Quando si parla di proprietà intellettuali, o di valori economici delle medesime, la polemica è sempre dietro l'angolo. Forse perché le idee, essendo immateriali, non vengono percepite come proprietarie di qualcosa. O forse perché si pensa che in fondo a copiare un'idea non si rubi niente a nessuno. Tipico, per esempio, il caso di chi duplica della musica, cosa che si ritiene ogni adolescente del passato e del presente abbia fatto più volte, passando dei brani da disco a cassetta, quando ancora esistevano, o da cassetta a cassetta. Comprando una sola copia del disco non vi era poi amico della compagnia che non potesse ascoltare quella musica grazie agli strumenti casalinghi allora comunemente a disposizione.
In realtà, anche tale prassi apparentemente innocua era, e resta, un reato, ma tutti chiudevano un occhio se ci si limitava a utilizzare i nuovi supporti senza ottenerne ricavi economici. Diversa la situazione per i contraffattori veri e propri, cioè quelli che duplicavano e duplicano musica o film per poi rivendere copie praticamente identiche agli originali. La filiera del falso è infatti una piaga diffusa nel belpaese e non soltanto.
In tale secondo caso, il reato è certamente più deprecabile e rischioso, in quanto il duplicatore realizza e poi vende un prodotto sul quale non ha alcun diritto da esercitare: non ha prodotto lui i contenuti di quel cd, né di quel dvd. Ha solo acquistato una copia dell'opera originale, poi le materie prime e le attrezzature atte alla sua moltiplicazione ed è diventato una succursale abusiva di vendita di qualcosa che non gli appartiene. Perché le custodie le avrà pure pagate lui, i supporti grezzi pure, anche l'inchiostro e l'incellofanatura, ma la musica o il film che vi sono contenuti, no. Non ha contribuito minimamente a crearli, né alcuno comprerebbe quei supporti se non vi fosse impressa sopra quella data canzone o quel dato film. In sostanza, è il contenuto immateriale (l'idea) che dà valore economico, non l'oggetto materiale in sé (il supporto).
Si chiama proprietà intellettuale e permea ogni oggetto che derivi da idee e investimenti altrui. "Rubare" un'idea finché non è stata debitamente protetta non è reato, semmai ingenuità di aver condiviso imprudentemente i propri pensieri con persone dotate di scarso senso etico. Ma una volta che questa viene depositata i giochi sono finiti: quel dato bene non può più essere duplicato a meno di una specifica autorizzazione da parte del proprietario intellettuale del bene stesso. Il tutto gratuitamente, oppure a pagamento. Del resto, se con una buona idea e con degli investimenti si è creato qualcosa che aggiunge valore alla vita altrui, è anche lecito trarne un profitto. Specialmente se quel bene è di fatto duplicabile anche da terzi amplificandone ed estendendone i benefici a tutti. Quei terzi potrebbero però erroneamente pensare di poterlo moltiplicare all'infinito solo per il fatto di averlo acquistato una prima e sola volta. E così ovviamente non è.
Dalla musica ai cereali
Sicasov si è quindi mossa in previsione delle nuove semine dei cereali, attivando una serie di controlli da operarsi sulle aziende agricole che ricorrano a selezionatori mobili, cioè quegli operatori del settore in grado di operare la debita pulizia dei semi prima di riseminarli. Si parla di centri di stoccaggio, commercianti o contoterzisti. Tutte attività lecite, a patto però di riconoscere i diritti del costitutore di quella ben precisa varietà che si intende riseminare.Tali diritti servono per continuare ad alimentare quelle attività di ricerca che hanno permesso nel tempo di contare su raccolti fino a dieci volte superiori a quelli di un secolo fa. Come pure ha permesso di avere varietà tolleranti ai più comuni patogeni, facendo risparmiare magari sugli specifici agrofarmaci. Oppure ancora capaci di tollerare meglio carenze idriche o condizioni del suolo poco ospitali.
Insomma, se oggi la mietitrebbia raccoglie tanto e bene, è in larga parte dovuto a quegli sforzi fatti per sviluppare le diverse varietà in chiave produttiva, sia per qualità, sia per quantità. Serve un grano con maggior colore? Pronti: la ricerca ne mette a punto qualcuna. Servono più proteine? Idem come sopra. Tutte caratteristiche che permetteranno poi agli agricoltori di vedersi meglio remunerare il prodotto raccolto. A patto di saper lavorare bene in campo, ovviamente.
Un grano duro con il 13% di proteine viene quotato a Bologna (04 ottobre 2021) fra i 485 e i 490 euro alla tonnellata. Un prezzo di sicuro interesse rispetto a quelli di solo un paio di anni fa. Un prezzo che cala a 479-484 euro/ton per proteine al 12%, scendendo ulteriormente a 465-469 per grani duri con solo l'11% di proteine. Tradotto: guadagnare è possibile e molto può fare la perizia dell'agricoltore stesso. Cercare di aumentare il proprio reddito aziendale è quindi intenzione lecita e condivisibile, ma non scaricando a monte il mancato riconoscimento del valore raccolto. Questo è semmai tema annoso che va mitigato agendo sulla filiera a valle, quella che ora da un po' di tempo ha dovuto alzare il prezzo significativamente, le sia piaciuto o meno poco importa, per lo meno agli agricoltori. Quelli cioè che in altri tempi si sono visti riconoscere prezzi che sfioravano l'infamia e che ora è comprensibile vogliano cogliere appieno le attuali condizioni di mercato.
Sterili appaiono però le varie lagnanze registrate in questi giorni, incentrate sul basso reddito dei cerealicoltori quale scusante per non riconoscere l'equa remunerazione ai costitutori. Ciò perché tali diritti vanno riconosciuti solo a fronte di produzioni aziendali superiori a 92 tonnellate di cereali o 185 tonnellate di patate. Considerando che le rese di grano duro, tanto per restare sul tema, possono andare dalle 3,5-4 tonnellate per ettaro alle 5,5-6 nelle aree più favorevoli, vuol dire che a pagare tali diritti sono chiamati agricoltori che abbiano almeno da 15-16 ettari nelle aree a maggior resa fino a 22-23 ettari in quelle meno produttive. Quindi buona parte dei cerealicoltori italiani, operanti su superfici non certo "francesi", può stare tranquilla: la risemina di parte del raccolto non implicherà versamenti in denaro ai costitutori. Per gli altri invece sì: il riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuali dovrà essere riconosciuto.
Il pagamento dovrà essere effettuato entro il termine ultimo del 30 giugno successivo alla data di semina. Oltre tale data, come da comunicato di Sicasov, "[...] l’agricoltore, che non abbia ottemperato a questo obbligo di legge, è da considerarsi contraffattore, e perseguibile penalmente. I controlli effettuati sul territorio italiano, grazie agli accordi con la Guardia di Finanza e la Repressione Frodi, hanno generato denunce penali nei confronti delle Aziende Agricole che, non avendo dichiarato il reimpiego di seme aziendale, hanno violato la proprietà intellettuale delle varietà protette gestite da Sicasov".
A quanto pare, il tempo delle cassette musicali tarocche, da riavvolgere rigorosamente roteandole in area con una penna Bic, sono finiti. Sarà bene accettarlo.