La Germania si ritrova a fare i conti con l'afta epizootica.
Un'amara sorpresa per una patologia quasi dimenticata, con l'ultimo caso denunciato nel 1988.
Anche negli altri Paesi europei gli ultimi episodi risalgono a molti anni fa, nel 2011 in Bulgaria e prima ancora, nel 2007, nel Regno Unito.
In Italia gli ultimi casi accertati dall'Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell'Emilia Romagna, che per questa patologia è centro di referenza nazionale, risalgono al 1993.
Ora è di nuovo allarme con la presenza del virus in un allevamento di bufale nel distretto di Märkisch-Oderland, nello Stato federale di Brandeburgo, a Nord Est di Berlino.
La conferma viene dal World Organisation for Animal Health (Woah), dopo che il Friedrich-Loeffler-Institut (Fli) ha accertato la presenza del virus.
Gli interventi
Le autorità sanitarie tedesche hanno confermato che sono state prese tutte le misure necessarie a contenere la diffusione del virus, che prevedono l'abbattimento degli animali e l'istituzione delle consuete zone di protezione e sorveglianza, che gli allevatori di suini in Italia conoscono purtroppo sin troppo bene per i recenti casi di peste suina africana.
Si è mosso anche il nostro Ministero della Salute che sta verificando le movimentazioni per individuare l'eventuale presenza di partite a rischio.
È stata diffusa prontamente una circolare dove si invitano le nostre strutture sanitarie ad aumentare la sorveglianza su tutto il territorio, sensibilizzando gli allevatori, in particolare di ruminanti e di suini, alla segnalazione di ogni caso sospetto.
Virus temibile
Il perché di tanta preoccupazione è legato alle caratteristiche del virus dell'afta epizootica, che alla elevata morbilità associa una forte resistenza nell'ambiente.
Si diffonde facilmente da un animale all'altro sia per contatto diretto fra animali infetti, sia attraverso prodotti dove il virus è presente o anche tramite le persone che sono venute a contatto con il virus.
A questo proposito va ricordato che non si tratta di una zoonosi e che il virus non rappresenta in alcun caso un pericolo per l'uomo.
Gli animali infetti producono una grande quantità di virus che emettono anche per via aerea in forma di aerosol, che può così diffondersi anche a distanza con il vento.
Una via di diffusione quest'ultima che vede protagonisti in particolare i suini.
L'ingresso del virus nell'animale può avvenire sia per via respiratoria sia per via digerente.
Gli animali guariti possono comunque ospitare il virus ed essere infettanti.
Nei bufali sono stati individuati portatori dopo 5 anni dalla remissione dei sintomi.
I sintomi
La malattia si manifesta dopo pochi giorni di incubazione e nei bovini provoca inizialmente sintomi generici, come febbre, abbattimento, sospensione della ruminazione e perdita di appetito.
Sintomi che si attenuano in breve e che proseguono con la formazione di vescicole sulla lingua e in generale sulla bocca.
Vescicole si trovano poi sugli unghielli, nello spazio che li divide. Da qui il termine di foot and mouth disease (malattia dei piedi e della bocca) con il quale questa patologia è conosciuta a livello internazionale.
Nei piccoli ruminanti la malattia decorre in modo analogo, ma con sintomi più lievi.
Nei suini, al contrario, la sintomatologia è marcata e può essere complicata nei suinetti da miocardite che porta a morte intere nidiate ancor prima che nelle madri la malattia sia conclamata.
Le vie del contagio
La presenza del virus e la sua grande capacità di diffusione (non a caso si chiama epizootica) impone drastiche misure di controllo e prevenzione.
Le carni fresche o congelate costituiscono un importante fattore di rischio per la trasmissione della malattia.
Mentre la frollatura inattiva il virus, in altre parti, come cervello e polmoni, il virus resta infettante.
Non ci sono rischi per il consumo, ma i residui di cibi, non trattati e dispersi nell'ambiente, rappresentano una possibile fonte di contagio.
Nel latte crudo, anche se refrigerato, il virus può sopravvivere per oltre due settimane.
La pastorizzazione riduce di molto, ma non completamente, il rischio di infezione.
Nemmeno il latte in polvere offre sufficienti garanzie, in quanto le alte temperature necessarie alla eliminazione del virus possono non essere raggiunte all'interno delle particelle.
Altri veicoli passivi dell'infezione possono essere gli uccelli, i topi e gli animali domestici.
Grande prudenza
Se le misure di contenimento dell'infezione sono state attuate con scrupolo e celerità in Germania (non esiste al momento motivo per dubitarne), il rischio per la zootecnia italiana è modesto.
In ogni caso la prudenza è d'obbligo ed è opportuno che a ogni livello, dalle strutture sanitarie interessate agli allevatori, si prenda ogni precauzione per evitare il contatto con il virus.
Dunque monitoraggio attento dei flussi di importazione da parte di chi ne ha responsabilità, e attenzione a far entrare in allevamento prodotti, animali e persone che possono anche accidentalmente essere venuti in contatto con il virus. Insomma, grande prudenza.