Si è concluso nelle settimane scorse a Peastum il 34esimo congresso nazionale di Aapi, l’Associazione degli apicoltori professionisti italiani, che visto tra l’altro l’intervento di importanti personalità del mondo della ricerca apistica internazionale, come Marla Spivak dell’università del Minnesota e André Kretzschmar dell’Inra, in Francia.

Un congresso in cui si è parlato di molti aspetti dell’apicoltura, dalla qualità del miele alla gastronomia, e soprattutto della situazione sanitaria delle api da miele e delle prospettive di controllo e gestione delle malattie dell’alveare, sia in Italia che in altri paesi.

Per farci riassumere le principali conclusioni e gli spunti che sono usciti dal congresso abbiamo intervistato Giovanni Guido, apicoltore e veterinario, responsabile sanitario di Unaapi, l’Unione nazionale delle associazioni degli apicoltori italiani e tra gli organizzatori dell’evento.

Come da programma il 34esimo congresso nazionale Aapi è stato un congresso intenso, anche per la quantità di argomenti trattati. Partiamo dagli ospiti internazionali e tra questi prima le signore, Marla Spivak e Jackie Parcher: come mai la scelta di due statunitensi? Una realtà piuttosto lontana dalla nostra.
“Contrariamente a una opinione piuttosto diffusa tra gli apicoltori, la ricerca scientifica in campo apistico vede impegnate notevoli energie a livello mondiale. Fra queste, diverse eccellenze nord americane spiccano nel panorama d’insieme. Marla Spivak ha sviluppato molti studi assai interessanti, come ad esempio la sua recente ricerca sulla funzione immunitaria della propoli nell’equilibrio biologico della colonia d’api”.

Come è attualmente la situazione apistica negli Usa, dopo gli anni della CCD, la sindrome del collasso delle colonie, venuta alla ribalta proprio da lì?
“Europa e Usa sono due universi apistici assai diversi e distanti. Nella Ue vi sono oltre 16 milioni di alveari e oltre 600.000 apicoltori, una situazione quindi di apicoltura diffusa che garantisce, perlopiù gratuitamente, l’indispensabile servizio d’impollinazione di colture e piante selvatiche. Negli Usa sono allevati al massimo e nei momenti di punta 3 milioni di alveari con una, oramai stabile, mortalità di quantomeno il 30% delle colonie tutti gli inverni, e quindi una necessità esasperata di servizio d’impollinazione remunerato, fino a 250 dollari ad alveare, con spostamenti nomadi delle api di migliaia di chilometri.
Il declino degli alveari che ha cominciato a manifestarsi negli Usa, e che assai impropriamente è stato definito sindrome, per volutamente evocarne un’origine patologico/sanitaria, è oramai una costante senza alcuna prospettiva di miglioramento. Mentre in Europa qualche piccola e limitata misura precauzionale è stata adottata nell’uso di agrofarmaci, il condizionamento delle multinazionali agrochimiche sul sistema autorizzativo statunitense è tale che non si prevede possano esservi migliorie di sorta. Gli alveari statunitensi quindi continueranno a essere falcidiati dall’azione rincrociata di estese e perenni monocolture con spandimento irresponsabile di molecole dagli effetti insostenibili”.

 
Giovanni Guido, responsabile sanitario Unaapi

Venendo invece all’intervento di André Kretzschmar tocchiamo un argomento che interessa molto anche gli apicoltori italiani: la produzione di miele di girasole. Quale è la situazione e l’esperienza francese, che già da qualche anno sta studiando la resa nettarifera di varie varietà?
“Anche in Francia si constata un fenomeno analogo a quello che viviamo in Italia: l’obbrobrio per cui si sono selezionate varietà colturali con fiori che sono tali solo d’apparenza. La selezione di specie botaniche è evoluta nei milioni di anni per un rapporto di reciprocità con la secrezione di polline e melata con le specie che ne assicurano la fertilità. In poche decine di anni l’uomo è giunto a ‘selezionare’ varietà, ad esempio di girasole e colza, ‘scordandosi’ dell’importanza di questo fenomeno naturale, privilegiando i soli aspetti utilitaristici a breve. E di fatto creando quindi un impatto disastroso per tutte le specie viventi che sono collegate all’impollinazione. Non a caso una ricerca scientifica tedesca ha constatato la perdita – in aree verdi protette – di oltre il 75% degli insetti in soli 20 anni”.

Si può iniziare a pensare di introdurre varietà più nettarifere, magari anche selezionandone di nuove, soprattutto dopo l’accordo siglato tra apicoltori e Assosementi e che è stato anche oggetto di discussione al congresso?
“La nostra proposta e speranza che siano sostenute dalla Pac solo le coltivazioni davvero sostenibili, con fiori veri che svolgano in natura il ruolo che gli compete, secernendo nettare e polline. E’ importante che si sia avviato un dialogo poiché gli effetti di scelte aberranti come quelle sui caratteri privilegiati e di quelli ‘dimenticati’ nella selezione vegetale vanno ben oltre la relazione tra coltivazione e apicoltura ma interferiscono con l’insieme degli equilibri vitali e quindi sulla stessa fertilità del domani”.
 
Il tavolo del 34esimo congresso Aapi a Paestum
Il tavolo del 34esimo congresso Aapi
Da sinistra: Jackie Parcher, Marla Spivak, Claudio Cauda, Francesco Panella, Enrica Baldazzi

Tra le altre cose, un recente studio della Scuola Sant’Anna di Pisa ha messo in evidenza l’utilità dell’impollinazione fatta dalle api anche sulle varietà di girasole considerate autofertili, cioè che non necessitano di impollinazione incrociata. Un dato interessante per iniziare una collaborazione fattiva tra produzioni vegetali e apicoltura, no?
“Certo, ma sono ancora sollecitazioni sparse che non si sono purtroppo tradotte in precisi indirizzi sia nelle scelte operative dei privati e sia soprattutto nelle scelte pubbliche, per un’agricoltura il meno negativamente impattante possibile”.

E sempre rimanendo in tema, visto che è stato argomento di discussione, si sta muovendo qualcosa riguardo il servizio di impollinazione?
“Si evidenzia sempre più la necessità e la domanda di servizi di impollinazione remunerati. Ma è possibile che questa dinamica di collaborazione si sviluppi solo se le api non subiscono, almeno nel periodo di fioritura, effetti nefasti sia immediati e sia cronici e sub letali dovuti ai trattamenti fitosanitari. In proposito, in luogo d’affidarsi ai soli consulenti interessanti alla vendita delle loro ‘soluzioni’, parlarsi, evidenziare i variegati e possibili aspetti di possibile miglioramento, fare informazione e formazione sono l’unica prospettiva per tutti i soggetti coinvolti".

Però è anche vero che non si possono attribuire tutte le problematiche attuali dell’apicoltura alla agricoltura intensiva. Le patologie e le parassitosi delle api hanno giocato un ruolo innegabile e se non altro altrettanto drammatico soprattutto negli ultimi 30 anni. A questo come si sta rispondendo di qua e di là dall’oceano? Intendo nel campo della tecnica, della ricerca, della selezione.
"Gli effetti dei patogeni sulle api vengono amplificati, sino a divenire insostenibili, dalle carenze nutrizionali e dai residui di agrofarmaci. La maggior parte delle patologie che si riscontrano negli alveari sono 'malattie condizionate', che si scatenano quando il sistema immunitario delle api viene compromesso da cause esterne. Numerosissime ricerche evidenziano proprio nella diminuzione della biodiversità, e quindi varietà/qualità dei pollini bottinati una delle cause, mentre altre ricerche hanno svelato il ruolo scatenante di diverse molecole di agrofarmaci. A livello di campo è sempre più difficile gestire le patologie, per il sommarsi e confondersi delle varie cause scatenanti.
Il ruolo della ricerca è sicuramente importante, non tanto nella ricerca di rimedi, quanto nell’individuazione e correlazione delle varie cause predisponenti e scatenanti le patologie. La vera battaglia alle patologie delle api si gioca sull’integrità e salubrità delle nostre campagne
".