La peste suina africana è arrivata in Toscana, ancora una volta infettando un cinghiale. La conferma dalle analisi della carcassa di un selvatico rinvenuto a Zeri, comune in provincia di Massa Carrara.

Salgono così a 2.401 i casi di infezione nei cinghiali a iniziare da quelli riscontrati in Liguria e Piemonte nel gennaio del 2022, con una progressione che non si è mai arrestata in questi mesi.

 

Con l'unica eccezione della Basilicata, tutte le regioni della penisola che si affacciano sul Tirreno, dalla Toscana alla Calabria, hanno conosciuto la presenza di questo virus.

Oltre a Liguria e Piemonte, dove sono arrivati i primi casi, preoccupa in particolare la situazione di Lombardia ed Emilia Romagna, dove si contano rispettivamente 242 e 310 casi nei cinghiali.

In Lombardia, ricordiamo, sono stati colpiti anche allevamenti di suini e solo le eccezionali misure di biosicurezza attuate con grande impegno e sacrificio da parte degli allevatori hanno impedito, per ora, che altri allevamenti venissero coinvolti.

 

Filiera a rischio

Oggi si teme in particolare per i 135 casi in provincia di Parma, che minacciano la filiera dell'omonimo prosciutto a denominazione di origine.

Va ricordato che questo virus provoca gravissimi danni agli allevamenti di suini, ma non colpisce in nessun caso le persone, né per contatto con gli animali e né con il consumo di carni fresche o trasformate.

Nei suini provoca invece alta mortalità e non esistono cure efficaci. Per questo si rende necessario l'abbattimento di tutti gli animali, sia per evitare loro ulteriori sofferenze, sia per limitare il contagio.

 

 

10 miliardi a rischio

Quanto sia pericoloso questo virus per gli allevamenti e quali conseguenze ne potrebbero derivare per l'intera filiera suinicola AgroNotizie® lo ha ricordato a più riprese.

Già oggi le nostre esportazioni di carni e prodotti trasformati della salumeria incontrano ostacoli da parte di alcuni Paesi. A Cina, Giappone, Svizzera e Taiwan, che hanno chiuso le frontiere, si è aggiunto nelle ultime settimane anche il Canada.

 

Altri episodi della malattia che si presentassero in qualche allevamento si tradurrebbero in una catastrofe per un settore che vale 10 miliardi di euro e attorno al quale gravitano circa 60mila addetti.

Il rischio può essere ridotto solo interrompendo il proliferare di cinghiali, da tempo in numero eccessivo.

Ma i risultati su questo fronte tardano ad arrivare. Nemmeno la messa in campo di personale dell'Esercito è riuscito a imprimere una svolta decisiva.

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Troppi cinghiali

Quello dell'eccessiva presenza di cinghiali è un problema annoso. Già a inizio luglio, proprio in Toscana, si è svolta davanti alla sede della Regione una manifestazione di protesta promossa da Coldiretti per chiedere interventi più efficaci nel contenimento dei selvatici.

Oltre ad essere veicolo del virus della peste suina africana, i cinghiali sono motivo di gravi danni alle colture.

All'indomani del nuovo caso della malattia sono comunque state attivate tutte le misure previste dai Regolamenti comunitari.

 

Le restrizioni

Il blocco delle attività e le limitazioni alla movimentazione degli animali sono motivo di disagio e perdite economiche per le attività zootecniche racchiuse fra le zone di restrizione di primo, secondo e terzo livello (si veda AgroNotizie®).

Misure tuttavia indispensabili per contenere il diffondersi del virus.

Fondamentale è poi il ruolo dei singoli allevatori nell'attuare tutte le misure di biosicurezza necessarie.

 

Maggiori difficoltà si potranno riscontrare per gli allevamenti all'aperto, diffusi in Toscana, dove è più facile il contatto fra suini e cinghiali.

Non va dimenticato che l'uomo, attuando comportamenti scorretti, può essere inconsapevolmente un veicolo del virus.

Colpa anche della forte resistenza di questo patogeno nell'ambiente esterno dove è in grado di rimanere infettante per lungo tempo.