Ecco, ci siamo. Prima o poi doveva accadere, specialmente in America.
Nel Paese delle Stelle, delle Strisce e degli avvocati, le class action sono eventi ad alta probabilità d’accadimento. Talvolta vi sono mille e una ragioni e in tal caso le vittorie in tribunale sono sacrosante, come quella che - per esempio - diede vita al film su Erin Brockovich o quella che vide Boiron al centro dei media a causa del suo preparato omeopatico Oscillococcinum.
Altre volte, invece, appaiono più che altro meri tentativi di spillare quattrini a chi, tanto, di miliardi in cassa ne ha parecchi. Aspetto, questo, che rischia per giunta di predisporre le giurie a simpatizzare più o meno inconsciamente per i querelanti, generalmente cittadini comuni toccati pure da ferali evenienze. I riferimenti a David contro Golia, in tali casi, si sprecano. Come se essere piccoli desse ragione a prescindere ed essere grossi desse torto, altrettanto a prescindere.
 
Al momento è ovviamente impossibile giudicare il raggruppamento in cui finirà la class action che sta oggi montando contro Monsanto  da parte di circa 700 cittadini - almeno per ora - i quali ritengono di essere stati danneggiati da glifosate. L'accusa mossa al noto diserbante è infatti quella di aver procurato tumori e conseguenti morti in un numero considerevole di persone. Le querelle che si stanno delineando all'orizzonte pare si basino in buona parte sull’annosa questione dell’inserimento di glifosate nella Lista 2A dello Iarc, ovvero quella dei probabili cancerogeni. Un evento sul quale si ebbe già a scrivere su AgroNotizie con l’articolo “Dossier contro”. Bene precisare a tal proposito che quanto riportato dalla Reuters non è del tutto esatto, dal momento che a inserire glifosate nella lista summenzionata non è stata l'Organizzazione mondiale della sanità come tale, bensì lo Iarc, la quale è solo una delle diverse organizzazioni facenti capo all'Oms stesso.
 
Oggi, in effetti, sulla class action in lievitazione negli Usa non vi è molto da commentare. Né dal punto di vista tossicologico, né - men che meno - sotto il profilo legale. Magari, dal punto di vista squisitamente umano si può solo sperare che in tribunale vincano i fatti e non le demagogie. Che trionfino le evidenze e non qualche correlazione farlocca, magari monca della doverosa componente di concausalità che la renderebbe degna di essere presa in considerazione. Da comuni cittadini non resta quindi altro che augurarsi giudizi equi e razionali, avulsi da pressioni emotive e strumentali che - ci si può giurare - sicuramente si moltiplicheranno sui media nei prossimi mesi.

Come giornalisti, invece, non resta che dare notizia dell’evento in sé, lasciando magari ai lettori il compito di scorrere le liste dello Iarc riportate in questo pdf, interrogandosi poi su quante cause si potrebbero intentare, per esempio, alle fabbriche di grappa (alcol) o alle friggitorie di patatine (acrylamide). O magari, perché no, autodenunciandosi per le emissioni di polveri sottili delle proprie stesse automobili.
Perché se davvero l'origine della class action americana fosse solo la lista dello Iarc, ci dovrebbe essere mezzo mondo che fa causa all'altro mezzo.

Addendum post-pubblicazione: immediatamente dopo la pubblicazione dell'articolo, è stato trovato un link alquanto interessante, ovvero quello che porta a una ricerca in cui glifosate e il suo metabolita Ampa pare abbiano rivelato un'azione inibitrice nella moltiplicazione delle cellule tumorali. Si ritiene perciò che la lettura di questa ricerca possa essere un ottimo input per qualsivoglia approfondimento del tema trattato.

Qingli Li et Al: "Glyphosate and AMPA inhibit cancer cell growth through inhibiting intracellular glycine synthesis". Drug Des Devel Ther. 2013; 7: 635–643.