Biologico, ortofrutta e aggregazione al centro di un recente incontro che si è tenuto a Macfrut 2022. A organizzare l'evento dal titolo "Professione ortofrutta bio" è stata Ismea, invitando anche diversi operatori di mercato.

 

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Per prima cosa un quadro del settore ortofrutta biologica in Italia, anche rispetto alla richiesta che arriva dall'Unione Europea di portare le superfici biologiche al 25% della Superficie Agricola Utilizzata (Sau) entro il 2030. L'Italia è il primo Paese in Europa per numero di operatori, le aziende infatti sono 81.731 (dato 2020), mentre la superficie nazionale coltivata con metodi biologici ammonta a poco meno di 2 milioni e 100mila ettari, al terzo posto in Europa dopo Francia e Spagna. La tendenza all'aumento delle superfici è stata evidente e continua a partire dal 1990. La Sau biologica in Italia ha una incidenza del 16,6%.

 

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Guardando più specificamente solo alle aziende dell'ortofrutta, l'incidenza in superficie è sempre attorno al 16% ma la crescita per questo specifico settore è stata più lenta negli ultimi dieci anni (+31%). Secondo gli ultimi dati le superfici ortofrutticole coltivate con metodo biologico sono di 205.036 ettari. Fra i prodotti che la fanno da padrone ci sono arance, mandorle, castagne e nocciole per la frutta, legumi e pomodori per le orticole.

Da considerare che l'incidenza della spesa italiana per il biologico è del 4% e che nel 2021 il consumatore italiano ha speso 3,4 miliardi di euro in prodotti biologici, in calo rispetto al 2020 (anno contrassegnato dall'emergenza covid-19) ma in crescita del 4,5% sul 2019. Nel carrello della spesa biologica comunque l'ortofrutta è assoluta protagonista e vale il 46,1%.

 

Interessante l'analisi di Ismea sui prezzi alla produzione e al consumatore e sul confronto fra il prezzo pagato per un prodotto convenzionale e quello pagato per un prodotto ortofrutticolo biologico.

 

"Partendo con l'analisi dal 2016 - ha detto Riccardo Meo di Ismea - il prezzo all'origine per i prodotti biologici è sempre più alto rispetto al convenzionale, si riscontra però una forte volatilità nel corso degli anni, più alta rispetto al convenzionale. Nell'ultimo anno soprattutto la marginalità si è abbassata". Il differenziale pagato alla produzione per frutta biologica va da un minimo del 6,4% per i kiwi a un massimo del 71,3% per l'uva da tavola; per quanto riguarda la verdura in media il differenziale è del 40% con differenze però molto marcate, per i pomodori tondi è praticamente insistente mentre per le cipolle è del 189%. Per una serie di prodotti è stata fatta un'analisi sul differenziale di prezzo per prodotti ortofrutticoli biologici alla produzione e al consumo. Come c'era da attendersi, gran parte del valore viene aggiunto lungo la filiera. L'esempio più eclatante è quello delle nocciole biologiche, in questo caso il differenziale è del 310%, ciò significa che il consumatore paga più di tre volte in più il prezzo che viene riconosciuto alla produzione.

 

 

Data la richiesta che arriva dall'Unione Europea e che deriva dal Green Deal di aumentare al 25% le superfici a biologico entro il 2030, una indicazione fatta propria dal Piano Strategico Nazionale (Psn) presentato a Bruxelles a fine 2021 e attualmente in revisione, c'è la necessità di aumentare la Sau coltivava a biologico.

 

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"L'offerta di prodotti biologici - ha continuato Riccardo Meo di Ismea - è ancora deficitaria rispetto alla domanda, soprattutto nel comparto ortofrutta. Per aumentarla bisogna puntare sulla ricerca, su nuovi macchinari e nuova genetica. D'altro canto però occorre affrontare la necessità di aggregare le aziende per poter condividere i maggiori costi di produzione e per avere la possibilità di contrattare meglio i prezzi con la Gdo".

 

È ancora poca infatti l'offerta di prodotti biologici che passa attraverso le Organizzazioni dei Produttori (Op): "Se su trecento Op, 46 fanno biologico e sette lo fanno in modo esclusivo, è comunque un risultato importante" ha detto Vincenzo Falconi, direttore di Italia Ortofrutta. "Da considerare però che fare biologico costa non solo per l'aumento dei costi di produzione ma anche per il minor risultato a ettaro. I consumatori identificano il biologico come qualcosa in più, ma se oggi la produzione integrata punta ad essere sempre più sostenibile, il biologico deve fare un salto di qualità. La differenziazione va difesa perché si rischia confusione e si rischia di perdere la marginalità di prezzo".