L'agricoltura, sia essa nata nella Mezzaluna fertile mediorientale o in Amazzonia 10mila anni fa, di certo ancora oggi ha rivelato il proprio ruolo fondamentale, che è quello di produrre cibo.
Con il mondo in lockdown, costretto alla segregazione e al fermo produttivo, nei campi e nelle stalle gli agricoltori e gli allevatori ci sono andati comunque. Con maggiore difficoltà, vittime della burocrazia (strano…) e la possibilità di lavorare è stata concessa alla fine ai silvicoltori. Attendiamo ora che anche la pesca possa riprendere la propria attività.
Qualche riflessione per punti.
Globalizzazione, e ora?
Non sappiamo ancora se il Covid-19 ha posto o porrà fine alla globalizzazione, ma di sicuro ha riesumato il tema spesso dimenticato della sovranità alimentare, concetto che ha poco o nulla a che fare con i sovranismi. Chiudere le frontiere non è la soluzione migliore per garantire la sicurezza alimentare ai propri cittadini, tanto meno per una realtà come l'Italia che negli ultimi venti anni ha perso margini di autosufficienza in alcuni segmenti produttivi (si pensi al mais) o che è storicamente deficitaria (latte, suini, carne bovina). Ma anche quando è in grado di esportare ha tutto l'interesse di portare avanti i propri commerci.
Viva il libero scambio
Abbiamo scoperto l'importanza dell'apertura dei confini, che è anche e innanzitutto apertura mentale. Dagli scambi nasce sempre qualcosa di buono, occasioni di arricchimento non soltanto monetario, ma innanzitutto intellettuale. È sempre stato così. L'Italia non sarebbe oggi il primo produttore mondiale di riso dell'Unione europea se nell'VIII secolo gli Arabi non avessero coltivato il riso in Sicilia.Viva dunque il libero scambio, certamente regolamentato, senza mercati selvaggi, ma anche senza dazi o barriere sanitarie o affini, quando sono destituite di fondamento. Sì, invece, alle tutele e al concetto di equità, quest'ultimo a rappresentare uno dei capisaldi del diritto internazionale.
Abbiamo avuto la prova che l'export è importante per l'agroalimentare italiano, che produce e che trasforma più di quanto riesca a produrre.
L'importanza della manodopera nei campi
Abbiamo compreso il valore delle frontiere aperte anche con riferimento alla manodopera, essenziale per l'agricoltura e le filiere agroalimentari. Senza immigrati - sia detto: servono regolari, lavoratori, responsabili e adeguatamente retribuiti - rischiamo di non raccogliere oggi fragole e asparagi, domani pomodori, meloni, albicocche, pesche, uva, radicchio, eccetera.Alla sicurezza della presenza della manodopera si deve collegare anche la sicurezza dei lavoratori. Mai come in questa fase si è capito che la sicurezza dei lavoratori è un investimento e non uno spreco di tempo o di denaro. Il costo sociale della malattia può essere infinitamente superiore alla spesa per produrre in tranquillità e con tutte le precauzioni del caso.
La sfida della rivoluzione verde
L'emergenza coronavirus non ci ha fatto solamente apprezzare molti lati dell'agricoltura, ma ha fatto sparire il personaggio simbolo del 2019, Greta Thunberg, con i suoi richiami a tutela del pianeta e contro i rischi dei cambiamenti climatici. Qualcuno potrà dire che è un bene che si sia proiettato un cono d'ombra - francamente si era arrivati a un tasso di sovraesposizione della ragazza svedese che rasentava lo sfruttamento dell'immagine, a vederla piroettare dall'Onu al Papa - ma i temi da risolvere sono rimasti.Anche la strategia comunitaria Farm to fork, passata sotto silenzio e congelata nel suo iter programmatico stabilito nella fase pre-coronavirus, dovrà essere ripresa e con essa alcune sfide ineluttabili: la razionalità delle produzioni, incentivi nella ricerca e sviluppo (serve cibo e dunque bisogna spingere per ottenere maggiori rese in campo), la riduzione dell'inquinamento e degli sprechi nella catena alimentare, il contrasto al climate change, sebbene un fisico eminentissimo come Freeman Dyson fosse piuttosto scettico sul legame fra azioni umane passibili di rilevanti eventi ecosistemici e clima.
Quello che sembra essere impellente e che ci è apparso lampante in questo periodo è che bisogna affrontare la sfida di una nuova e ampia rivoluzione verde. Senza ideologia, ma in maniera pratica e innovativa.
Ue, la grande assente
Fra le grandi assenze di cui gli agricoltori e i cittadini si sono ampiamente accorti in questa fase emergenziale balza all'occhio quella dell'Unione europea. Latitante, divisa, insicura, senza una politica di assistenza agli agricoltori e alle filiere agroalimentari, ma più in generale senza dare l'impressione di una consapevolezza nell'indirizzare la barca nella procella. Non sembra vicino il rischio di una carestia, ma qualora dovesse concretizzarsi, avremo individuato soluzioni univoche per assicurare il cibo a tutti i cittadini europei?
Benessere e salute: il ruolo del verde urbano
In questa fase sottochiave, senza contatti con l'esterno (se non virtuali e con l'eccezione degli agricoltori, abilitati a mettere il naso fuori casa) abbiamo capito l'importanza del verde. Se ne era accorto già Cicerone, il quale nelle lettere a Varrone scriveva: "Se possedete una biblioteca e un giardino, avete tutto ciò che vi serve nella vita". Piante e giardini dovranno rappresentare il nuovo stigma delle città e degli insediamenti post Covid-19 e gli agricoltori e i manutentori del verde dovranno essere chiamati a un rinnovato rapporto col paesaggio, elemento di equilibrio e funzionale per il benessere e la salute (anche psichica) dei cittadini.
Riscoprire l'agricoltura
L'agricoltura, insomma, è l'essenza stessa della vita, il mezzo attraverso cui procurarci il cibo. Forse non lo avevamo dimenticato, ma lo avevamo dato per scontato. Un grave errore. Chiediamo scusa, proprio dopo aver celebrato in maniera singolare la Giornata mondiale della terra.Leggi anche "Ripartire dopo il coronavirus: sì, ma come? Nove suggerimenti 'a matita'"