Il biochar e il chitosano sono due prodotti innovativi che stanno riscuotendo sempre maggior interesse nell'ambito della ricerca e sono sempre più utilizzati anche nella pratica agricola.

Il biochar è un prodotto ottenuto dalla carbonificazione delle biomasse in assenza o scarsità di ossigeno e si sta dimostrando un interessante ammendante del terreno, in grado anche di immagazzinare notevoli quantità di carbonio nel suolo, sottraendolo alla possibilità di finire in atmosfera come anidride carbonica e far aumentare l'effetto serra.

Il chitosano invece è un polimero naturale, solitamente ricavato dai gusci dei crostacei, che si sta dimostrando molto efficace per contrastare lo sviluppo di malattie soprattutto di origine fungina in particolare sui frutti, sia prima che dopo la raccolta.

Ma non solo. Tutti e due i prodotti mostrano effetti positivi sulle coltivazioni che vanno dal miglioramento dell'utilizzo dell'acqua, all'induzione di resistenza ai patogeni, all'aumento della crescita e della produttività.

Inoltre entrambi i prodotti possono derivare dal riutilizzo di sottoprodotti delle filiere agroforestali o alimentari, cosa che li fa entrare a pieno diritto in due concetti chiave di fortissima attualità: l'economia circolare e la sostenibilità ambientale ed economica.

E allora perché non usarli insieme? Questo si devono esser detti i ricercatori dell'Università di Pisa che, con il Gruppo di azione locale Gal Montagnappennino che opera sulle montagne tra Lucca e Pistoia, hanno avviato un progetto di ricerca, finanziato dal Psr, in cui tra le varie cose viene valutato l'uso di questi due prodotti sulla produzione di piccoli frutti. Tra l'altro usando del biochar prodotto in zona.

Allora per farci spiegare meglio questo lavoro abbiamo intervistato la dottoressa Susanna Pecchia del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agroambientali di Pisa che sta seguendo il progetto.

Dottoressa, in che consiste questo lavoro e come è nata l'idea di realizzarlo?
"L'aspetto innovativo di questa prova è l'utilizzo di questi due prodotti insieme, integrando l'agrotecnica di fragolicoltori dell'appennino Pistoiese. Pochi sono gli studi sull'utilizzo del biochar per ammendare dei suoli montani (siamo a 1300 metri sul livello del mare): ci troviamo in una zona particolarmente delicata, con terreni tendenzialmente sabbiosi caratterizzati da una scarsa capacità di ritenzione idrica e con pH subacidi, in cui alcuni elementi, come ad esempio il fosforo, sono poco biodisponibili.

Altro aspetto importante da considerare è il potenziale effetto fitoiatrico indiretto del biochar nei confronti dei patogeni. Dal canto suo il chitosano, polimero naturale biodegradabile, biocompatibile e multifunzionale, ha un'efficacia diretta nei confronti delle malattie delle piante, stimola le risposte difensive delle piante e produce un film protettivo edibile che riduce le perdite di acqua e migliora la shelf life dei prodotti in post-raccolta. L'utilizzo dei due prodotti sia singolarmente che in combinazione daranno quindi informazioni sulla loro efficacia e sulle sinergie che, eventualmente, si verranno a creare quando utilizzati insieme".


In particolare cosa state facendo?
"Già nel 2020, nonostante la grave situazione pandemica, siamo riusciti assieme alla dottoressa Piera Quattrocelli borsista di ricerca, a impiantare un nuovo fragoleto all'interno dell'azienda agraria Lorenzo Pieracci posta nel comune di Abetone – Cutigliano. Lorenzo Pieracci ha realizzato delle parcelle coltivate a fragola seguendo la sua pratica colturale ordinaria e le nostre indicazioni sull'uso di biochar e di chitosano. Sono state realizzate quattro condizioni diverse all'interno del fragoleto: un'area gestita senza trattamenti (controllo); un'altra il cui terreno era stato ammendato con biochar alla dose di 36 t/ha; un'altra ancora dove, invece, è stato applicato soltanto il chitosano alle piante (due trattamenti a distanza di dieci giorni) e l'ultima in cui i trattamenti con biochar e chitosano sono stati applicati insieme e con gli stessi criteri e dosi precedenti".

Susanna Pecchia e Piera Quattrocelli
La dottoressa Sussanna Pecchia, a sinistra, e la dottoressa Piera Quattrocelli, a destra impegnate nel porgetto PasBoFru

Cosa vi aspettate di vedere da questa prova sperimentale?
"Ci aspettiamo un incremento della qualità delle produzioni e una maggiore ecosostenibilità della coltura. Da parte del biochar, prevediamo un incremento della qualità del suolo e una riduzione dell'utilizzo di prodotti per la fertilizzazione e per la difesa delle colture; da parte del chitosano, una maggiore resistenza delle piante ai patogeni (in pre e post-raccolta) e un incremento della shelf life dei frutti. L'utilizzo dei due prodotti può generare delle risposte sinergiche a queste problematiche, aumentando così la qualità dei frutti e la redditività della coltura. Già nel primo anno di attività abbiamo ottenuto risultati interessanti che dovranno essere confermati dalle esperienze che condurremo quest'anno".

Questo lavoro si inserisce in un progetto più ampio, di cosa si tratta?
"La prova descritta sul fragoleto fa parte di una serie di indagini nell'ambito del progetto del gruppo animazione locale Gal Montagnappenino denominato 'PasBoFru - recupero dei pascoli, gestione sostenibile dei boschi e valorizzazione della frutticoltura di montagna' finanziato dal Psr Regione Toscana, misura 16.2. Il progetto è coordinato del professore Roberto Cardelli e nasce per la valorizzazione del biochar ottenuto dall'azienda capofila "Camporgiano Srl" all'interno di un complesso di relazioni tra aziende di settori diversi (forestale, zootecnico e frutticolo) nell'incrementare la qualità dei loro prodotti, diminuendo l'impatto sull'ambiente, la salvaguardia della biodiversità e l'economia circolare di un territorio particolare come quello della Garfagnana e della Montagna Pistoiese.

Nell'ambito del progetto, per la valorizzazione della frutticoltura di montagna su fragola e lampone, è stato inserito l'uso del chitosano sia in pre che in post-raccolta in quanto le aziende sono alla ricerca di mezzi e metodi che possano ridurre le avversità biotiche e abiotiche e i costi produttivi, incrementando qualitativamente e quantitativamente i propri prodotti".