Partiamo da lì, dall’accordo sul prezzo del latte in Lombardia, siglato fra allevatori e industrie del settore l’11 gennaio dopo tormentate trattative. Un accordo importante, che fa da guida per tutta Italia (in Lombardia si produce il 40% di tutto il latte italiano) e che stabilisce sino al prossimo giugno un prezzo di 33,156 centesimi al litro (più iva e premi di qualità). Molto secondo le industrie, poco, troppo poco, secondo gli allevatori. Prima di discutere dove sta la ragione (sempre che ce ne sia una…), facciamo un passo indietro per meglio comprendere come si sia arrivati a stabilire questo prezzo e perché sia stato così difficile raggiungere un compromesso che parrebbe non accontentare nessuno.

 

Il prezzo del latte

Bisogna risalire sino alla fine del 2007, periodo durante il quale il settore lattiero caseario ha visto le prime avvisaglie dei radicali cambiamenti che lo attendevano. Nei magazzini della Ue si erano azzerate le scorte di latte in polvere e quelle di burro erano ai minimi storici. Cresceva la “fame” di latte mentre le importazioni dalla Nuova Zelanda, tradizionale fornitore della Ue, subivano una contrazione. Un “mix” ideale per favorire la salita del prezzo del latte che dai 32,80 centesimi al litro del gennaio 2007 “schizzava” ai 38 di ottobre.

Dieci anni di  prezzo del latte  (sintesi da Clal)
Anno Euro q.le
2001 36,65
2002 35,13
2003 33,96
2004 33.83
2005 33,76
2006 32,07
2007 34,45
2008 39,48
2009 32,30
2010 33,16

Una corsa che non si fermava nemmeno l’anno successivo, il 2008, dove raggiungeva quota 42 centesimi per poi attestarsi sui 38,09 centesimi. Tutti contenti, ma ancora non si era ben compreso quali fossero le tensioni che si andavano agitando sul mercato internazionale del latte, prossimo ad essere fagocitato nel tormentato mare delle speculazioni finanziarie, al pari di altre commodities agricole, complice anche l’approssimarsi della crisi economica mondiale.

 

Lo scenario mondiale

Cambiava anche lo scenario produttivo, con la Nuova Zelanda che tornava ad essere protagonista nell’export verso la Ue, i magazzini comunitari che tornavano ad avere scorte di burro e latte in polvere. E i magazzini dei nostri “grandi” formaggi, Parmigiano Reggiano e Grana Padano, stracolmi di prodotto. Ancora una volta un “mix” ideale per rivoluzionare il mercato, ma verso il segno meno. E così è stato per tutto il 2009, con i prezzi del latte che già nel gennaio iniziavano a scendere a 36 centesimi al litro per continuare la discesa sino a 30 centesimi. Solo a fine 2009 qualche timido segnale di ripresa, sull’onda del quale gli allevatori sono riusciti a “strappare” l’accordo siglato a gennaio di quest’ anno. Che non accontenta, come detto, nessuno. Non piace alle industrie, che guardano al latte ungherese o della Repubblica Slovacca, che quota appena 21 centesimi al litro e vorrebbero tanto utilizzare solo quello. Con il quale, però, non si fa Grana Padano e nessuno degli altri formaggi Dop. E nemmeno latte di alta qualità. Al massimo un latte a lunga conservazione. Oppure uno dei tanti formaggini senza storia e senza sapore che affollano gli scaffali della distribuzione organizzata. E per quelli non c’è nemmeno bisogno del latte. Va bene anche una poco costosa cagliata, magari congelata e importata dall’altra parte del mondo, dove costa ancor meno. Tanto non c’è obbligo di indicare la provenienza in etichetta. Almeno per il momento.

 

Un mercato volatile

Intanto gli allevatori sono consapevoli che il prezzo del latte sui mercati internazionali è sempre più volatile, può salire e scendere per le motivazioni più disparate. Un clima troppo piovoso o siccitoso in Nuova Zelanda, un aumento dei consumi di formaggi nei paesi dell'Est, un sobbalzo del rapporto fra dollaro ed euro e sono solo alcuni esempi, possono creare una “tempesta” sul mercato mondiale del latte. Difficile prevederlo, impossibile governarlo. Se non mettendo al “sicuro” la produzione italiana di latte, quella destinata ai prodotti di qualità. Per farlo serve un'etichetta più trasparente, con l'indicazione dell'origine delle materie prime. L'Italia lo ha già proposto e si attende il responso di Bruxelles. Ancor prima gli allevatori si sono dati da fare e hanno inventato Italialleva, un marchio a garanzia della provenienza e qualità dei prodotti creato da Aia (Associazione italiana allevatori) per dare sicurezza ai consumatori.

Il prezzo del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano (euro/kg – sintesi da Clal)
  2008 2009 2010 (febbraio)
Parmigiano Reggiano 7,59 7,34 8,54
Grana Padano 6,64 6,33 6,71

Molto il lavoro fatto, basta ricordare gli accordi con il Consorzio latterie Virgilio, con il gruppo di vendita all'ingrosso Metro, per citare i più importanti. C'è poi “Itala” il marchio messo a punto da Unalat (unione delle associazioni dei produttori di latte) che ha finalità analoghe, contrassegnare il latte 100% italiano e di qualità. Entrambe iniziative lodevoli, ma che scontano il “peccato originale” della nostra agricoltura, sempre troppo divisa. Unalat e Aia potrebbero, anzi dovrebbero, lavorare in perfetta sintonia. Ciò non accade e il marchio Itala o quello Italialleva non “sfondano” sugli scaffali della grande distribuzione, se non in aree ristrette. E agli allevatori non resta che sperare in una risposta positiva da Bruxelles sul tema delle etichette trasparenti. Speranze che secondo molti andranno deluse.