“Quello che in allevamento arriva come problema sanitario, non può essere affrontato senza coinvolgere la biosicurezza - commenta Loris Alborali, responsabile della sezione Diagnostica all'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna con sede a Brescia -. Il miglioramento del livello di biosicurezza in porcilaia è un vero e proprio investimento dell’allevatore nei confronti della sua azienda e riguarda più la parte gestionale e organizzativa che non quella strutturale. Negli ultimi tempi – prosegue Alborali – stiamo assistendo a un positivo aumento della sensibilità da parte degli operatori riguardo questo argomento; molto però resta ancora da fare, soprattutto se pensiamo agli automezzi per il trasporto degli animali e agli ingressi delle persone in azienda: due casi emblematici di come, senza accurate adozioni di disinfezione dei mezzi e accorgimenti adeguati per evitare di entrare in contatto diretto con gli animali, si possa spianare la strada all’ingresso di patologie che infettando l’intero allevamento possono compromettere inevitabilmente la redditività aziendale”.
La prevenzione è quindi il corretto approccio su cui puntare e Alborali ne sottolinea l'importanza nella lotta contro le malattie infettive. "Si tratta di una strategia vincente come testimoniano i risultati ottenuti nelle aziende che negli ultimi hanno investito in questa direzione - ricorda Alborali -. Parlare di profilassi significa impostare in allevamento un programma e un piano di lavoro che diano priorità alla conoscenza continua della condizione sanitaria aziendale e che permettano di prevenire un problema sanitario. Non è un percorso difficile, bensì possibile grazie alle indagini cliniche e di laboratorio pianificate e costruite sulle esigenze aziendali, capaci di orientare l’allevatore verso scelte di terapia e profilassi che non contemplano continue emergenze o cambiamenti terapeutici".
In questo modo è possibile prevenire l’insorgenza di malattie contagiose, che hanno un peso considerevole nella commercializzazione dei suini. E' inoltre un approccio che permette un maggiore controllo delle infezioni cosiddette zoonotiche e limita l’utilizzo emergenziale di presidi terapeutici come gli antimicrobici alla base del problema legato all’antibioticoresistenza. "In buona sostanza – sottolinea lo scienziato – l’applicazione dei principi di igiene zootecnica, benessere animale e biosicurezza mette l’allevatore nella condizione di poter lavorare con suini più robusti e recettivi agli interventi terapeutici, con il risultato di ottimizzare e ridurre i costi".
Per ogni azienda è quindi indispensabile elaborare e implementare un programma di biosicurezza ad hoc. Esattamente il principio che l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia sta portando avanti insieme al ministero della Salute e alla Regione Lombardia, per valutare l’impatto che i sistemi oggi riconosciuti e la normativa vigente possono avere. Le buone quotazioni che da circa un anno registrano i suini italiani sul mercato delle contrattazioni inducono gli operatori a un cauto ottimismo per il futuro.
A causa della crisi attraversata dal settore, il numero delle scrofe negli allevamenti italiani è notevolmente diminuito; Alborali ha qualche perplessità in merito ad un ipotetico aumento: “Credo che oggi l’orientamento sia maggiormente indirizzato verso l’efficienza produttiva anziché ad un incremento numerico dei riproduttori – conclude –. Efficienza produttiva che nella biosicurezza e nel miglioramento gestionale e di management trova i suoi punti cardine. Senza questi pilastri sarà difficile, se non impossibile, riuscire a ridurre il consumo del farmaco in allevamento, che rappresenta uno degli obiettivi più importanti da raggiungere ed è strettamente legato alla rigorosa applicazione della biosicurezza e delle norme sul benessere animale”.
Leggi i dettagli della Giornata della suinicoltura
© AgroNotizie - riproduzione riservata
Fonte: Expo Consulting srl