Il periodo di ferie estive (sempre per chi le fa) in generale, e il mese di agosto in particolare, sono tradizionalmente destinati al recupero delle energie fisiche e mentali per poter meglio affrontare la ripresa delle attività (o sarebbe meglio dire “ostilità”?) a settembre.

Come lettura sotto l'ombrellone, invece del solito romanzo di Ken Follett o delle ultime avventure del divo di reality di turno, la nostra attenzione è stata catturata da una vecchia opinione dell'Efsa del 2009i sulla valutazione del rischio di eventuali tracce di uranio nelle derrate alimentari e in particolare nelle acque minerali, divenuta più che mai di attualità ai tempi di Fukushima.
Il documento analizza le implicazioni dell'esposizione della popolazione all'uranio attraverso la dieta, focalizzandosi tuttavia solamente sulle proprietà chimiche del celebre isotopo, mentre l'analisi del 'rischio radiologico' è stata lasciata al gruppo di esperti designati dall'Euratom, l'Agenzia europea creata nel 1958 con l'obiettivo iniziale di promuovere l'uso dell'energia nucleare per scopi pacificiii,iii, che sinora non ci risulta abbiano ancora prodotto documenti in tal senso. Anche le problematiche dell'uranio impoverito non fanno parte di questa analisi. Pur con queste limitazioni, questa opinione è indubbiamente interessante.

 

L'uranio è già in natura
L'uranio è un metallo radioattivo che si trova normalmente in natura. La tossicità dell'uranio (sempre escludendone l'aspetto radiologico) è direttamente collegata alla biodisponibilità (solubilità) e ha il rene come principale organo bersaglio.

End Point tossicologici
L'Organizzazione mondiale della sanità ha fissato un limite di tollerabilità (TDI) per l'uranio solubile di 0,6 µg/kg di peso corporeo/giorno, (per citare alcuni esempi di prodotti noti, l'ADI dell'aldicarb è 3 µg/kg peso corporeo/giorno, quella dell'azinfos metile 30).

Esposizione
Dall'analisi della bibliografia disponibile e da dati di analisi delle acque (in verità pochini) pervenuti dagli stati membri, gli esperti dell'Efsa hanno calcolato un'esposizione media di 0,05-0,09 µg/kg peso corporeo/giorno, con punte sino a 0,14 in alcuni casi.
Se fosse un principio attivo, e ipotizzando che il significato di TDI e di ADI sia equivalente, avremmo una 'saturazione TDI' da uranio che andrebbe dall'8,33 al 23,33% (per avere danni cronici dovrebbe essere superiore a 100). Questo come media.

Sono state prese in considerazione anche situazioni in cui la concentrazione dell'uranio nelle acque è superiore alla media. In questa simulazione di caso peggiore l'esposizione si è avvicinata notevolmente alla TDI, (0,4-0,58 µg/kg peso corporeo/giorno, considerando l'esposizione all'acqua e ai cibi, pari al 66-97% di saturazione), situazione che diventa particolarmente inquietante per i bambini, in quanto ipotizzando di usare acqua contenente uranio nella preparazione degli omogeneizzati l'esposizione per unità di peso corporeo si triplica, superando il livello di tollerabilità.

Infine, perché l'indagine pone l'accento sulle acque minerali? Perché il livello di uranio trovato (complice forse il campionamento) è superiore rispetto a quanto riscontrato nelle acque di rubinetto: in Francia, il paese dove le concentrazioni sono maggiori la media del rubinetto è di poco superiore a 3 µg/L, nelle acque minerali abbiamo 8,74. In Italia il dato sull'acqua di rubinetto non è disponibile ma nelle acque minerali la media è 0,72 µg/L.

Conclusione
Ovviamente la situazione delineata è molto rassicurante, tenuto conto che le stime effettuate sono molto conservative, anche se è incompleta. Il confronto con le valutazioni del rischio che si effettuano con gli agrofarmaci indica quanto sospettavamo, cioè che i criteri adottati nel nostro settore garantiscono un elevato livello di protezione della popolazione e che quindi sono un esempio per gli altri settori.

 

i“EFSA - Scientific Opinion of the CONTAM Panel: Uranium in Food.”

ii“Energy: The European Atomic Energy Community (EURATOM) - European commission.”

iii“Il trattato EURATOM (Pagina 1) | NuclearMeeting |.”