In queste settimane si sta molto parlando nel mondo apistico e accademico della decisione del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano di non rinnovare l'autorizzazione al mantenimento di un apiario sull'Isola di Giannutri per possibili rischi nei confronti delle popolazioni di apoidei locali.

 

Una decisione che è stata presa a seguito delle relazioni dei ricercatori dell'Università di Firenze e di Pisa, dove sono state messe in evidenza una diminuzione delle risorse alimentari, un cambio di comportamenti e una riduzione della popolazione di due specie di apoidei, Bombus terrestris e Anthophora dispar, correlabili alla presenza delle api da miele. 

 

Dati che poi sono stati pubblicati in un articolo scientifico pubblicato sulla rivista internazionale Current Biology.

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Dopo aver intervistato i ricercatori che hanno lavorato allo studio, abbiamo deciso di intervistare anche Paola Bidin, l'apicoltrice titolare dell'azienda La Pollinosa, che suo malgrado è diventata una protagonista di questa vicenda che sta diventando un caso di studio e di dibattito su quelle che sono le possibili interazioni tra api da miele e altri apoidei locali.

 

Signora Bidin, perché avevate un apiario a Giannutri e perché era importante per voi?

"Dal 2019 al 2024 abbiamo installato un apiario sull'Isola di Giannutri, su un terreno privato e con il consenso del proprietario, allo scopo di far incontrare le nostre regine vergini con i fuchi selezionati in un luogo in cui fossero liberi di accoppiarsi senza intrusioni di maschi ignoti nell'ambito di un progetto aziendale di salvaguardia e miglioramento dell'ape ligustica, la sottospecie italiana dell'ape da miele. Come ben sa chi si occupa a vario titolo di api, le regine si fecondano in volo con fuchi provenienti anche da molti chilometri di distanza.

 

Il controllo degli accoppiamenti è la base di ogni programma selettivo, per qualunque specie allevata o coltivata, e in Italia sono rarissime le zone in cui l'isolamento geografico e l'assenza di altre colonie lo consentono. Gli alveari, da 12 a 18 a seconda degli anni, venivano traslocati sull'isola da dicembre a giugno, ovvero nel periodo con maggior disponibilità di risorse trofiche; la loro rimozione nel periodo estivo/autunnale, più siccitoso e povero di fonti nettarifere, pur sobbarcandoci l'onere di una logistica ai limiti dell'agricoltura eroica, era programmata proprio per evitare di sovraccaricare l'ecosistema insulare e arrecare fastidio o apprensione nei turisti".

 

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Paola Bidin in apiario

(Fonte: La Pollinosa)

 

Il Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano era un partner del vostro progetto di conservazione e selezione dell'Apis mellifera ligustica?

"Purtroppo no. Uno degli obiettivi selettivi del nostro progetto, esplicitato anche nella prima lettera di richiesta e illustrazione del nostro lavoro inviata al Parco nel 2017, consiste proprio nel tentativo di far emergere nelle colonie quei tratti che ne migliorino la tolleranza nei confronti dell'acaro Varroa destructor, il parassita che con il suo arrivo ad inizio anni 80 si è reso responsabile della scomparsa di tutte quelle colonie selvatiche che popolavano i nostri territori e che, proprio in virtù del complesso meccanismo riproduttivo dell'ape, formavano con le colonie allevate un'unica popolazione, un serbatoio genetico di altissimo valore in un'ottica di conservazione del patrimonio naturale.

 

Restituire all'ape mellifera la sua dimensione selvatica è uno sforzo che la ricerca e l'apicoltura mondiale stanno portando avanti da decenni in varie parti del mondo e, pur non osando paragonarci a gruppi di lavoro ben più titolati di noi, ci sembrava potesse essere insita nel Dna di un parco nazionale l'affinità ad un simile intento. Spiace aver constatato che il valore del nostro lavoro e, ancor più, il valore di un sito con caratteristiche rare e preziose per la conservazione di Apis mellifera ligustica non siano stati tenuti in nessun conto".


Nel lavoro di ricerca portato avanti dalle università di Pisa e di Firenze i ricercatori hanno in qualche modo gestito i vostri alveari, chiudendo e aprendo le arnie per valutare la possibile competizione con altri insetti. Voi quindi eravate a conoscenza dello studio in corso e dei suoi obiettivi o no?

"In realtà ci siamo preoccupati noi di predisporre gli alveari in modo che i ricercatori, poco esperti di pratiche di conduzione, potessero aprire e chiudere agevolmente le colonie cercando con alcuni accorgimenti di limitare al massimo l'inevitabile impatto sulle api della clausura forzata per intere giornate; l'apiario, infatti, è collocato in pieno sole, il clima mediterraneo dell'isola non di rado regala giornate ben più che tiepide anche a inizio primavera e la permanenza sotto il sole di una colonia chiusa, soprattutto in un momento di forte importazione di nettare come accade tutti gli anni nel periodo di studio rappresenta uno stress non indifferente.

 

Abbiamo prestato la nostra opera e il nostro knowhow con l'apertura e la disponibilità che caratterizza da sempre il comparto apistico nei confronti della ricerca, convinti di poter aggiungere elementi di conoscenza e lettura dei fenomeni derivanti dalla quotidiana esperienza di campo, ormai trentennale, provando a fornire osservazioni e spunti di approfondimento che aiutassero a restituire un quadro il più completo possibile dei fattori potenzialmente impattanti sulle popolazioni di pronubi selvatici, all'interno del quale inserire e ponderare le osservazioni derivanti dallo studio sull'interazione con le nostre api.

 

Quando si studiano fenomeni complessi andrebbe fatto lo sforzo di guardare anche il quadro d'insieme: se un paziente oncologico va dal medico con l'influenza, il medico non dirà che sta morendo per quello… Dobbiamo però concordare col dottor Claudio Porrini, esperto di api e impollinatori con numerose pubblicazioni sul tema, quando osserva che 'purtroppo la sperimentazione condotta a Giannutri è stata impostata con il presupposto iniziale che le api mellifere fossero l'unico fattore a determinare un eventuale calo delle popolazioni selvatiche di pronubi'.


Guardando i fatti dall'esterno, un parco naturale, sulla base di dati scientifici pubblicati a livello internazionale, ha deciso in via precauzionale di non rinnovare un'autorizzazione ad una azienda privata per portare avanti una loro attività che potrebbe danneggiare degli animali locali. Da questo punto di vista il parco ha fatto esattamente quello che deve fare un parco. Cosa contestate?

"Temo di doverla correggere: lo scorso agosto il Parco non ha emesso il provvedimento di diniego sulla base dello studio, che è stato pubblicato solo questa primavera, ma della tesi di laurea di una studentessa, che presenta alcune differenze di non poco conto con quanto sottoposto al vaglio della comunità scientifica, come riscontrabile nella lettera con cui ci è stato negato il rinnovo dell'autorizzazione.
Detto questo, s
e il Parco o chiunque altro leggesse con attenzione l'articolo, si renderebbe conto che i ricercatori sono ben lontani dall'aver dimostrato un qualunque nesso causale tra l'interazione con le api ed il calo numerico dei selvatici nei tre anni di lavoro.

 

Non siamo i soli a dire che lo studio presenta importanti carenze nel disegno sperimentale e nelle conclusioni che trae e che le evidenze che produce non giustificano l'interruzione di un lavoro che ha ricadute positive sull'apicoltura e sulla conservazione dell'ape ligustica: ad affermarlo, oltre al già citato dottor Porrini dell'Università di Bologna, sono autorevoli esponenti del Crea e del Cnr.

 

Innanzitutto, è sbagliato considerare Apis mellifera alla stregua di un organismo alieno in un'isola del Mediterraneo, nel pieno del suo areale originario, solo perché 'gestita' e perché assente da Giannutri da appena quarant'anni, a causa dell'avvento della varroa che ha spazzato via il piccolo apiario allora presente e, verosimilmente, le colonie selvatiche. In uno studio che si propone di osservare il comportamento di tre attori, inoltre, alterare con clausure forzate per intere giornate la regolare attività di uno di essi è un errore concettuale e metodologico che già di per sé dovrebbe invalidare i risultati.

 

Quanto alla competizione per le risorse trofiche, è evidente che un commensale in più porta ad una riduzione della disponibilità, ma la domanda giusta non è 'quanto cala?', ma 'quanto ne rimane?' e 'hanno mangiato tutti a sufficienza?'. I loro stessi dati sul consumo di polline, se letti con attenzione, ci dicono che i pronubi selvatici consumano circa il 44%, le api circa il 15% e che il 41% rimane intonso; questo in prossimità degli alveari, laddove la competizione è più evidente, mentre il fenomeno si attenua con l'aumentare della distanza dall'apiario. Dati pressoché analoghi vengono forniti per il consumo di nettare.

 

Un altro studio svolto nell'ambito dello stesso quadro sperimentale, anche esso alla base di un'altra tesi di laurea, non ha evidenziato differenze statisticamente significative nei valori energetici (carboidrati, lipidi, proteine) assunti dalle antofore nei giorni con o senza api, sempre in prossimità degli alveari. Significa, quindi, che le risorse trofiche sono sovrabbondanti e che i pronubi selvatici, anche in presenza delle api, si riempiono la pancia a sufficienza. Una modifica del comportamento in presenza di un commensale in più è assolutamente plausibile e naturale ma, se non si dimostra un calo della fitness, assumerlo come causa del calo numerico (oltretutto misurato in un intervallo di tempo così breve e senza dati pregressi) è arbitrario, soprattutto se non vengono considerati altri elementi potenzialmente ben più impattanti sulla salute dell'entomofauna, quali gli effetti dei cambiamenti climatici e l'uso massiccio di pesticidi che annualmente viene fatto sull'isola nel periodo estivo per il contenimento delle zanzare".


State portando avanti anche delle azioni legali o politiche a riguardo? E se sì, quali?

"Il quadro normativo europeo, nazionale e regionale è univoco nell'attribuire all'apicoltura e alle api un valore (addirittura la legge quadro sull'apicoltura n. 313/04 la definisce 'di interesse nazionale') che va ben oltre la produzione di miele, proprio per il contributo che le api forniscono al mantenimento degli equilibri ecosistemici, tanto da incentivarne la presenza in determinate aree con una misura dedicata (Aca18), la cui cartografia comprende anche il territorio di Giannutri. La scienza procede, come è giusto che sia, per prove ed errori ed è ancora lontana da una posizione condivisa sul tema dell'interazione tra api da miele e impollinatori selvatici.

 

Che, però, un organo dello Stato decida, sulla base di un unico studio, in difformità con quanto afferma compattamente la normativa di riferimento e senza considerare il valore, anche collettivo, di quel che vieta è inaccettabile e può costituire un pericoloso precedente. Le aree dove è possibile controllare gli accoppiamenti delle api regine, nel nostro Paese, sono rare e preziose e chi ne gestisce il territorio deve esserne consapevole e tenerne conto nelle proprie decisioni.

 

Per questo motivo abbiamo immediatamente intentato un ricorso al Tar di Firenze e, a conferma del fatto che la questione è particolarmente sentita dal comparto, tutte le associazioni apistiche toscane e buona parte di quelle nazionali si sono unite a noi nella causa. Da decenni, ormai, gli apicoltori sono in prima linea in una battaglia totalmente autofinanziata che, oltre a tutelare la salute delle proprie api, ha come effetto una maggior attenzione e salvaguardia dell'entomofauna e della salubrità dell'ambiente dalle contaminazioni prodotte da pratiche agricole altamente impattanti. I panni dei 'predatori dell'ambiente' ci stanno, sinceramente, un po' stretti".