"L'agricoltura del futuro siete voi" ha detto il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, ai ragazzi un istituto agrario presenti in sala. "Starà a voi, agricoltori del futuro, interpretare un cambiamento del mondo agricolo che sarà connesso e modulato in base a diete e stili alimentari diversi dagli attuali. Sarà vostro compito produrre il cibo".
"Dobbiamo dare valore alle produzioni made in Italy in un mercato che cambia - ha proseguito Giansanti - sta a noi dare credibilità al biologico sposando un'idea di agricoltura diversa e non inseguendo esclusivamente il guadagno. La sfida del futuro è sui prodotti con fortissimo valore aggiunto e dovremo essere in grado di metterli su un mercato che sarà prevalentemente online".
Il biologico sui mercati
I numeri del mercato del bio sono stati esposti da Antonella Giuliano dell'Ismea e sono numeri di tutto rilievo. Le famiglie italiane spendono mensilmente 2.525 euro, dato registrato nel 2016 e per il terzo anno consecutivo in lieve aumento, con un incremento del 1,5%. Del totale, 448 euro sono destinati all'acquisto alimentare e bevande analcoliche, con un incremento del 4,8% del Nord Ovest, del 3,3% nel Sud e del 4,9% nelle isole, contro un decremento del 5,1% nel centro e una sostanziale stabilità nel Nord Est.Nel primo semestre 2017 la spesa alimentare, in base ai dati Ismea, era così composta: derivati dei cereali 14,4%; latte e derivati 14,1%; ortaggi 11,1% carni 10,1%; bevande alcoliche, analcoliche e vino 9,9%; frutta; 9,1%; prodotti ittici 8,2%; salumi 6,2%; olio e grassi vegetali 1,8%; uova fresche 1% e altri prodotti alimentari per il 13,3%. Nel periodo si nota una crescita dell'appeal di frutta e ortaggi e una positiva inversione di tendenza nei consumi di carne e salumi, mentre continua a scendere il consumo di latte e derivati.
La spesa bio in questo palcoscenico incide per il 2,8% sul totale agroalimentare con picchi del 12,9% per uova e miele, del 7,8% per la frutta e del 5,6% per gli ortaggi.
Gli assi portanti del bio sono il benessere e la qualità, la sostenibilità economica e ambientale, l'eticità, l'esperienza, la tradizione, la cultura e la socialità; tutti elementi che rispondono tanto a una richiesta dei consumatori di cibo sano e qualitativamente eccellente, quanto a stili di vita particolarmente in voga, quale quello vegetariano o vegano, senza trascurare aspetti come quelli dello Street food, della filiera corta e del turismo rurale.
Il 20% degli acquirenti di prodotti bio sviluppa il 75% del valore delle vendite. Ma chi è il consumatore bio tipico? Prevalentemente si tratta di nuove famiglie plurireddito e dal reddito alto, stanziate in Nord Italia e formate mediamente da giovani di cultura medio-alta.
Rispetto all'andamento dell'agroalimentare, rimasto dal 2003 al 2016 sostanzialmente invariato (-0,6%), nello stesso periodo il comparto biologico è passato dallo 0,2 al 19,5% , con un picco del 20% nel 2015.
Prendendo in considerazione il periodo tra gennaio e giugno 2017, il settore bio vede il 25% della spesa destinato all'acquisto di frutta, il 21,8% per gli ortaggi, il 16,5% per derivati dei cereali, il 13,6% per latte e derivati, il 4,4% per le uova fresche; bevande analcoliche il 3,4%, olio e grassi vegetali 1,9% e 10,2% per altri prodotti alimentari.
Nel complesso il settore biologico, che trova i suoi canali di veicolazione nella distribuzione moderna, discount, negozi specializzati, porta a porta, ambulanti, Cash and Carry e grossisti, registra una crescita dei consumi rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente del 10,3% e una crescita 13,4% dei consumi biologici rispetto all'agroalimentare.
Tra i diversi canali, la distribuzione moderna continua a essere il principale veicolo di diffusione dei prodotti biologici e la quota di prodotti biologici venduta nei discount mostra un lieve incremento dello 0,4% rispetto al primo semestre dello scorso anno, mentre si nota una lieve diminuzione rispetto al 2016, pari al 2,8%, degli acquisti presso gli specializzati.
Per quanto riguarda la distribuzione moderna, ossia ipermercati, supermercati e liberi servizi, nel primo semestre 2017 si osserva il 65% della spesa bio nei carrelli del Nord Italia, mentre il 24% sono i consumi del centro Italia (che vanno tuttavia considerati ottimi rispetto alla popolazione residente), mentre al Sud, dove si concentrano le maggiori superfici con produzioni certificate, solamente il 10% di vendite riguarda prodotti biologici.
Il biologico in campo
Sempre nel primo semestre 2017 si registra un valore negativo (-5,2%) nel clima di fiducia delle aziende agricole verso il comparto. Tale dato è, secondo Ismea, da attribuire prevalentemente alla volatilità dei prezzi all'origine, che rende le aziende pessimiste per quanto riguarda la stabilità del reddito nel lungo periodo.In base ai dati diffusi nel corso dei lavori da Francesco Giardina del Mipaaf (area Sinab - Sistema d'informazione nazionale sull'agricoltura biologica), la Sau coltivata in Italia a biologico ammonta a 1.795.650 ettari, con un numero di operatori che raggiunge le 72.154 unità. Numeri da record che portano il bio italiano in testa a ogni classifica, con un incremento rispetto all'anno precedente del 20,3% sia in termini di superfici che di operatori, con un incidenza percentuale della Sau biologica su quella totale del 14,5%. Il valore di tali risultati per il comparto risalta se messi a confronto con quelli di Spagna, Francia e Germania, che vedono rispettivamente crescere il numero di operatori del 5, dell'11 e dell'8% e la percentuale di Sau del 3 del 14 e del 7%.
Nella distribuzione geografica nazionale del biologico, Sicilia, Puglia e Calabria hanno il 46% delle superfici coltivate, seguite da Sardegna, Lazio, Toscana ed Emilia Romagna con il 29%. Per operatori, Sicilia, Puglia e Calabria ne contano il 45%, mentre il 24% si trovano in Toscana, Emilia Romagna, Lazio e Campania.
Per quanto riguarda la produzione, in testa troviamo la Calabria con 11.054 produttori, seguita dalla Sicilia con 10.657 e dalla Puglia con 9.315. Per quanto riguarda invece i trasformatori e importatori la Puglia ne conta 1.942, seguita dalla Toscana con 1.913 e dalla Sicilia con 1.908.
Nell'incremento degli operatori a livello nazionale, quattro regioni sono sul podio della crescita negli anni 2014-2015 e 2015-2016: il Friuli Venezia Giulia vede aumentare gli operatori del 59,9%, la Basilicata dell'82,8%, la Campania dell'82,9% e il Molise con il 94,8%. Nello stesso periodo le stesse regioni hanno incrementato le superfici dedicate al biologico, con variazioni che vanno dal 91% della Basilicata al 172, 2% del Friuli Venezia Giulia.
Quanto riguarda gli orientamenti produttivi nel periodo tra il 2014 e il 2016, si segnala un incremento del 49% degli ortaggi, del 33% dei cereali e dal 27% della frutta.
Rispetto al totale delle superfici coltivate, quelle dedicate al biologico sono il 28% per gli agrumi, il 21% a olivo, il 20% a coltivazioni legnose agrarie, il 18% a frutteto, il 17% a ortive o foraggiere avvicendate e il 16% a vite. Da non dimenticare poi il 15% a prati permanenti e pascoli. Tutti settori che superano il 14,5% dell'incidenza sulla superficie biologica totale.
Biopolitica
La situazione normativa del comparto biologico è stata trattata dalla senatrice Maria Teresa Bertuzzi, da Francesco Giardina del Mipaaf e da Luigi Tozzi del Copa-Cogeca.La Bertuzzi ha evidenziato come il comparto abbia dimostrato negli ultimi dieci anni un dinamismo in grado di mettere fretta al legislatore, e ricordato come il primo tentativo di Testo unico (a firma di De Castro), nella sua formulazione originale si risolse in un nulla di fatto a causa dell'impossibilità di coniugare il taglio della burocrazia con i controlli necessari.
Nel corso del tempo tutta la parte relativa ai controlli è stata via via stralciata e attribuita ai ministeri di competenza, mentre il resto è rimasto in fase di approvazione.
Nel frattempo il ruolo dell'agricoltura biologica in relazione ai temi ambientali è mutato, passando da un iniziale percezione delle aziende della sostenibilità come peso e intralcio, all'odierna situazione in cui proprio questi temi si sono rivelati trascinanti per il comparto in virtù dell'alto valore aggiunto che conferiscono al prodotto.
"Ora dobbiamo intervenire - ha detto la senatrice - affinché non appena i prezzi caleranno non si ritorni all'agricoltura convenzionale. Nel Testo unico si cerca di mettere il settore al sicuro da criticità, di deframmentare la produzione, di sviluppare i mercati esteri, di creare strutture di governance e di aggregazione non solo fra le aziende, ma in tutta la filiera al fine di raggiungere un'adeguata quota di remunerazione dei produttori".
"E' necessario riuscire finalmente a normare i distretti biologici e dare stabilità ai fondi di finanziamento per la ricerca" ha proseguito la Bertuzzi. "E' proprio attraverso la ricerca che sarà possibile dare corpo a un momento di svolta rispetto alle avversità climatiche che mettono in crisi molte produzioni tipiche".
"Il futuro del comparto sarà legato ai prezzi del biologico" ha spiegato Giardina. "Il prezzo alla produzione è destinato a calare ma rimarrà la discriminante per il futuro del comparto. In questo palcoscenico lo sviluppo regionale del comparto è fortemente legato ai Psr, con le politiche regionali che molto spesso hanno condizionato con i contributi la scelta di conversione delle aziende. In quest'ottica è certamente positiva la crescita smodata, ma questa stessa crescita crea delle preoccupazioni per la tenuta del sistema in un momento in cui i margini di reddito si ridurranno. Un segnale positivo ci arriva dalla crescita della produzione biologica nel settore degli ortaggi, slegata dai contributi, e dettata e orientata esclusivamente dal mercato".
"Il Regolamento europeo in fatto di biologico è il frutto di uno scontro fra il Nord e il Sud" ha spiegato Tozzi del Copa-Cogeca. "La proposta ad oggi è stata approvata dal Consiglio e deve andare in Commissione. La proposta si basa su quattro punti principali: sistema ambientale, controlli, importazioni e produzione in serra. In base a questa proposta, per certificare un'azienda servirà un'analisi di rischio e, con particolari misure precauzionali, tenere conto in particolare dell'uso responsabile di energia, acqua, aria e suolo.
Le aziende dovrebbero essere controllate annualmente, ma lo Stato membro può decidere di controllare tutto il processo aziendale in tre anni se sono considerate a basso rischio. Il limite minimo di declassificazione rimane tuttavia diverso da Stato a Stato e questo potrebbe portare sul mercato prodotti contaminati se si dimostra che tale contaminazione non sia derivata da un comportamento doloso da parte dell'azienda".
"Per quanto riguarda le importazioni, - ha proseguito Tozzi - entro un periodo di tre anni tutti i prodotti importati dovranno essere conformi al sistema di controllo e ai requisiti del Regolamento europeo. La produzione in serra mantiene il principio del 'legame con la terra', in base al quale tutte le piante devono essere prodotte su terra biologica. A questa norma fanno eccezione i paesi scandinavi e, per la prima volta, la Danimarca. In Copa-Cogeca inoltre c'è preoccupazione per l'eventualità che in assenza di una norma comune, la Gdo imponga i propri disciplinari e di conseguenza i propri prezzi".
Le politiche nazionali ed europee hanno favorito la crescita di questo settore per il suo valore di mitigazione dei cambiamenti climatici e la discussione in ambito comunitario per un nuovo regolamento sulla produzione biologica è in corso ormai da tempo. Il testo presentato quattro anni fa dalla Commissione europea, che prevedeva l'innalzamento degli standard di qualità e controllo dei prodotti bio, ha tuttavia subito molti emendamenti che ne hanno sensibilmente ridotto la portata innovativa. La sua approvazione, comunque, è prevista entro l'anno.
L'incontro è stato anche occasione per presentare la partnership tra Italia e Cipro sul progetto Life organiko, a cui partecipano il Kyoto Club, il Politecnico di Cipro, il ministero dell'Ambiente di Cipro e l'Istituto di ricerche agricole del ministero cipriota dell'Agricoltura. Si tratta di un progetto che si pone come obiettivi lo sviluppo della filiera del biologico a Cipro, dimostrare il minore impatto sui cambiamenti climatici (mitigazione) delle coltivazioni biologiche rispetto ai metodi tradizionali, dimostrare il minore impatto sulla salute dei bambini con il consumo di prodotti biologici (riduzione del carico corporeo di agrofarmaci organofosfati) rispetto al consumo di prodotti coltivati tradizionalmente e, infine, la divulgazione del progetto e dei suoi risultati per l'aumento della consapevolezza sul bio a Cipro e in Italia.