Le tematiche legate al clima, alla sua recente evoluzione e alle possibili conseguenze di questi cambiamenti sulla vita sulla nostro pianeta sono al centro di uno dei più attuali e vivaci dibattiti internazionali. La maggior parte delle scienziati è giunta alla conclusione che la variazione del clima è un fenomeno naturale causato da fluttuazioni dell'energia solare, dalle eruzioni vulcaniche, dalla variazione dell'orbita terrestre e dall'interazione tra atmosfera e oceani. L'uomo ha forzato tale variabilità alterando i valori medi e gli intervalli entro cui si verificano i fenomeni atmosferici, inducendo i cosiddetti 'cambiamenti climatici', che consistono fondamentalmente in variazioni nella composizione atmosferica e, come conseguenza, in modificazioni nei valori della temperatura e nel regime delle precipitazioni in termini di intensità e frequenza.
Nell'ambito del 9° Congresso internazionale di patologia delle piante (Icpp), tenutosi a Torino dal 24 al 29 agosto 2008, si è svolto il convegno dal titolo 'Cambiamenti climatici e malattie delle piante', che ha affrontato tematiche relative al modo in cui questi cambiamenti possono influire sull'ambiente, sull'agricoltura e, in particolare, sulle malattie delle piante.
L'attenzione della ricerca è da tempo focalizzata sulle possibili cause e sui potenziali effetti dei cambiamenti climatici, in seguito al verificarsi, durante gli anni Settanta, di variazioni più importanti rispetto a quelle riscontrate nei decenni precedenti; inoltre a partire dalla metà della stessa decade si è rilevato che, malgrado il progresso delle tecnologie agrarie (messa a punto di cultivar più produttive e di strategie innovative di difesa e di gestione della fertilizzazione), il clima continuava a causare notevoli perdite nelle produzioni vegetali.
Gli studi finora condotti dimostrano come i cambiamenti climatici possano indurre variazioni nelle produzioni agricole a causa di effetti diretti sulla fisiologia e sulla morfologia delle colture e di effetti indiretti sul ciclo degli elementi nutritivi, sull'interazione coltura - infestante e sulla comparsa di patogeni e insetti dannosi.
Il potenziale impatto dei cambiamenti climatici è stato simulato e studiato in prove sperimentali condotte in ambiente protetto (fitotroni, camere di crescita, tunnel) o in condizioni di campo, oppure è stimato attraverso l'impiego di modelli di simulazione climatica abbinati a modelli di crescita. Poiché attualmente le conoscenze relative all'impatto dei cambiamenti climatici sulle malattie delle piante risultano carenti, l'impiego combinato di modelli di simulazione (climatica, produttiva ed epidemiologica) risulta lo strumento più adatto, nonché il più economico, al fine di comprendere in quale modo i patosistemi possano reagire ai cambiamenti. L'approccio modellistico consente di considerare l'interazione ospite-patogeno-clima e di elaborare uno scenario futuro verosimile. La variabilità del clima, inteso come sequenza di eventi meteorologici, può infatti incidere sia sulle fasi del ciclo di sviluppo di ospiti e patogeni, sia sull'interazione di tali organismi tra loro.
Esistono in questo senso le classiche due facce della medaglia. Prendendo in considerazione, ad esempio, l'anidride carbonica, i modelli elaborati dagli studiosi prevedono un incremento delle rese dovuto all'innalzamento della concentrazione di tale gas nell'atmosfera (effetto fertilizzante), che causerà un'intensificazione della fotosintesi e un miglioramento dell'efficienza nell'uso dell'acqua da parte dei vegetali con conseguente aumento della produttività; è stato dimostrato anche che una pianta allevata in ambiente più ricco di Co2 mostra una maggiore resistenza nei confronti di patogeni e parassiti grazie alla maggiore efficienza di alcuni meccanismi di difesa messi in atto. D'altro lato piante caratterizzate da maggiore rigoglio vegetativo permettono l'instaurarsi al loro interno di microclimi che favoriscono l'insediamento di particolari patogeni, oppure offrono un arricchito substrato di alimentazione a molte specie di insetti e patogeni fogliari. Se da un lato l'aumento delle temperatura media del pianeta permetterà di estendere alcuni areali di coltivazione verso latitudini maggiori grazie a temperature più miti, dall'altro l'intensificarsi di fenomeni atmosferici estremi (inondazioni e uragani nelle aree temperate o, all'opposto, ondate di siccità ad esempio nel bacino del Mediterraneo) e la maggior frequenza dei cicli riproduttivi di alcuni parassiti porteranno con sé grave danno alle coltivazioni con conseguenti effetti negativi sulla produzione agricola.
Nel complesso saranno tre i fenomeni principali che potrebbero interessare i diversi sistemi ospite/patogeno e su cui si dovrà concentrare l'attenzione degli studiosi:
• una modificazione nelle perdite di produzione legate a malattie
• una variata efficacia delle strategie di difesa (mezzi chimici e mezzi di lotta biologica)
• una variazione della distribuzione geografica dei patogeni.
Presso l'Università di Torino è stato scelto come caso studio quello della peronospora della vite, patogeno chiave di questa coltura così importante per il settore agricolo piemontese, per capire come evolverà l'epidemiologia di questo patogeno in uno scenario di cambiamento climatico. I modelli hanno previsto un intensificarsi delle epidemie future a causa delle condizioni climatiche più favorevoli al patogeno durante i mesi di maggio e giugno; temperature in media più alte non riusciranno ad essere controbilanciate dall'effetto della riduzione delle precipitazioni, imponendo di conseguenza un maggior ricorso a trattamenti chimici volti a contenere il patogeno (fino a due in più rispetto a quelli attuali).