Il problema nasceva nell’ambito del Comitato interprofessionale del tacchino francese, associazione senza scopo di lucro che prevede, in capo agli aderenti, il versamento di un contributo volontario obbligatorio che il Comitato stesso si propone di utilizzare per proteggere e promuovere gli interessi del settore.
La questione sollevata, pertanto, ho fornito l’occasione per trattare nuovamente i temi delle "risorse statali" e dell’"imputabilità allo Stato" degli aiuti e si fonda sostanzialmente sulla presunta violazione degli artt. 107 paragrafo 1 e 108 TFUE, laddove il primo stabilisce l’incompatibilità degli aiuti statali con il mercato dell’Unione qualora minaccino la concorrenza , mentre il secondo prevede la procedura di controllo preventiva degli aiuti di Stato.
Innanzitutto, è opportuno chiarire che con l’espressione “contributo volontario obbligatorio”, che può sembrare di per sé una contraddizione in termini, ci si riferisce alla volontarietà in quanto la previsione del contributo stesso, nasce dalla disposizione unilaterale dell’organizzazione che lo prevede; per quanto attiene l’obbligatorietà, invece, è prevista in capo ai membri dell’organizzazione che, in quanto tali, sono tenuti a versare i contributi previsti.
I punti fondamentali della questione, sollevati da due delle imprese aderenti al Comitato interprofessionale in parola, sono sostanzialmente due.
In primo luogo si chiede alla Corte di qualificare i Cvo.
In secondo luogo, nell’ipotesi in cui detti contributi fossero da ritenere quali aiuti di Stato, applicando la statuizione prevista all’art. 108 paragrafo 3 Tfue.
L’Avvocato generale però, nelle sue conclusioni, alla luce anche della giurisprudenza pregressa, finisce per negare la natura di aiuti di stato ai Cvo e, conseguentemente, ha dedotto che tali misure potevano beneficiare della deroga prevista dall’articolo 107, paragrafo 3, lettera c) Tfue in quanto non rischiavano di influenzare negativamente le condizioni degli scambi in modo contrario all’interesse comune.
Tralasciando le questioni prettamente e squisitamente giuridiche, ci sembra opportuno evidenziare quali siano le condizioni ineliminabili affinché si possa correttamente parlare di “aiuti di Stato”:
• deve trattarsi di un intervento dello Stato o attuato mediante risorse statali;
• l’intervento deve essere di natura tale da incidere sugli scambi tra Stati membri;
• deve recare un vantaggio al beneficiario;
• deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza.
Le suddette condizioni devono essere cumulativamente presenti; infatti, per valutare se una misura costituisce aiuto di Stato, così come stabilito da costante giurisprudenza, le condizioni sopra elenzate devono necessariamente coesistere.
Chiaramente, l’aspetto che rileva per il nostro caso, è contenuto al primo punto, che, a detta dell’Avvocato generale, non ricorre nel caso in analisi. I
nfatti, una volta accertato che le organizzazioni in questione sono persone giuridiche di diritto privato, si evidenzia che le misure in questione non sono finanziate e cofinanziate da sovvenzioni pubbliche (elemento necessario per applicare l’art. 107 paragrafo 1 TFUE) e i fondi privati utilizzati dalle organizzazioni interprofessionali non diventano “risorse pubbliche” soltanto perché utilizzate assieme a somme che provengono dal bilancio pubblico.
Alla luce dei profili sopra analizzati, ci sembra di poter sostenere la bontà della posizione presa dell’Avvocato generale che, dopo un’attenta analisi della vicenda e delle normative europea e francese, si esprime, a parere degli scriventi, in modo accorto e conforme alle esigenze sia del mercato comune che dell’economia interna ai singoli Stati membri.
A titolo di inciso, è opportuno rammentare che la finalità delle conclusioni dell’Avvocato generale è quella di proporre alla Corte di Giustizia una possibile soluzione giuridica per la causa che lo ha visto designato; la pronuncia sopra esposta, pertanto, in alcun modo vincola la Corte nelle sue decisioni.
Non ci resta allora che restare in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia europea.
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