"I mercati vanno abbastanza bene. Siamo in un periodo in cui, anche in virtù di controlli sanitari che da noi sono molto più stringenti rispetto ad altri paesi, riusciamo a dare origine a produzioni di altissima qualità e grazie al lavoro dei tecnici del sistema Aia possiamo garantire la tracciabilità dei nostri prodotti zootecnici, dando quelle garanzie che il consumatore sta chiedendo, o meglio, giustamente, pretendendo.
Per quanto riguarda la qualità del cibo è un momento importante. Iniziamo ora a fare una miglior comunicazione che trova una risposta da parte dei consumatori. Facciamo iniziative come le 'stalle aperte' per far conoscere i nostri 'segreti' sul come riusciamo a produrre. In fin dei conti, nel settore zootecnico la produzione rimane come quella di una volta, riuscendo però a coniugare la tradizione con l'innovazione, e a livello nazionale su ciò che produciamo possiamo dare veramente delle ottime garanzie".
In che misura la zootecnia contribuisce al made in Italy agroalimentare e al nostro fabbisogno alimentare?
"Al momento non siamo in grado di produrre sufficiente latte e carne per il nostro fabbisogno e dobbiamo anche importarli, per una certa quota. Per quanto riguarda la carne siamo vicini al 50% della richiesta e da questo punto di vista bisogna migliorare producendo di più. Importiamo ancora un milione di vitelli da ristallo dalla Francia. Per fortuna ci siamo organizzati e ci siamo aggiudicati un bando importante al Sud con la 'Filiera Italia'. Si tratta di immettere vacche nutrici per la linea vacca/vitello delle razze specializzate da carne, consentendo così agli allevatori di fornire al consumatore un prodotto al 100% italiano. Credo che questo progetto possa rappresentare una risposta importante".
Parlando di zootecnia l'immaginario collettivo corre immediatamente ai bovini…
"Per fortuna in Italia abbiamo tantissimi tipi di allevamento e si fa della vera biodiversità. Oltre al territorio ci mettiamo anche le nostre razze. Soltanto in Toscana (ne parlo poiché è la mia regione di origine, dove tuttora ha sede l'azienda d'allevamento bovino che conduco) abbiamo 52 specie tra cavalli e asini, diversi tipi di ovini, suini e razze bovine. Questo grazie ai nostri allevatori, che ci hanno creduto e ci hanno messo tanta passione, oggi ci ritroviamo ad avere in esclusiva un grande valore che ci permette di garantire una distintività del nostro cibo".
Selezione della razza e biodiversità sono due concetti conciliabili?
"Assolutamente sì. Selezionare significa migliorare le razze, non ridurle. Selezionare è il nostro mestiere ed è importantissimo negli allevamenti capire aspetti fondamentali per la produzione. Per essere sempre più competitivi è indispensabile tenere in considerazione e migliorare aspetti a cui spesso non si pensa, come la fertilità, l'istinto materno, per il carattere degli animali. Su questi elementi stiamo lavorando sempre di più, con l'obiettivo di migliorare queste razze. Non ci si può fermare".
A parte l'avicoltura, unica che ha raggiunto l'autosufficienza, come vanno gli altri settori dell'allevamento?
"Cominciamo con gli ovini dove, come in tanti altri settori, arriva del prodotto dall'estero che ci fa una concorrenza spesso sleale. Sia per il latte che per la carne, in questo settore siamo spesso riusciti ad ottenere il riconoscimento Igp di tanti prodotti e abbiamo formaggi riconosciuti. Il problema attuale in Italia è la presenza di predatori, che stanno facendo grossi danni e stanno portando un senso di scoraggiamento negli allevatori; un problema per la soluzione del quale servono seri provvedimenti a livello politico.
Nel settore della cunicoltura abbiamo degli allevamenti importanti, che in diverse zone d'Italia contribuiscono a dare lavoro ai giovani, mantenere un tipo di allevamento familiare e rurale, anche grazie alle 43 razze di Registro anagrafico tenuto dall'Anci per conto del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e del turismo.
Nell'allevamento di cavalli possiamo vantare splendide razze e un'ampia biodiversità che garantisce sia animali da reddito che da compagnia. Per quanto riguarda l'area sportiva poi, c'è un importante giro di affari che vede l'Italia protagonista, così come lo sa diventando per l'utilizzo degli equini in attività di turismo sostenibile - si pensi allo sviluppo delle ippovie e del recupero delle antiche reti viarie utilizzate per la transumanza - o in progetti di agricoltura sociale e di attività terapeutiche assistite con animali".
Quali sono le criticità del mondo della zootecnia? Cosa chiedete alla politica sia nazionale che internazionale?
"La politica potrebbe fare molto di più. Abbiamo una eccessiva burocrazia nel settore agricolo, ma anche in quello zootecnico. Per quanto riguarda gli aiuti della Pac sicuramente l'allevamento italiano non è competitivo con gli altri paesi. La Francia, ad esempio, riesce a dare un premio molto maggiore per quanto riguarda le vacche da latte e da carne. Noi, rispetto agli altri, partiamo un po' spiazzati e la forbice si allarga sempre di più. Per fare un esempio, io ho iniziato a fare l'allevatore nel 1975: allora con la vendita di un vitello si acquistava un'auto di media cilindrata nuova, che costava 980mila lire. Oggi lo stesso animale vale circa 1.500 euro, il costo di un buon treno di gomme.
Cosa c'è da fare? Sicuramente si deve ridurre la differenza e la distanza tra agricoltura e industria. Oggi l'obiettivo è quello di accorciare le filiere, organizzarsi per risolvere il problema del passaggio da un elemento all'altro della catena produttiva e lavorare sulla redditività della zootecnia, recuperando valore tra i prezzi della materia prima e quelli al consumo".
Chianina, Cinta Senese… anche la zootecnia punta all'alto valore aggiunto sul mercato?
"Grazie al cielo il consumatore è sempre più attento e, sempre grazie al cielo, c'è ancora chi si può permettere di investire in cibo. Da parte nostra non possiamo che offrire al consumatore le produzioni di queste razze, che si distinguono dalle altre sia in termini di eccellenza che di prezzo; altro elemento positivo della grande biodiversità dell'allevamento italiano".
Come sono attualmente i rapporti con le Organizzazioni professionali agricole?
"In un certo periodo il sistema allevatori si è trovato in difficoltà anche per quanto riguardava l'aspetto dei finanziamenti. In quella fase, l'Organizzazione professionale agricola maggiormente rappresentativa - la Coldiretti - ci è stata particolarmente vicina, consigliandoci sulle modalità per razionalizzare le spese e le risorse per rilanciare il sistema anche a livello regionale, puntando su biodiversità, miglioramento, filiera corta e made in Italy. Noi, come sistema allevatori, condividiamo molte di queste prospettive e abbiamo sposato un progetto che oggi realizziamo insieme. E' chiaro, al tempo stesso, che Aia fornisce assistenza tecnica e servizi a tutti gli allevatori che ne usufruiscono, al di là della appartenenza alle diverse sigle sindacali".
Cosa pensa del decreto per la riforma dei servizi di assistenza tecnica agli allevamenti?
"È importante. Speriamo di poterlo sfruttare al meglio anche nel sistema allevatori. Per essere competitivi gli allevatori hanno bisogno di assistenza tecnica perché c'è sempre più specializzazione che richiede la presenza di figure tecniche che forniscano consulenza. Per quanto riguarda l'aspetto dell'autofinanziamento previsto dal decreto, non credo ci saranno problemi con i servizi a pagamento, che la maggior parte degli allevatori chiede perché conscio della loro importanza e utilità. Oggi, inoltre, ci sono anche altre necessità, come le certificazioni del benessere animale, che il consumatore sempre di più chiede e che si aspetta di trovare in etichetta. Un altro campo in cui c'è molto da fare e per il quale ci sarà bisogno di assistenza tecnica".
A che punto sono i nostri progetti di collaborazione con altri paesi?
"Da parte di altri paesi c'è un forte interesse a questo tipo di collaborazione, anche perché l'Italia in campo zootecnico è tra le prime realtà al mondo. Grazie al lavoro svolto dal sistema allevatori negli ultimi settanta anni, oggi molti paesi si stanno affacciando alle nostre finestre per chiedere consulenze e genetica. È un interesse a livello mondiale che ci rende molto orgogliosi".
Cosa significa innovazione nel settore zootecnico?
"Innovazione, in questo periodo in cui si parla molto di benessere animale, ha significato ad esempio stalle concepite in maniera diversa. Non realizziamo più ambienti completamente chiusi, ma si cerca di dare agli animali sempre più aria e spazi aperti, ventilatori dove ce ne sia bisogno, sistemi interamente informatizzati per la mungitura e per la somministrazione dell'alimentazione, che rimane però la stessa di una volta: come dicevo all'inizio, in Italia siamo riusciti a coniugare perfettamente tradizione e innovazione".
Si parla sempre di agricoltura di precisione. Esiste anche una zootecnia di precisione?
"Sì. Oggi è indispensabile avere costantemente sotto controllo le produzioni per cui, attraverso strumenti evoluti a contatto con gli animali, si cerca sempre di più di prevenire i problemi. Queste tecnologie ci permettono, ad esempio, di sapere con esattezza quando una bovina entra in calore o se non sta bene. Grazie a questi dati è possibile intervenire tempestivamente decidendo variazioni della dieta che garantiscano il massimo benessere e la produttività degli animali".
Presidio e tutela del territorio. Qual è la funzione degli allevatori?
"Un elemento che rende fondamentale la nostra zootecnia è di poterla fare in quelle zone dove altri tipi di produzione non sarebbero possibili. L'agricoltura nelle sue varie forme la si trova un po' dappertutto, ma dove l'attività agricola non è remunerativa è l'allevatore che funge da presidio di territori svantaggiati che sarebbero altrimenti abbandonati. In questo senso la zootecnia è indispensabile per il nostro paese".
In cosa un'azienda zootecnica può sviluppare la propria multifunzionalità?
"Per le aziende zootecniche la multifunzionalità è la base. Nelle nostre aziende è possibile lavorare i prodotti, trasformando carne e latte in formaggi e salumi. Grazie alle deiezioni dei bovini riusciamo a fertilizzare i nostri terreni, con il letame che diventa una grande ricchezza per i nostri territori sostituendosi ove possibile ai concimi chimici".
Cosa chiede il mondo della zootecnia alla politica nazionale ed europea?
"Soprattutto meno burocrazia e più attenzione e un riconoscimento maggiore da parte della Pac per poter essere competitivi con gli altri paesi, dai quali giungono latte e carne a dei prezzi molto più che concorrenziali".
Che impatto hanno le nuove mode alimentari sulla zootecnia?
"Per un po' è andato in voga il vegetarianesimo e poi la moda della dieta vegana, ma negli ultimi due anni questi orientamenti sembrano essersi ridimensionati. C’è un ritorno al consumo di carne anche grazie a una comunicazione efficace che valorizza in maniera corretta le caratteristiche nutritive delle carni e la salubrità della dieta mediterranea".
Nell'era dei social, latte, carne, uova e formaggi sono stati additati per anni come grandi nemici della salute, bruciando di fatto una notevole fetta di mercato. È possibile recuperarla? E come?
"Secondo me sì. In fin dei conti si tratta di mode passeggere, ma alla fine tutto può essere ricondotto al valore di una garanzia. Se i nostri prodotti sono garantiti e fatti alla vecchia maniera - ripeto, coniugando anche tradizione e innovazione -, alla fine emergeranno per quello che sono: indispensabili alla salute dell'uomo. Purtroppo non è raro sentire di bambini, figli di genitori vegani, finiti all'ospedale per patologie dovute alla malnutrizione. Possiamo anche non parlarne, ma questa rimane la verità".
Parliamo di benessere animale. Come risponde il mondo della zootecnia a chi parla di allevamenti lager?
"In Italia non si può dire questo. Ci sono anche delle eccezioni, ma la norma non è questa. Ho letto di allevamenti in Cina con maiali posti su quattro piani, ma l'Italia ha un'altra realtà. C'è il rispetto per gli animali, controllo, cultura d'allevamento. L'allevatore ha tutto l'interesse che gli animali stiano bene, perché in caso contrario, semplicemente non rende. E se l'animale non rende, l'allevatore dura poco".
Altra grande accusa mossa alla zootecnia è la sua insostenibilità ambientale…
"Anche qui parliamo di allevamenti intensivi. Da noi, in Italia, dove le cose le facciamo bene, è il contrario: gli animali servono per il mantenimento del territorio. Senza gli animali il suo mantenimento sarebbe un problema enorme. Quello che è importante è tenere il giusto numero di animali nei giusti spazi".
Proseguiamo con i luoghi comuni: antibiotici, ormoni per la crescita, inibitori o esaltatori della fertilità... veramente la carne dovrebbe essere venduta in farmacia?
"Per le nostre vacche, che conoscono i pascoli, non si sa neanche che cosa voglia dire. Con il nostro tipo di allevamento non nasce l'esigenza di certi trattamenti. In allevamento bisogna prevenire, non curare. Quando si è costretti a curare non tornano i conti e le aziende chiudono. È una sorta di selezione naturale anche questa. Chi non rispetta certi parametri non va avanti".
Tessuti coltivati, pecore clonate, Ogm: dov'è nella zootecnia il confine tra realtà, futurologia e fantascienza?
"Dovendo produrre distintività piuttosto che quantità, Ogm e clonazione sono per noi ancora nella fantascienza e a mio personale avviso, lì devono rimanere. Per il nostro sistema zootecnico non se ne vede attualmente l'utilità, ed anche l'opinione pubblica, spesso interpellata su questi argomenti, si è finora dimostrata scettica se non contraria".
Mangiare insetti: moda passeggera o una reale prospettiva del futuro prossimo?
"Non so se gli insetti possano essere considerati parte della zootecnia, ma noi non li abbiamo ancora sul libro degli animali iscritti al sistema allevatori! Mi auguro comunque che sia una moda destinata a non prendere piede! Battute a parte, sul tema dell'alimentazione destinata al consumo umano bisogna essere estremamente seri, affidarsi alle indicazioni dei propri medici curanti o comunque a degli esperti nutrizionisti, considerando le fasce di età, eventuali patologie, come ad esempio le intolleranze alimentari, e soprattutto gli stili di vita, che possono condizionare la dieta di ognuno di noi".
L'allevamento nelle sue varie forme genera un indotto di dimensioni notevoli. Ce ne può parlare?
"Si tratta di un indotto enorme, che inizia a monte dell'attività zootecnica con l'agricoltura e la mangimistica, ma anche con l'industria dei mezzi meccanici ed elettronici dedicati all'allevamento e prosegue a valle, con le trasformazioni della materia prima e della materia secondaria, come la trasformazione del pellame. Tanto per fare qualche esempio, dal grasso bovino si ottengono anche i saponi, dal letame concime, dal pollame piume… . Non è solo del maiale che non si butta via niente!"
Cosa significherebbe in termini pratici il collasso della nostra zootecnia auspicato da animalisti e vegani?
"Sarebbe un disastro, con la perdita di milioni di posti di lavoro. Con la scomparsa della zootecnia, in alcune aree del paese si avrebbe di fatto un abbandono di territori sensibili ai cambiamenti climatici, con tutti i rischi ambientali che questo comporta".
L'agricoltura vista con gli occhi dei protagonisti del settore.
Per i 30 anni di Image Line abbiamo voluto dar voce ai principali Istituti, Confederazioni e Associazioni che, dall'agrimeccanica all'agroalimentare, passando per la zootecnia, hanno tracciato il quadro presente e futuro del settore primario