Siamo alle solite. I prezzi all’origine, quelli cioè corrisposti agli agricoltori, continuano a calare mentre al consumo si registrano degli aumenti. Modesti, ma inspiegabili. Il dato emerge dalle elaborazioni di Istat e di Ismea rese note in questi giorni. Prendiamo ad esempio l’andamento complessivo dei prodotti alimentari e delle bevande, che rispetto a settembre del 2008 è cresciuto dello 0,7%. Molto, specie se si tiene conto che complessivamente l’indice nazionale dei prezzi al consumo nello stesso periodo ha fatto registrare un aumento ben più modesto, solo lo 0,2%. Più in dettaglio, si scopre che per la voce pane e cereali ci si attende una variazione tendenziale dello 0,6% e per le carni si va verso un aumento dell’ 1,2%. Ma nello stesso periodo il prezzo all’origine dei cereali è calato (precipitato!) del 26% e quello delle carni ha fatto altrettanto (-14,6% i suini, -3,3% i bovini). E’ vero, i maggiori aumenti al dettaglio hanno riguardato i prodotti trasformati piuttosto che quelli freschi. E le industrie, si obietterà, si sono limitate  a trasferire sui prezzi i maggiori oneri di produzione. Una spiegazione solo parziale. Perché sono calati non solo i prezzi delle materie prime ma anche quelli dell’energia, una voce importante nelle lavorazioni agroalimentari.

 

In cerca di cause

L’aumento della forbice fra prezzi all’origine e prezzi al dettaglio ha dunque altre motivazioni, non ultima quella delle speculazioni. Lo ha denunciato con vigore Coldiretti dal podio di Cernobbio dove ha tenuto il suo “Forum internazionale sull’agricoltura”. Perché la distorsione che si realizza sui mercati, con i prezzi che si moltiplicano per cinque nel passaggio dal campo alla tavola, è un ostacolo alla crescita del “Made in Italy”. Confagricoltura ricorda che nella catena del valore delle filiere agroalimentari ai produttori resta una quota modesta e assai diseguale rispetto a industrie e distribuzione. Una “spirale perversa” che deve trovare risposta, questa la richiesta di Confagricoltura indirizzata al Parlamento e al Governo, in una “politica per l’agricoltura”. Pronti, se necessario, anche alla mobilitazione. Un appello al quale si associano anche Cia e Copagri che nei giorni scorsi hanno organizzato a Bologna e a Milano una distribuzione gratuita di latte e frutta per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità della situazione che l’agricoltura sta vivendo. Fra le richieste figura quella di istituire un tavolo di crisi e di rifinanziare il fondo solidarietà. Ben vengano questi aiuti (per il fondo di solidarietà ci sono anche le rassicurazioni del ministro Zaia), ma non bastano.

 

Il supermarket degli agricoltori

Il problema va risolto altrove. Si è detto, da tempo, che nella catena del valore nella filiera agroalimentare le maggiori risorse sono tutte spostate verso la distribuzione e l’industria. In cosa queste due componenti si differenziano dall’agricoltura? Nella dimensione (specie la grande distribuzione) e nella organizzazione e rappresentatività, unitaria e compatta per le industrie. Mentre l’agricoltura è fatta di aziende piccole e divise fra mille campanili. Forse bisognerebbe iniziare a lavorare da qui. Ecco perché ha trovato tanti consensi il progetto che Coldiretti ha presentato a Cernobbio di costruire attraverso i Consorzi agrari una nuova holding che si occupi anche di distribuzione dei prodotti agricoli. Si chiamerà “Consorzi Agrari d’Italia” e almeno sulla carta si presenta come un efficace baluardo allo strapotere della grande distribuzione. Buona l'idea, speriamo che i fatti non siano da meno.