Parola del professor Alessio Valentini, docente alla Facoltà di Agraria dell’Università di Viterbo e coordinatore del progetto Innovagen, dedicato alla “Ricerca e innovazione nelle attività di miglioramento genetico animale, mediante le tecniche di genetica molecolare per la competitività del sistema zootecnico nazionale”, finanziato dal ministero delle Politiche agricole.
“La selezione genomica – ha detto Valentini, a margine della due giorni organizzata all’Accademia dei Georgofili di Firenze - ha inciso profondamente sul miglioramento degli animali. C’è stato un cambiamento di passo, tanto che i progressi della genetica animale negli ultimi anni sono stati superiori rispetto agli avanzamenti registrati dalla genetica vegetale”.
Professor Valentini, quali sono i benefici della ricerca genetica per gli animali da reddito?
“I benefici sono dovuti soprattutto alla riduzione dell’intervallo di generazione. Questo significa che oggi, non appena un animale nasce, un allevatore può stimare il suo valore genetico e sapere se sarà un riproduttore o un animale da macello. Inoltre, la selezione genomica può aiutare anche in caso di caratteri cosiddetti difficili e abbassare l’ereditabilità. Il vantaggio ulteriore è che non abbiamo bisogno di moltissimi dati, come si faceva con la genetica classica”.
Quali sono i caratteri “difficili”?
“Parliamo, per fare un esempio, di aspetti molto importanti anche per la sostenibilità delle produzioni, come la resistenza alle malattie, la maggiore fertilità, la riduzione delle emissioni di metano, vale a dire caratteri molto moderni a cui prima non si riusciva nemmeno a pensare, mentre oggi con la selezione genomica sono affrontabili".
Quanto può incidere la ricerca genomica sulla redditività?
“È difficile dirlo, ma tutto sommato il progresso genetico, anche se lento, è una fonte di reddito incredibile, perché è un aspetto cumulativo. Cioè, una volta ottenuto il passo in avanti, non si torna indietro, ma è cumulativo. A differenza ad esempio dei progressi ottenuti con la nutrizione, che si mantengono finché viene somministrato un alimento particolarmente efficace per un effetto desiderato”.
Quindi si migliora sempre, generazione dopo generazione?
“È così: si migliora e il miglioramento permane, con il beneficio che si propaga nel futuro. Questo spiega perché molto spesso sono le nazioni che investono nel miglioramento genetico, perché i piani richiedono tempi lunghi, ma danno anche benefici per lungo termine. Tornando al reddito, diventa difficile stabilire il guadagno nel caso di riduzione delle emissioni di metano, dal momento che i ruminanti sono accusati di essere una delle maggiori cause del cambiamento climatico”.
È vero?
“No, in termini globali no, perché ci sono molte più emissioni di metano da parte delle risaie che da parte degli animali”.
La ricerca in Italia a che punto è?
“In questo settore va molto bene. Questi due progetti che il Mipaaf ci ha affidato, Selmol e Innovagen, hanno consentito di mantenerci al livello delle nazioni più progredite. E direi che anche nella ricerca vegetale, dove ci sono stati buoni finanziamenti, i risultati ci sono stati, come ad esempio nel sequenziamento del pomodoro, che è stato un grande risultato dei colleghi di Napoli, i quali hanno lavorato con mezzo mondo. Il Sistema Italia, insomma, non è così scassato come si pensa”.
Quali saranno le prossime frontiere?
“Le abbiamo già varcate e riguardano il sequenziamento completo dei genomi, perché consente di conoscere tutta la variabilità degli individui, di vedere tutte le possibili cause del fenotipo, con riferimento a quanto un animale produce, a come si riproduce, alla produzione di metano, a come resiste alle malattie. La sequenza del genoma rivela ogni informazione completa per ciascun individuo a un costo che, fino a 10 anni fa, era come mandare una navetta sulla luna, mentre adesso parliamo di tremila euro. L’obiettivo è portarlo a 100 euro”.
Che rapporto avete con il sistema dell’Associazione italiana allevatori?
“L’Aia fa parte di Innovagen, c’è proprio un’unità operativa dedicata ai rapporti con le associazioni per il trasferimento tecnologico. Questi organismi non fanno ricerca, perché non è il loro compito, però collaborano con i ricercatori. Inoltre, nel progetto Innovagen abbiamo una unità che si occupa di formazione dei tecnici e dei ricercatori giovani. Una sezione che traduce per i tecnici delle associazioni terminologie complicate come la genomica e porta ad una crescita culturale da parte dei tecnici delle associazioni. Solo così la ricerca si traduce in un impulso economico”.