Il 23 settembre prossimo l'Unione Europea festeggerà la Giornata Europea del Biologico, decretata dalla Commissione Ue due anni fa per celebrare quello che per la Commissione del duo Ursula von der Leyen - Frans Timmermans (il vero "papà" del Green Deal e della strategia Farm to Fork) è molto più di uno stile di vita. È una vera e propria missione. Una vocazione da inculcare nella civiltà europea per incentivare produzioni - con l'obiettivo di arrivare al 25% della Superficie Agricola Utilizzata (Sau) a biologico entro il 2030 - e, conseguentemente, trascinare consumi che, in questa fase di inflazione e crisi del potere d'acquisto delle famiglie, stentano a riprendere quota e, anzi, sono purtroppo sottotono.

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Lo scenario economico, infatti, negli ultimi mesi è mutato profondamente e sui conti delle famiglie e dei consumatori pesa l'inflazione. Ne è un esempio, restando nell'alveo dell'agroalimentare, la crescita che in queste settimane hanno messo a segno i discount rispetto alla grande distribuzione tradizionale. Chi compra, insomma, cerca di spendere meno o, se possibile, di far quadrare i conti.

 

Logico che il biologico, segmento di nicchia con prezzi più alti, abbia subìto una flessione delle vendite in volume abbastanza sensibile. Minore, invece, l'impatto in valore, in quanto i listini di vendita negli ultimi mesi sono volati verso l'alto, compensando in parte i cali quantitativi.

 

E così, se in Italia si cerca di festeggiare con numeri pari a 5,4 miliardi di fatturato realizzati nei primi sette mesi del 2023, tralasciando sullo sfondo il calo preoccupante delle vendite, all'estero ci si chiede come riuscire a far rimbalzare in avanti il settore, per restituire smalto a quello che a tutti gli effetti è una soluzione produttiva sostenibile e più green rispetto ad altre produzioni convenzionali (attenzione però a non demonizzare chi si impegna ad essere sostenibile pur non essendo "organic").

 

In Francia e in Germania, due player che sono fra i più importanti per numeri in Europa, la crisi delle vocazioni bio si è fatta sentire. E c'è già chi ipotizza che la soglia del 25% di Sau a indirizzo bio entro il 2030 resti un obiettivo irraggiungibile.

 

La priorità, ora, diventa il sostegno del settore, per scongiurare che il ritmo delle conversioni dal convenzionale al bio, già in questa fase alquanto sincopato (sta andando ancora abbastanza bene nel vino) si blocchi e che ci si ritrovi a dover fronteggiare un arretramento, difficilmente recuperabile. Chi recede da un'esperienza bio, poi, difficilmente si riconverte.

 

Come fare? Evidentemente i sostegni della Politica Agricola Comune (Pac) e dei Programmi di Sviluppo Rurale (Psr) non sono sufficienti. Serve un'azione d'urto più efficace e rivolta a stimolare di nuovo i consumi, sostenere le esportazioni, favorire i biodistretti, rilanciare le certificazioni collettive. E poi valutare di abbattere l'Imposta sul Valore Aggiunto (Iva), di dedicare canali privilegiati agli alimenti biologici anche nelle mense pubbliche e nella ristorazione collettiva, garantire canali privilegiati di acquisto abbassando l'Iva o dando la precedenza al made in Italy biologico.

 

Servirebbe un Tavolo nazionale per il bio, con la definizione di politiche nazionali e a cascata regionali.

Si dovrebbe favorire il più possibile l'aggregazione per nuove certificazioni e per strategie di innovazione anche collettive, così da favorire una contrazione dei costi di produzione, che nel bio quasi sempre sono più alti rispetto al convenzionale, mentre le rese in campo sono quasi sempre (per non dire sempre) più basse. Come sempre, queste riflessioni sono aperte al contributo dei lettori, in primis quelli che operano nel biologico, per raccogliere spunti, idee, suggerimenti, così da dare un futuro più roseo al bio.

 

Siamo certi che per il mondo "organic" si tratti solamente di una parentesi complessa e che il rilancio vedrà di nuovo il settore in gran spolvero. Un aiuto, in tal senso, potrebbe darlo l'Unione Europea, cercando di prevenire una crisi delle vocazioni che in alcuni Paesi potrebbe essere alquanto inopportuna, se non addirittura pericolosa.

 

L'Italia, che vanta un ruolo tutt'altro che marginale nel gruppo di testa dei produttori europei di biologico, ha il dovere di intervenire e suggerire strategie efficaci. Guai a subire l'iniziativa dell'Ue o, peggio, a mostrare indifferenza e non predisporre cure energiche per il settore.

 

Restiamo a Bruxelles. Il prossimo 25 settembre, l'Unione Europea premierà produttori e operatori biologici all'interno dell'Eu Organic Awards, gli "Oscar" del biologico, in cui l'Italia, purtroppo, pur essendo uno dei player più rappresentativi e dinamici del sistema bio in Europa, appare piuttosto defilata. Nelle sette categorie nelle quali è organizzato il premio europeo (Best organic farmer, Best organic region, Best organic city, Best organic "bio-district", Best organic food processing small and medium-size enterprise, Best organic food retailer, Best organic restaurant/food retailer), gli italiani in finale compaiono solo in tre categorie: il miglior produttore biologico (Roberto Giadone di Natura Iblea); il miglior biodistretto (Biodistretto Amerina e delle Forre Ets); il miglior food retailer (NaturaSì Ariele Conegliano). Coraggio.