Il futuro della Pac e i riflessi sull’agroalimentare e la cooperazione, la volatilità dei mercati, lo scenario post quote latte, le quote zucchero e le agroenergie, rapporti di filiera. Sono questi gli argomenti trattati dal presidente di Cogeca, Christian Pèes, in un’intervista rilasciata ad AgroNotizie.
Succeduto da circa un anno alla guida della rappresentanza delle coop agroalimentari europee, un colosso da 360 miliardi di euro, il francese Pèes è subentrato all’italiano Paolo Bruni.

Presidente Pèes, quali sono i numeri della cooperazione agroalimentare in Europa?
“L’agroalimentare è il primo settore industriale europeo con un turnover di 995 miliardi di euro. Di due volte superiore a quello dell’agroalimentare statunitense, tre quello cinese e quattro volte  quello giapponese. Offriamo 4,1 milioni di posti di lavoro. Quanto alla cooperazione, dei 360 miliardi di turnover della cooperazione agricola europea, 175 miliardi derivano dal valore aggiunto apportato dalle cooperative nella fase di trasformazione e commercializzazione dei prodotti a loro conferiti”.

Se dovesse sollevare tre obiezioni negative alla proposta di riforma della Pac, da dove inizierebbe e perché?
“Le ambizioni a cui avrebbero potuto aspirare Commissione, Consiglio e Parlamento europei hanno certamente risentito della crisi che i nostri sistemi politico, finanziario e sociale stanno attraversando. Non sarebbe stato realistico mettere sul tavolo ambizioni politiche, senza poter accompagnarle di fondi sufficienti per realizzarle. Quello che servirebbe è un approccio globalmente diverso. Un ripensamento della gestione della res agricola completamente rinnovata; un’ottimizzazione più efficace delle risorse. Ci trasciniamo dietro vecchi testi e sistemi desueti e inadatti ed esitiamo a ripensarli per paura di subire un attacco politico e di budget insostenibile e letale agli equilibri attuali.
Onestamente, la situazione finanziaria attuale porta ad un’insopportabile mancanza di visione strategica della Ue per il primo settore industiale europeo. Una mancanza di strategia a tutti i livelli: di stabilità dei territori, di mantenimento dei posti di lavoro, di stabilità sociale e economica e di ambizioni industriali e di sviluppo”.

In quale percentuale si riuscirà a chiudere con successo la riforma della Pac e farla partire nel 2014?
“La percentuale di successo di questa riforma sarà la base della successiva. Sappiamo già che le ambizioni sono state riportate di un mandato e che l’Esecutivo europeo sta prendendo tempo per il 2020. Non si esternano idee né ambizioni e la successiva riforma mi preoccupa più della presente: potrebbe costituire il colpo letale se non cambiamo orientamento subito”.

Pensa che nella riforma della Pac sia stata dedicata sufficiente attenzione al sistema cooperativo e all’aggregazione fra produttori?
“Tentando di essere politically correct e pluralisti stiamo dimenticando che la cooperativa agricola è la più alta espressione di aggregazione tra produttori.
Il legislatore uniforma organizzazioni di produttori banalizzate, senza responsabilità economiche, con le cooperative. Queste ultime sono la forma più riuscita di aggregazione e offrono una visione di lungo termine a tutta la catena alimentare, assumendo la responsabilità economica della merce loro conferita.
I testi proposti, in particolare quello dell’eurodeputato Dantin sull’Ocm unica, introducono delle aperture positive all’aggregazione. Dimissionaria dal suo ruolo di gestore dei mercati, la Commissione europea avrebbe dovuto introdurre maggiore attenzione ai sistemi di aggregazione già esistenti e consolidati come quello cooperativo. Favorire l’aiuto di operatori non economici destruttura di fatto il tessuto economico agricolo già fragile”.


Cosa si potrebbe fare di più?
“Se potessimo fare solo una cosa, bisognerebbe vegliare e rimediare alle oscillazioni dei prezzi agricoli sui mercati. Né gli agricoltori né le cooperative possono essere esposti ad una oscillazione dei prezzi delle materie prime agricole come quelle attuali. Con uno scarto di produzione mondiale annua di pochi punti percentuali (in aumento o in diminuzione), lo scarto di prezzo può raggiungere - e lo ha fatto in passato -  il 300 per cento. Una tale oscillazione deve essere gestita e agli operatori di mercati devono essere forniti degli strumenti regolamentari adatti”.

Nell’aprile 2015 sparirà il sistema delle quote latte, ma non tutti i Paesi dell’Ue oggi sono favorevoli. Qual è la posizione della Cogeca a riguardo? Servirà un sistema di regolamentazione?
“Se ci trovassimo in un periodo economico fiorente, l’Esecutivo europeo non esiterebbe ad eliminare definitivamente qualunque tipo di strumento di gestione dei mercati. Ma la storia ha dimostrato che le crisi di mercato sono cicliche ed imprevedibili.
Un buon sistema di gestione dei mercati e una prevenzione delle crisi costerebbe meno che la gestione a colpi di milioni, ogni qualvolta i mercati subiscano uno squilibrio. Abbiamo, all’interno dell’Unione europea, posizioni diverse sui mercati lattiero-caseari e sulla loro gestione. Esiste certo il bisogno e la capacità di alcuni operatori di captare nuovi mercati con l’aumento dei volumi di produzione. Ciononostante, le realtà territoriali dei 27, presto 28, Stati membri non esula dalla responsabilità politica di proteggere aree che sarebbero strutturalmente indebolite dall’assenza di strumenti di gestione. La definitiva eliminazione di strumenti di mercato sarebbe estremamente rischiosa e potrebbe andare a discapito degli equilibri territoriali di molte zone della Ue”. 


Nel comparto bieticolo saccarifero la Cogeca chiede il mantenimento delle quote zucchero almeno fino al 2020. Sarà una misura sufficiente per mantenere la stabilità colturale ed evitare il progressivo abbandono della barbabietola? Che peso potrà avere il comparto bioenergetico?
“Esatto, il Copa-Cogeca chiede alle istituzioni europee di garantire che l’attuale organizzazione del mercato dello zucchero sia prorogata almeno fino al 2020, con l’introduzione di un meccanismo di flessibilità che consenta di immettere automaticamente dello zucchero fuori quota sul mercato allorquando l’equilibrio di quest’ultimo lo richieda.
Quanto al peso del settore delle bioenergie, la produzione destinata a tale scopo copre 150.000 ha e rappresenta oggi il 10% della superficie totale. Vedremo in quale misura questo ambito contribuirà al comparto bieticolo”.


La Cogeca nel documento sui biocarburanti afferma che “l’utilizzo del mais in monocoltura si rivela essere a volte il sistema colturale più adatto a un determinato territorio, che non porta a una degradazione del suolo”. Quindi, Presidente, ritiene possibile superare nella riforma della Pac lo scoglio delle focus area imposte dal greening o l’obbligo di rotazione colturale?
“Non so se sarà possibile, come il commissario promette, ma me lo auguro! La monocultura di mais è una problematica della mia regione di produzione, l’Aquitania, nel Sud Ovest della Francia.
Al contrario di quanto comunemente creduto, il mais non impoverisce il suolo. Le pratiche di produzione sono evolute da 40 anni ad oggi, ma le credenze ad essa legate no. Il mais è una pianta che consuma meno acqua di tante altre, meno del grano ad esempio e ha una capacità di catturare la CO2 superiore alle superfici di foreste di taglia equivalente.
Inoltre, se trasformato in bioetanolo, un ettaro di mais fornisce una quantità di proteine (non immesse nell’etanolo) per l’alimentazione animale di lunga superiore ad un ettaro di soia.
Effettivamente, per alcune regioni europee, il mais è l’unica produzione economicamente valida. Chiedere agli agricoltori di applicare le norme richieste dal greening è chiedere loro di produrre in perdita”.


Una delle denuncie della Cogeca riguarda le pratiche sleali e abusive all’interno della filiera. La situazione sta migliorando oppure c’è ancora uno squilibrio eccessivo nei confronti della grande distribuzione alimentare? Quali rimedi potrebbero essere adottati in maniera efficace?
“La situazione della catena alimentare è oramai insostenibile per gli operatori a monte dalla filiera. I risultati ecomomici della Commissione europea hanno mostrato come la complessità degli scambi abbia spostato la parte di valore aggiunto verso gli operatori implicati nella logistica e nel trasporto. Detto ciò, le nostre imprese indicano che la grande distribuzione rimane l’operatore maggiormente coinvolto nelle pratiche abusive nella quasi totalità degli Stati comunitari.
Serve una piu ampia regolamentazione delle pratiche, l’armonizzazione di esse a livello europeo e soprattutto è indispensabile che le autorità della concorrenza applichino le stesse regole a tutti gli operatori del settore agroalimentare.
Il concetto di mercato pertinente, ad esempio, deve essere armonizzato. La taglia dei distributori permette loro di beneficiare di un rapporto di forza squilibrato. Questo è il nodo della questione: lo squilibrio di potere nasce da lì.
La Cogeca denuncia le pratiche abusive nella catena alimentare e attira l’attenzione del legislatore sulle problematiche inerenti alle relazioni commerciali”.