Oggi che l'epidemia in Italia è ai suoi minimi è tempo di fare un bilancio su cosa ha funzionato e cosa no. Per questo Cibo per la mente, realtà che riunisce quindici associazioni di categoria (Aisa, Agrofarma, Api, Assalzoo, Assica, Assitol, Assobiotec, Assofertilizzanti, Assosementi, Compag, Cia, Confagricoltura, UnaItalia, Uniceb, Unionzucchero) al fine di promuovere l'innovazione e la ricerca, ha organizzato un incontro virtuale dal titolo: 'Filiera agroalimentare italiana e pandemia: limiti e opportunità'.
Al dibattito hanno partecipato Matteo Lasagna, vicepresidente di Confagricoltura, Fabio Manara, presidente Compag, Lea Pallaroni, segretario generale di Assalzoo, e Deborah Piovan, portavoce di Cibo per la mente. Il dibattito è stato moderato da Maurizio Tropeano, giornalista de La Stampa.
Quattro debolezze da cui ripartire
Posto che la filiera in questi mesi di pandemia ha tenuto, dal dibattito sono emersi almeno quattro elementi di debolezza che meriterebbero un intervento, mettendo assieme tutti gli attori della filiera, politica in primis, e che magari vedano stanziati una parte di quei fondi messi a disposizione da Unione europea e Governo per 'far ripartire' il paese.Import-dipendenza. Come si può vedere dal grafico il nostro paese non è autosufficiente in molti settori. Importiamo molte commodities come ad esempio mais, soia, frumento, carne bovina, semi di girasole e altro ancora. Nel corso degli anni la forbice tra importazioni ed esportazioni di prodotti agricoli e trasformati è andata riducendosi, ma il nostro paese è ancora troppo esposto nei confronti di fornitori esteri.
Come ricordato da Lea Pallaroni, di Assalzoo, circa la metà delle materie prime destinate alla produzione di mangimi è importata. Ad esempio se nel 2003 eravamo autosufficienti sul fronte mais oggi siamo dipendenti da oltreconfine per circa il 50%. Questo significa che il sistema produttivo nazionale è preda delle oscillazioni di mercato e, come il Covid-19 ha dimostrato, rallentamenti nel commercio internazionale possono portare a tensioni di prezzo se non addirittura a rischio di rimanere senza materie prime.
Made in Italy (senza Italy). Il successo delle esportazioni agroalimentari nel mondo è dovuto in parte al brand made in Italy, che significa qualità e sicurezza. Se si vuole crescere sui mercati, ricorda Matteo Lasagna, occorre che il paese sia in grado di fornire alle industrie di trasformazione le materie prime di cui hanno bisogno. Ecco perché occorre aumentare le produzioni e due strade possono essere la realizzazione di contratti di filiera e l'innovazione.
Contratti di filiera. Posto che il made in Italy si dovrebbe fare con materie prime italiane è necessario creare una cinghia di trasmissione tra i diversi attori del settore e i contratti di filiera possono essere lo strumento vincente in quanto assicurano all'agricoltore prezzi certi e convenienti e all'industria costi e qualità sotto controllo.
Ma c'è di più, perché come ricordato da Fabio Manara di Compag conoscere la produzione significa anche poter programmare investimenti nell'ammodernamento degli impianti di stoccaggio, oggi sufficienti a immagazzinare le materie prime prodotte, ma in grado solo in parte di trattare in maniera differenziata materie prime diverse. E con un consumatore che fa acquisti sempre più frammentati anche l'industria di stoccaggio e trasformazione deve abituarsi a gestire referenze differenti, segmentando le partite in entrata nei centri di stoccaggio.
Competitività. Nella produzione di moltissimi prodotti, soprattutto commodities, l'Italia non è competitiva a livello internazionale e per questa ragione il prodotto estero ha la meglio su quello nostrano. Per riequilibrare la situazione occorre puntare sull'innovazione e l'efficientamento delle nostre aziende agricole. Strumenti utili possono essere l'agricoltura di precisione e quella digitale, oltre al miglioramento genetico.
Su quest'ultimo punto tutti i relatori si sono trovati concordi nel dire che le Nbt (New breeding techniques) rappresentano una risorsa importante per rendere i settori su cui il made in Italy è forte (pasta, olio d'oliva, conserve, vino, carni lavorate, …) ancora più competitivi. L'importante è non fermare la ricerca e comunicare con il consumatore in maniera trasparente, sottolineando i benefici che queste tecnologie possono apportare e la distanza abissale che le separa dagli Ogm transgenici.