Con la Presidenza cipriota che ha preso le redini del Consiglio dell’Ue a inizio luglio, si apre un semestre dedicato al negoziato sul futuro bilancio comunitario, essenziale anche alla definizione della riforma della Politica agricola comune (Pac).

Agronotizie ha fatto il punto della situazione con Giovanni La Via, relatore del budget 2013 e di uno dei 4 dossier modificativi Pac.

 

Prima di negoziare il bilancio pluriannuale (2014-2020), si sta cercando l’intesa su quello per l’anno prossimo, di cui lei è responsabile. Gli Stati membri vogliono tagliare circa 5 miliardi di euro, ma il settore agricolo sembra al riparo dai tagli, è così?

"C’è una grande confusione nel Consiglio dell’Ue (l’istituzione che rappresenta i governi nazionali, ndr). Le capitali si comportano come se la mano sinistra non sapesse quello che fa la destra: al Vertice di fine giugno i leader europei hanno fatto proclami sull’importanza della crescita, siglando un patto per lo sviluppo, ora arriva questa mossa perfettamente in contrasto. Il taglio proposto dal Consiglio per il budget 2013 colpisce proprio la crescita, perché riguarda le voci di ricerca, occupazione, politica di coesione. Per quanto riguarda l’agricoltura, è vero che la riduzione è minima, ma indirettamente anche l’agricoltura potrà risentire dei tagli alla ricerca, che sono trasversali".

 

Con questo dato di base, come giudica le ambizioni della presidenza cipriota di trovare un accordo sul bilancio 2014-2020, essenziale per la riforma Pac, entro fine anno?

"Mi sembra una previsione molto ottimista, ed è per questo che il Parlamento europeo si sta attrezzando anche per lo scenario peggiore, quello di un ritardo che non permetterebbe di iniziare a dovere, nel gennaio 2014.
Dico che è il calendario cipriota è ottimista, perché non si può siglare un’intesa sul bilancio pluriennale prima di aver definito la dotazione finanziaria dell’anno prossimo. E dopo la mossa del Consiglio, si prevede un percorso più lungo, con la conciliazione tra le due istituzioni a novembre.
Se anche, nella migliore delle ipotesi, si arrivasse davvero al Summit di dicembre con il budget sul tavolo dei leader, per esperienza dico che le discussioni per mettere in atto l’intesa politica saranno lunghe e complesse, non ci vorranno meno di 4 o 5 mesi.
Ecco perché abbiamo chiesto all’ufficio studi del Parlamento europeo di delineare un’ipotesi per poter procedere se non si raggiungesse in tempo l’accordo sul bilancio.
Per i pagamenti diretti agli agricoltori, il disagio sarebbe minore, si potrebbe adottare una soluzione transitoria, ma sarebbe molto più complicato gestire i programmi di sviluppo rurale, che sono definiti lungo l’arco di sette anni".

 

Riforma Pac. Come finirà? E' presto per dirlo, ma se dovesse indicare delle linee generali, quali richieste del Parlamento europeo hanno più chance di passare, e su quali invece il negoziato sarà più complicato?

"E' davvero presto per dirlo. Abbiamo da poco presentato le posizioni dei relatori, ora con oltre 5mila emendamenti ci aspetta un lavoro complesso. Solo all’interno del Parlamento bisognerà tener conto di posizioni opposte; ci sono anche colleghi che rigettano completamente la posizione della Commissione europea. Figuriamoci la complessità del negoziato tra le tre istituzioni.
Però, in linea generale, penso che alla fine del processo le maggiori modifiche saranno sul greening
(le pratiche ecologiche a cui la Commissione propone di condizionare circa un terzo degli aiuti, ndr).
E' più o meno certo che andrà in porto la richiesta di ridurre l’entità del greening, così come verrà diminuita la percentuale di terreno che la Commissione propone di dedicare a scopi ecologici (7%).
Poi, salteranno le sanzioni aggiuntive legate alle pratiche eco-compatibili che, quindi, condizioneranno solo una parte degli aiuti diretti, ma senza multe ulteriori. Le risorse così risparmiate sul greening passeranno al secondo pilastro, obbligatoriamente nelle misure agroambientali.
E se ci dovesse essere un taglio sul bilancio agricolo, sarà proprio il greening a risentirne: in quel caso bisognerebbe praticamente sopprimerlo".

Nel quadro della riforma Pac, lei si è occupato del dossier relativo alle semplificazioni, proponendo un “cartellino giallo” prima di sanzionare i produttori. Ma aumentare i controlli non rischia di aumentare i costi?

"L’idea è che ci sia una fase di monitoraggio in cui si possa dire all’agricoltore che sta sbagliando, dargli una possibilità di recuperare senza imporgli subito una sanzione. Dopo 30 giorni ci sarebbe un altro controllo, e a quel punto la sanzione scatta se il produttore non si è adeguato. L’incidenza del costo è marginale: la visita in campo, rispetto alle rilevazioni aeree, pesa in maniera minima sui costi".

 

Tra il greening e la semplificazione, di cui si parla molto, non si è perso un po’ di vista un altro importante obiettivo della riforma Pac, quello dell’aumento della produzione? In un recente sondaggio Eurobarometro, circa l’80% dei cittadini si dice preoccupato per il livello di produzione mondiale di cibo e ritiene l’Europa abbia il dovere di svolgere un ruolo importante per la sicurezza alimentare.

"In quest’ambito non si può che puntare sulla ricerca, che è uno strumento essenziale. In questa riforma, per la prima volta, si introducono risorse specifiche per la ricerca nel settore agricolo e agroalimentare. La superficie coltivata non è aumentata col tempo, anzi si è ridotta: quella che è cambiata è la produttività, frutto delle nuove tecnologie, che hanno dato tanto e credo abbiano ancora tanto da dare".

 

Mentre nelle istituzioni si discute, in strada gli agricoltori protestano, in questi giorni i produttori di latte: quale messaggio gli si può dare?

"Da una parte, bisogna senza dubbio lavorare per favorire le organizzazioni dei produttori, di modo che gli agricoltori possano avere un peso maggiore nella catena della produzione. Dall’altra, e penso a chi non vuole la fine delle quote latte nel 2015, le risorse sono sempre più scarse e l’agricoltura ne deve tenere conto. I tempi sono cambiati: le regole devono cambiare".