Come creare valore lungo la filiera agroalimentare italiana e aumentare il reddito degli agricoltori? "Serve unità di intenti e di azione". È questa la risposta, invero tutt'altro che inedita, emersa nel corso del convegno "La filiera agroalimentare al centro della nuova strategia per il made in Italy", organizzato da Edagricole in occasione del suo 80esimo compleanno e che ha riunito istituzioni, produttori, industriali e distributori attivi nel variegato mondo del made in Italy agroalimentare.

L'incontro, diviso in quattro panel tematici, è stato introdotto da una prefazione di Denis Pantini, direttore Area Agricoltura e industria alimentare di Nomisma, che ha delineato un quadro dello status quo della filiera agroalimentare nazionale. 
Secondo i dati di Pantini, il settore agroalimentare vale, con 132,6 miliardi di euro di valore aggiunto, il 9% del Pil nazionale (era l'8,6 nel 2011). Le imprese operanti nella filiera sono circa 1,3 milioni, pari al 25% del totale aziende iscritte nei registri camerali e gli occupati circa 3,2 milioni, ossia il 13% del totale in Italia. Il totale dei consumi sostenuto dal settore è di 243 miliardi (23% del totale) e con i suoi 40 miliardi, l'export del settore rappresenta il 9% del totale. Nell'ultimo decennio, nonostante la crisi il valore aggiunto del settore è cresciuto del 15%, mentre l'export ha fatto registrare un +68% contro il totale della manifattura italiana (+23%), superato solo dal settore farmaceutico (+107%) e scavalcando settori storicamente apprezzati oltre confine come l'automotive (51%), la chimica (34%), l'abbigliamento (22%) e la meccanica (16%).

Nonostante le buone performance dell'export italiano, in termini di valore siamo ancora il fanalino di coda tra i paesi che competono sui mercati internazionali, preceduti rispettivamente da Usa (124 miliardi di euro), Olanda (84,5 miliardi di euro), Germania (72,3 miliardi di euro), Brasile (68,3 miliardi di euro), Cina (64 miliardi di euro), Francia (60,1 miliardi di euro), Spagna (46,9 miliardi di euro) e Canada (44,1 miliardi di euro). Dal punto di vista della distribuzione, il 78% delle nostre esportazioni si concentra in Europa e negli Usa, mentre registriamo ancora percentuali ineziali nei mercati emergenti, dove però nell'ultimo decennio si è registrata una crescita a tre cifre in Medio Oriente (229%), Asia Centrale (197%), Asia Orientale (163%), Centro e Sud America (123%) e Oceania (102%).
Causa prevalente della nostra ridotta presenza sui mercati esteri, secondo Nomisma, non è tanto legata al cosiddetto 'italian sounding', quanto alla dimensione delle nostre aziende e a una conclamata incapacità di fare gruppo per raggiungere una massa critica sufficiente per approcciare i mercati stranieri. 
Per quanto concerne il target di mercato a cui l'Italia dovrebbe puntare, secondo Nomisma i nostri miseri 12,8 milioni di ettari di Sau e gli alti costi di produzione non ci permettono di competere sui mercati di massa. Dovendo necessariamente puntare su prodotti di eccellenza ad alto valore aggiunto, secondo Pantini saremo molto più interessati alla crescita dei redditi pro capite rispetto a quella demografica in generale, divenendo di fatto produttori di cibo 'per pochi eletti'.

All'introduzione di Pantini è seguito il primo dei panel previsti dal programma, focalizzato sulla Pac e al quale hanno partecipato il sottosegretario al Mipaaft Alessandra Pesce, il primo vicepresidente della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo Paolo De Castro, il professore di Economia agraria all'Università di Perugia Angelo Frascarelli e lo head of strategy business sustainability Eame Syngenta Luigi Radaelli.

"Gli agricoltori hanno difficoltà di reddito e il nostro recepimento restrittivo delle regole comunitarie a volte aggrava il loro lavoro" ha detto Alessandra Pesce. "Per far aumentare il reddito non esiste una ricetta univoca, ma bisogna agire in direzioni diverse: promuovere il made in Italy, aumentare la formazione e l'innovazione e riscrivere certe regole per tutelare i nostri prodotti"
Le regole sono state anche al centro dell'intervento di Angelo Frascarelli, che le ha definite "più importanti dei soldi" ricordando gli ottimi risultati dell'Ocm vino e i pessimi della normativa sulle pratiche sleali. "Siamo troppo individualisti" ha concluso Frascarelli. "I prodotti italiani si vendono da soli, ma noi dobbiamo migliorare in tutto, a partire dalla capacità di programmazione. Dobbiamo imparare a organizzarci e se la Pac deve spendere qualcosa, deve farlo per premiare l'aggregazione".

Sostanzialmente sulla stessa linea l'intervento di Paolo De Castro, che ha denunciato forti pressioni per non approvare la direttiva sulle pratiche sleali prima della fine della legislatura e convenuto sulla necessità di rafforzare le Op. "Le aziende agricole non devono creare per forza realtà di grandi dimensioni, ma devono organizzarsi" ha detto De Castro. "L'Europa può dare una mano nel processo, ma non può fare tutto"
"Il nostro scopo deve essere quello di produrre meglio con meno" ha chiosato Radaelli. "Innovazione e tradizione sono tutt'altro che nemiche. Io credo nella crescita felice, nella possibilità di produrre meglio con minori risorse grazie all'innovazione e alla tecnologia".
 
Un momento del convegno
(Fonte foto: Alessandro Vespa - AgroNotizie)

La promozione e la tutela del made in Italy sono state argomento del secondo panel, al quale hanno partecipato: il presidente della Commissione Agricoltura della Camera Filippo Gallinella; l'ex ministro dell'Agricoltura Nunzia De GirolamoCosimo Rummo, presidente dell'omonimo pastificio e il direttore generale di Confagricoltura Francesco Postorino.
Aperto da uno spumeggiante Rummo, icona dell'imprenditore che non si arrende alle avversità, il tema del panel è stato delineato dalla De Girolamo, che ha puntato l'indice sulla scarsa tutela del made in Italy e sulla scarsa collaborazione nel farlo che troviamo in un'Europa definita "matrigna".
"L'individualismo spesso è stato positivo ma non basta più" ha dichiarato Postorino. "Ora serve costruire una grande filiera di equilibrio dove si dia risposta a tutti gli attori. Serve più coinvolgimento e non lotta tra le parti. È necessario un obiettivo comune, preciso e condiviso, come crescita e sviluppo dell'export. È fondamentale produrre ricchezza, fare sintesi e sviluppare solidi basi e infrastrutture, ma in questo c'è bisogno dell'intervento del governo".
"Servono un piano irriguo nazionale, un piano cerealicolo e uno per l'olio, per non parlare della pesca, dove dobbiamo difendere gli stock ittici", ha concluso Gallinella.

A delineare l'impatto sociale della filiera agroalimentare italiana sono stati chiamati Alessandra Pesce, il presidente della Cia Dino Scanavino, il presidente Copagri Francesco Verrascina e Giorgio Mercuri, presidente dell'Alleanza cooperative agroalimentari.
"Non si può parlare di impatto sociale dell'agricoltura senza prima parlare del riconoscimento economico e reddituale del settore primario all'interno della filiera" ha esordito Verrascina. "Per ottenere il giusto reddito le aziende devono lavorare alla competitività come leva per i mercati. Dobbiamo aggregarci e fare sistema, ma fare agricoltura come ci chiede la società ha un costo, che non può ricadere unicamente e totalmente sulle spalle delle aziende agricole". Secondo Verrascina il rilancio del comparto primario deve in ogni caso basarsi su tre pilastri: aggregazione e filiere, ricerca e innovazione e difesa del suolo.

Forte accento sul territorio anche per Scanavino. "Il più grande sistema industriale che l'Italia deve mettere in campo è la manutenzione del territorio e gli agricoltori devono essere i protagonisti", ha detto il presidente della Cia, che ha accusato il sistema di bonifica di non fare il proprio lavoro e affrontato il tema dell'immigrazione, dichiarando che "l'integrazione in agricoltura esiste. Gli stranieri sono diventati asset strategici per le nostre aziende, una risorsa strategica per il settore. Certo, bisogna continuare a lavorare per contrastare il caporalato, ma dobbiamo contemporaneamente impegnarci a formare la manodopera e professionalizzarla".

"Le cooperative agricole - ha detto Mercuri, ricordando l'esperienza delle mele del Trentino - creano sviluppo e opportunità di lavoro ridistribuendo la ricchezza sul territorio in cui operano, questa è la valenza etica della filiera cooperativa, che risponde alle aspettative di tutto il territorio, non solo al bisogno di un unico produttore".

Dal canto suo, Alessandra Pesce ha sottolineato la necessità di un sistema realmente competitivo e una remunerazione delle attività imprenditoriali in un mercato equo, ribattendo a Scanavino che il problema dello sfruttamento lavorativo in agricoltura è reale e che spetta alle associazioni di categoria intervenire agendo sulle "aree grigie" espellendo le aziende, per far sì che il sistema funzioni in maniera legale e senza concorrenza sleale. "Le pratiche sleali schiacciano a valle il valore aggiunto e questo valore aggiunto schiacciato si riflette a sua volta sul mercato del lavoro, - ha detto Alessandra Pesce - perché c'è sempre qualcuno più debole, più a Sud, che soffre di un funzionamento non corretto. Per recuperare queste aree bisogna lavorare in un'ottica di filiera più equa con una distribuzione del lavoro più giusta".
Il sottosegretario ha concluso riconoscendo l'importanza dell'agricoltura sociale e annunciando la prossima uscita di un decreto sul tema.

L'ultimo panel, che riguardava le possibilità di usare la filiera agroalimentare per contrastare il fenomeno dell'italian sounding, ha visto sul palco il presidente di Federdistribuzioni Claudio GradaraFilippo Gallinella e il presidente della Coldiretti Lazio David Granieri.
"Ci troviamo in un momento favorevole per fare prodotti di alta qualità ma dobbiamo essere bravi a captare questo sentimento" ha detto Gradara. "Il consumatore oggi è più aggiornato e informato, cerca qualità e benessere ed il made in Italy è un marchio riconosciuto in tutto il mondo che ben si sposa a queste richieste".
Gradara ha proseguito sottolineando il fatto che per vendere non basta la qualità, ma è necessaria una forte distribuzione e il presidio di aree come biologico e benessere, e smentendo il mito che le imprese italiane siano in mano a gruppi stranieri. "Ben l'80% delle imprese sono italiane, - ha concluso - mente le restanti straniere sono già molto radicate e da anni portano la cultura italiana all'estero. Rimane il fatto che il mercato italiano della distribuzione è molto frammentato".

Valore e prezzo sono stati i leitmotiv dell'intervento di Granieri, che ha rilanciato l'etichettatura di origine anche in chiave di riequilibrio di distorsioni del mercato che ci vedono importare materie prime a prezzi superiori rispetto a quelli delle nostre produzioni.

Gallinella, infine, ha annunciato un disegno di legge che prevede la creazione di un logo per il km zero riconosciuto dal ministero. "Abbiamo accelerato la discussione sulla filiera corta identificando in modo preciso e definendo cosa sia il km 0 e la filiera corta" ha spiegato Gallinella. "La novità è stato introdurre un logo da poter utilizzare non solo sui prodotti o all'interno del mercato ma anche nei ristoranti. Si tratta di un logo e che fa conoscere in modo più strutturato al consumatore i prodotti del territorio e di un passo che avvantaggia la produzione".
Non basta un logo, tuttavia, per difendersi dall'italian sounding. "Dobbiamo custodire il made in Italy, l'obiettivo è superare i campanilismi e fare un progetto paese decidendo il futuro da fare all'agricoltura italiana" ha concluso il presidente di Copagri Camera. "Bisogna fare qualità recuperando le buone pratiche agricole ed è necessario fare più prodotti per difenderci dalla contraffazione perché il mondo ci richiede prodotti italiani. Dobbiamo quindi aumentare la quantità per soddisfare la richiesta e parallelamente svolgere campagne di sensibilizzazione e informazione".

Ha concluso la giornata il ministro Centinaio, che ha risposto a una raffica di domande sugli argomenti emersi nel corso dei lavori. 
"Penso che le filiere stiano lavorando bene ma forse servirebbero più fondi e più dialogo con la distribuzione", ha detto il ministro proponendo maggiore collaborazione volta a creare più valore nelle filiere tra il suo dicastero e il ministero per lo Sviluppo economico.

Sul tema zucchero Centinaio ha raccontato di aver chiesto l'ammasso privato trovando l'opposizione di diversi paesi e del commissario Boga. Nel frattempo si è "lanciato l'accoppiato" e si sta chiedendo alle industrie dolciarie italiane di far uso di zucchero nazionale. 
Interessante la dichiarazione sul tema dell'internazionalizzazione e delle sanzioni russe. In attesa di poterle cancellare definitivamente, Centinaio e il suo omologo di Mosca stanno cercando un modo per aggirarle "come fanno tanti altri paesi".
"Ci stiamo muovendo con decisione nell'online, - ha proseguito Centinaio - facendo accordi con Alibaba, Amazon ed eBay per andare sul mercato e proteggerci dall'italian sounding. La lotta alla contraffazione si fa con la presenza e andando ad occupare il mercato, ma serve tempo. È un lavoro difficile che richiede di fare promozione in modo coordinato. Le filiere stanno lavorando bene ma servono più fondi".

"L'Europa, - ha concluso il ministro - così com'è non piace a nessuno. Deve cambiare sia a livello di Parlamento Ue che di Commissione. Abbiamo già chiarito che l'Italia non permetterà che si tocchi il budget all'agricoltura. Per noi è un punto principale e abbiamo messo dei paletti. Noi non vogliamo uscire dall'Europa, vogliamo cambiarla".