Si avvicina l’appuntamento con lo European Holstein and Red Holstein Championship 2013, in programma a Friburgo (Svizzera) i prossimi 1 e 2 marzo.
Per gli allevatori di vacche bianconere è un evento molto atteso, sia per il prestigio che per la rappresentanza.
Ad oggi prenderanno parte al “confronto europeo” 18 delegazioni da tutta Europa, con 167 animali iscritti. L’Italia parteciperà con 20 capi, selezionati dall’Associazione nazionale degli allevatori di frisona italiana (Anafi).

Molto attesa la sezione dedicata ai giovani allevatori: 29 i partecipanti da 15 nazioni europee. A rappresentare i colori italiani saranno due giovani: Michele Mozzi (classe 1993, categoria Junior), e Davide Corsini (classe 1987, nei Senior). Sono entrambi di Parma, la sezione più rappresentativa dell’Agafi, l’Associazione dei giovani allevatori di razza frisona, il cui coordinatore nazionale è Matteo Zilocchi.

Zilocchi, 25 anni, sarà la guida di Agafi fino al prossimo dicembre. Mantovano di Pegognaga, Zilocchi vanta una solida tradizione allevatoriale alle spalle (il nonno Alberto è stato per dieci anni presidente dell’Associazione mantovana allevatori, una delle più prestigiose d’Italia, e il papà Corrado è il coordinatore degli ispettori di Anafi). L’azienda di famiglia produce latte per Parmigiano reggiano in due siti produttivi fra il Mantovano e il Reggiano.

A lui Agronotizie ha fatto alcune domande su Agafi e sul futuro dei giovani in allevamento.

Matteo Zilocchi, cosa significa essere coordinatore nazionale di Agafi?
“Significa essere innanzitutto il portavoce del movimento e dell’attività giovanile degli allevatori della frisona italiana. L’Agafi è nata nel 2005 perché si voleva dare una maggiore enfasi a quelle che erano le attività giovanili in campo fieristico. Successivamente si sono ampliate le funzioni, comprendendo poi all’interno dell’associazione un percorso di formazione per i giovani, andando a trattare specifiche materie che riguardano l’allevamento, la gestione zootecnica e sanitaria”.

Quanti sono gli aderenti?
“Poco più di 1.100, con una percentuale femminile che negli ultimi due anni è cresciuta, fino ad arrivare intorno al 15 per cento”.

Come si promuove, se esiste, una cultura dell’allevamento?
“Sì, esiste. E si promuove anche con manifestazioni nazionali o internazionali, favorendo gli scambi e visitando stalle modello in tutta Italia. Molte associazioni allevatori stanno organizzando dei pullman per andare a vedere sia il confronto europeo di Friburgo che aziende in Svizzera della zona, per promuovere realtà modello. Ci saranno anche molti giovani, come è avvenuto lo scorso ottobre a Cremona, in occasione del primo European Open Junior Show, al quale hanno partecipato ragazzi di 9 nazioni”.

A metà luglio del 2012 ci fu la convention nazionale di Agafi. Quale segno ha lasciato?
“Fu molto partecipata e fu occasione per fare il punto sulla genomica, una delle grandi sfide del futuro, ma anche per approfondire le attività e i servizi offerti da Anafi, che resta la nostra casa madre. Inoltre, i giovani toccarono con mano cosa significa essere una azienda multifunzionale”.

Cioè?
“Visitammo il caseificio Bertinelli di Parma, un’azienda modello che abbraccia l’intera filiera, dalla produzione di latte alla vendita diretta, senza dimenticare l’export e il segmento della ristorazione”.

La multifunzione sarà il futuro?
“Credo di sì, anche se non tutti potranno avere i numeri per affrontare direttamente trasformazione, export, vendita diretta e ristorazione. Ci vuole una forte propensione imprenditoriale, ma anche un periodo congiunturale più favorevole rispetto all’attuale, con meno stretta creditizia.
Per la multifunzione serve una pianificazione accurata e un respiro decennale. Inoltre, serve una realtà produttiva che assicuri una fornitura continua. Quindi solamente le realtà medio grandi possono affacciarsi alla multifunzione, mentre le realtà più piccole possono però organizzarsi per raggiungere un mercato locale”.


Quale deve essere il target minimo per affrontare processi multifunzionali?
“Parliamo di una produzione con almeno 300 vacche in lattazione e una produzione media annua di 35-40mila quintali di latte”.

L’Agafi al proprio interno ha una quota di giovani che non sono figli di allevatori. Che speranze ci sono che un giorno lo diventino?
“In effetti una minoranza degli iscritti all’associazione non proviene da famigli di allevatori. Però mi preme ricordare che a Cremona il vincitore dell’ultimo National Junior Show, gara parallela allo European Open Junior Show che ha avuto luogo durante la Fiera internazionale del bovino da latte, è stato Dikhram Singh.
Dikhram ha 25 anni, è un ragazzo di origine indiana, ma è cittadino canadese. Da qualche anno vive a Torino e i suoi genitori non sono allevatori. Studia Animal science ed è molto esperto di genetica. È amico di molti allevatori e il suo sogno, come racconta spesso, è quello di aprire un allevamento. Speriamo ci riesca presto, anche perché è molto appassionato e competente”.







 

Come è possibile sostenere ragazzi come Dikhram nel concretizzare il sogno di diventare allevatori e, più in generale, come crede si debbano sostenere i giovani agricoltori?
“Ci sono due modi, penso. Uno è legato alla famiglia di origine, quindi avere la fortuna di una famiglia che favorisce il passaggio di testimone, che rimane la condizione ottimale per insediarsi. Il secondo aspetto riguarda fattori esterni, per certi aspetti legati anche alla Pac”.

Cioè?
“La riforma proposta da Ciolos mette in evidenza l’attenzione dell’Ue verso i giovani. Tuttavia, anche se le risorse non sono poche, sono del tutto insufficienti per un nuovo insediamento. Perché un conto è dare sostegno al reddito, un altro conto è sostenere l’impresa. Solamente favorendo una nuova imprenditoria e nuovi progetti farebbero fare alla Pac un salto di qualità notevole verso i giovani”.

Quali potrebbero essere misure adeguate per sostenere l’imprenditoria giovanile in agricoltura?
“Si potrebbe favorire l’insediamento dei giovani con politiche di defiscalizzazione per i primi tre anni dall’inizio dell’attività. E valutare i singoli progetti, in modo che creino valore aggiunto all’indotto. E poi credo che sia fondamentale dare certezza sul ruolo effettivo dell’agricoltura, troppo spesso posta all’indice. Mentre della tutela dell’ambiente, della protezione delle biodiversità e del governo idraulico del territorio che sono attività degli agricoltori non si parla mai”.

La vendita dei terreni demaniali in Italia non è mai partita. Avrebbe potuto dare maggiori spazi ai giovani?
“Sì, potrebbe ancora adesso, ma solo se fosse data priorità a chi vuole fare davvero l’imprenditore agricolo. Se fossero venduti in asta generalizzata, il rischio è che se li accaparrino giovani con l’idea di dare altre destinazioni d’uso al terreno”.

Quali saranno le sfide dell’allevamento da latte nei prossimi anni?
“Una sfida da vincere è la genomica. Lo scorso 7 febbraio l’Anafi ha organizzato convegno internazionale con genetisti da tutto il mondo, al quale hanno partecipato anche alcune delegazioni di giovani. Ritengo che sia necessario portare un progresso genetico accompagnato da una migliore selezione dei riproduttori alla base e scremare i riproduttori destinati alle prove di progenie in modo da dare un più profondo contributo all’indice dei tori in uso.
Non solo. Sono fermamente convinto che gli allevamenti da latte debbano sempre più puntare sul benessere animale, perché costituirà un valore aggiunto non solo per la gestione della mandria, ma anche per la qualità dei nostri prodotti”.


Nel 2015 il mercato del latte sarà libero, senza più il vincolo delle quote. Cosa ne pensano i giovani allevatori di frisona?
“Noi come Agafi non abbiamo mai preso posizione a riguardo, perché non siamo un sindacato. Non spetta a noi dire se siamo per la liberalizzazione o per governare il mercato. A titolo personale ritengo che il sistema delle quote sia un elemento intrusivo per le aziende. Per l’Italia le quote sono nate con un peccato originale nel 1984, col ministro Pandolfi, che non comunicò esattamente qual era la produzione effettiva lattiera in Italia, così ancora oggi nel bilancio complessivo le quote hanno lasciato molti più strascichi di dubbi che certezze.
Il messaggio credo sia quello della legalità, soprattutto alla luce degli investimenti fatti dalla quasi totalità degli allevatori. Il principio della legalità e del rispetto delle regole non deve essere mai dimenticato”.


Come mai il figlio e il nipote di allevatori ha scelto di lavorare lontano dall’azienda di famiglia?
“Ho scelto di fare un’esperienza fuori dall’azienda non perché non abbia passione verso l’allevamento. Anzi, tutt’altro, visto che il fine settimana sono in stalla. Ma ho voluto fare un’esperienza nella Gdo e in una azienda leader come Esselunga perché mi interessava capire le dinamiche della gdo verso il consumatore finale. Qualunque direzione prenda la mia vita futura, l’esperienza che sto maturando mi sarà sempre utile.
E non escludo pertanto di rientrare in azienda, un domani.
Al momento di sicuro c’è che in dicembre 2013 non sarò più coordinatore Agafi. E questo sia per sopraggiunti limiti di età (dal momento che avrò 26 anni) e poi perché credo che uno dei requisiti per svolgere al meglio la propria funzione di rappresentanza sia essere di passaggio nei ruoli pubblici. Un incarico istituzionale come quello di coordinatore nazionale di Agafi deve essere vissuto con il medesimo approccio, cioè come un impegno verso gli altri e non con una prospettiva personale”.