gli americani di obbligare i venditori di hot dog ad apporre un cartello che avvisa la gentile clientela che le salsicce in essi contenuti causano il cancro? Infine, dato che le carni rosse stallano nel medesimo gruppo di glifosate, il 2A, probabili cancerogeni, pensano forse di obbligare in futuro i macellai e le grandi catene di distribuzione in cui si vendono bistecche ad esporre analoghe avvertenze a favore della clientela, come si pretenderebbe dovesse fare Monsanto per il suo diserbante? Ora però mi taccio: non vorrei dare troppe idee bizzarre agli allarmisti di professione e a tutti coloro i quali speculano sulle disgrazie della gente, a partire da certi studi legali dai denti molto affilati…"

Sì, forse meglio tacere o ci troviamo obblighi scritti anche sui panini con la mortadella. Peraltro, la sentenza di San Francisco è per giunta di primo grado. Tutto deve ancora succedere…
"Esatto. Invece l'orgia mediatica si è impossessata dei media non appena la notizia della condanna ha varcato l'oceano, salvo poi sfumare alla notizia della possibile revisione. Peraltro, i 289 milioni di dollari mica finiscono nelle tasche di Dewayne Johnson al momento. Saranno tenuti dal Tribunale, dando al querelante che ha vinto in primo grado gli interessi maturati fino a chiusura definitiva della causa. In sostanza, vinca o perda, Dewayne Johnson e i suoi avvocati possono contare su oltre un milione e mezzo di dollari, considerando un paio di anni allo 0,25% di interesse. Un affare comunque finisca la disputa, non trova?"

Trovo. Oltretutto, i ribaltamenti di giudizio non sono rari, mi risulta.
"Tutt'altro: sono molto frequenti. Pensi al caso forse più emblematico in Italia, ovvero il Caso Tortora: dieci anni in primo grado, assolto in appello. E lì non c'era neanche la scienza in tribunale. Più simili al caso di cui sopra sono le sentenze contro la Commissione grandi rischi, i cui esperti furono condannati in primo grado per il terremoto dell'Aquila, salvo essere poi assolti nei due gradi di giudizio successivi. Ancora, nel 2012 il giudice del lavoro di Rimini, in Romagna, riconobbe un risarcimento ai genitori di un bambino autistico, vaccinato. Fra le prove portate dai consulenti dei querelanti compare pure la famigerata ricerca di Andrew Wakefield, pubblicata e poi ritirata dal Lancet in quanto rivelatasi una frode scientifica. Ribaltata fortunatamente in appello nel 2015, tale sentenza era peraltro stata emessa senza la costituzione in giudizio del ministero della salute, venendo poi utilizzata come precedente giurisprudenziale in altre cause civili avviate successivamente e dando quindi ulteriore fiato alla cosiddetta 'vaccine hesitancy' responsabile del calo vaccinale. E per i bambini morti nel frattempo di encefalopatie da morbillo a chi facciamo causa?"

A nessuno, temo. Ma alla fine, la linea di Dewayne Johnson si basava quindi su quella frase in etichetta?
"Più o meno. Il querelante ha detto in tribunale di essersi bagnato ripetutamente con il prodotto, a causa della pompa a spalla difettosa. In pratica, lui stesso ha descritto comportamenti che cadono molto lontani da quelli che sono previsti dalle normative sulla sicurezza sul posto di lavoro. Nessuno deve lavorare inzuppandosi con i prodotti che adopera. Se lo fa è da considerarsi negligenza sua e, al limite, del suo diretto datore di lavoro. Non certo del prodotto che stava adoperando".

Sarebbe un po' come fare causa a un produttore di smartphone per aver fatto un incidente mentre si chattava anziché guardare dove stava andando la vettura…
"Appunto. E, mi creda, c'è pure chi ci ha provato a fare causa in tal senso. Ovviamente vedendosi respingere le richieste. Se usi impropriamente auto e smartphone, non puoi fare causa né al costruttore di auto, né a quello di smartphone. Eppure c'è chi ci prova. Mi creda, dietro a certe cause o class action, specialmente in America, si celano soprattutto interessi milionari di persone che nulla avrebbero da chiedere e studi legali che si sono specializzati in siffatti business. Solo che chissà perché, ondate di sdegno verso tali soggetti non se ne vede mai".

Sì, in effetti uno strano modo di guardare il mondo. Perché non sempre David è il piccolo e buono. Né Golia è il grosso e cattivo. A volte succede proprio l'opposto.