Si è svolto il 22 luglio scorso a Faenza, nella sala convegni Zanelli del Centro fieristico, l'incontro tecnico sulla batteriosi dell'actinidia. Un'occasione per fare il punto sugli aggiornamenti relativi alla problematica che sta interessando sempre più la coltivazione del kiwi. All'incontro sono intervenuti, tra gli altri, il professor Marco Scortichini, Cra - Centro di ricerca per la frutticoltura di Roma, e Tiziano Galassi, .

La fitopatia - da quanto emerso nel corso dell'incontro - è in rapida diffusione, con un passaggio dalle iniziali manifestazioni su kiwi a polpa gialla (Jin Tao, Hort/16A e Soreli) alle varietà a polpa verde (Hayward in primis), apparse in una prima fase meno suscettibili all'attacco del batterio.

Affrontare il problema a livello di singole aree, per contenere il diffondersi della malattia dall'elevato potere infettivo e che presenta ed il numero notevole di fonti d'inoculo, ma che non provoca danni all'uomo. Questo il messaggio arrivato dagli esperti presenti all'inontro, che hanno sottolineato come i frutti provenienti dalle aree di coltivazione soggette all'infezione sono commestibili e mantengono intatte tutte le loro proprietà nutrizionali.

Le produzioni in Italia e nel mondo
Per quanto riguarda i dati relativi alla situazione produttiva e d'investimento (Dati Cso 2009), l'Italia è il principale produttore di kiwi dell'emisfero settentrionale, rappresentando l'80% del totale (Cina esclusa). Considerando tutti i produttori dell'emisfero Nord, la quantità prodotta e commercializzata per l'annata 2009/2010 è di 654.900 tonnellate (-1% rispetto all'annata 2008/2009).
Per quanto riguarda l'Italia, la produzione prevista per l'annata 2009/2010 è stimata in 483.700 tonnellate (-7% rispetto all'annata 2008/2009) con volumi commercializzati pari a 436.200 tonnellate (-8% rispetto all'annata 2008/2009). Per quanto riguarda invece le superfici coltivate, sono previste in aumento per tutte le principali regioni produttrici italiane: a livello nazionale, l'areale dovrebbe arrivare a 22.800 ettari.
Gli altri Paesi produttori dell'emisfero Nord presentano volumi prodotti e commercializzati (2009/2010) pari a: Grecia 90.000 tonnellate (+20%), Francia 68.000 tonnellate (+15%), California 18.000 tonnellate (0%), Corea 16.000 tonnellate (+7%), Portogallo 14.000 tonnellate (+27%), Spagna 12.700 tonnellate (+43%). (Le percentuali tra parentesi rappresentano la differenza rispetto all'annata 2008/2009)

Il Cancro batterico dell'actinidia
Tale patologia è originata dallo Pseudomonas syringae pv. Actinidae (PSA), che si è manifestata per la prima volta negli anni '80 in Giappone. Nel 1994 è avvenuta la prima segnalazione in Italia (Scortichini, 1994) per poi ripresentarsi nel giugno del 2008 in diversi impianti della provincia di Latina.
L’esplosione è avuta a febbraio 2009, in concomitanza con le basse temperature, che sembrano rappresentare un elemento importante nella manifestazione sintomatologia.
Stando alle analisi molecolari effettuate in laboratorio, risulta che il ceppo batterico responsabile per i nuovi scoppi epidemici del 2009-2010 a Latina e Roma (nonché rintracciato anche nel ravennate e, ad aprile 2010, in provincia di Treviso) è di tipo diverso da quello della batteriosi del 1994.

Actnidia, sintomi del cancro batterico
(Fonte: Cra - Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura - Professor Mario Scortichini)

Inoltre, nell'epidemia recente, tutti i ceppi isolati da specie e cultivars diverse di actinidia, anche coltivate in aree geografiche lontane tra loro (Latina-Roma e Ravenna), sono risultati molto simili tra di loro, cosa che farebbe propendere per una probabile origine unica dell'epidemia.
Il patogeno coinvolto nella batteriosi dell'actinidia (o cancro batterico del kiwi) è lo Pseudomonas Syringae pv. actinidiae, da non confondersi con lo Pseudomonas Syringae pv. syringae, il quale, pur provocando sintomi molto simili a quelli degli stadi iniziali della batteriosi, è assai meno virulento e aggressivo.

Il PSA si configura come un patogeno specifico, in quanto colpisce solo ed esclusivamente il kiwi. Al momento non esistono cultivars resistenti all'attacco di questo batterio, il quale colpisce la pianta dall'esterno e dall'interno. Il batterio appare favorito da condizioni di umidità e di basse temperature(risulta attivo anche a zero gradi); le piante colpite possono rimanere asintomatiche per tutto l'inverno e cominciare a manifestare i sintomi della malattia (il cui decorso è piuttosto rapido) solo alla ripresa vegetativa.

Cause che predispongono all'infezione
In linea generale, il patogeno attacca la pianta laddove essa presenti ferite e/o aperture. Sono pertanto moltissime le cause che possono predisporre una pianta all'infezione: dal gelo che spacca i tronchi, alla grandine, alle azioni di potatura, allo sfregamento contro recinzioni, tubi o elementi di sostegno/legatura, fino alla fisiologia stessa della pianta.
Nelle varietà di kiwi giallo, per esempio, il tronco e i rami sono naturalmente dotati di numerose porosità (lenticelle) che costituiscono altrettante porte e finestre per l'accesso del patogeno.
Anche la raccolta dei frutti, con il distacco degli stessi dai peduncoli, i quali poi rimangono sul ramo, costituisce uno dei momenti a rischio di esposizione all'attacco del patogeno, in quanto ogni singolo peduncolo costituisce un'apertura utilizzabile dal batterio per introdursi nella pianta.

La diffusione del batterio, una volta insediatosi, è estremamente subdola: basta infatti una raffica di vento per disseminare migliaia di patogeni a distanze anche di diversi chilometri.
I sintomi tipici della batteriosi sono osservabili sulle foglie (maculature idroponiche), sui boccioli e sui fiori (imbrunimenti giallo-marrone), rami e tronchi (formazione di cancri e fuoriuscita di essudato che può essere color ruggine su A. chinensis e di colore bianco opaco per A. deliciosa). Il decorso della malattia è molto rapido e in poco tempo la pianta può essere portata alla morte.

Che cosa bisogna fare?
Ai primi accenni d’infezione in una pianta, tagliarla o eradicarl. Una volta fatto questo è necessario allontanare il materiale immediatamente dall'area produttiva, isolarlo e far intervenire il servizio fitosanitario.
Prima dell'arrivo del Servizio è buona norma cercare di fare in modo che tale materiale non rappresenti una reale fonte d'inoculo e l'utilizzo di calce spenta sul materiale stesso o nella zona di isolamento è buona prassi.

Il Cra di di Roma sta al momento sperimentando diverse strategie di trattamento preventivo e curativo, per individuare quali procedure agronomiche risultino più efficaci nel contrasto alla fitopatia.

Batteriosi dell'actinidia
(Fonte: Cra - Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura - Professor Mario Scortichini)

Le misure necessarie
I ricercatori hanno anche individuato tutta una serie di misure assolutamente necessarie sia nel caso d’impianti già colpiti dalla batteriosi, sia in quelli ancora indenni ma a rischio contagio.
1) Misure necessarie in situazioni di emergenza, su impianti già colpiti
E' necessario la riduzione dell'inoculo batterico (fine inverno) attraverso taglio e distruzione di rami infetti, taglio delle piante gravemente colpite e disinfezione con rame dei tagli grossi.
2) Misure necessarie per impianti con o senza malattia
Contenimento della malattia (fine inverno-inizio primavera) con trattamenti con prodotti antibatterici e disinfezione con rame. Nel periodo estivo è necessario ridurre i trattamenti mantenendo però un monitoraggio che permetta di trattare nel momento in cui si verifichino eventi meteorici avversi.
3) Misure necessarie per impianti in aree a rischio, con o senza malattia
contenimento della malattia (fine primavera-inizio estate) con trattamento ai giovani rami e dell'apparato fogliare con prodotti come Chitoplant e Bioprotek ogni 20-20 giorni. I trattamenti devono essere fatti prima di eventi meteorici avversi.

La ricerca
In funzione di questo viene individuata una strategia di difesa in due distinti periodi: dalla ripresa vegetativa alla raccolta (A) e da poco la raccolta a fine inverno (B)".
"Nel periodo A - spiega il professor Marco Scortichini - non sono stati utilizzati prodotti rameici anche se in vitro hanno mostrato attività battericida. La motivazione è collegata alla necessità di rispettare i limiti massimi ammessi dalla vigente legge per quanto riguarda il contenuto di tale metallo nel frutto (5 ppm) ed il suo accumulo nel terreno (6 Kg/Ha).
Inoltre molti composti rameici inducono, soprattutto sul kiwi giallo, fenomeni di fitotossicità e riduzione della pezzatura dei frutti. Conseguentemente, in questo periodo la scelta è ricaduta su prodotti come un prodotto a base della chitina ed un prodotto a base di perossido di idrogeno (che hanno manifestato elevato potere battericida in vitro e che si chiama Boiprotek AHC fertilizzante con Azoto ureico + anidride fosforica). Nel periodo B sono invece stati presi in considerazione prodotti a base di rame e composti a base di chitina".

"Lo scopo nel primo periodo è quello di ridurre al minimo l'inoculo batterico sulle foglie, sui rami e lungo il tronco e cordoni. Nel secondo periodo lo scopo è di proteggere il kiwi dalla penetrazione del batterio attraverso le aperture anatomiche e le ferite indotte da eventi naturali o dalle pratiche agronomiche".

La prova in campo

"Le prime prove - precisa Scortichini - hanno riguardato un'azienda coltivata a kiwi giallo colpita completamente dal batterio".
Per ridurre drasticamente l'inoculo le piante sono state capitozzate e riallevate. Sono quindi stati effettuati trattamenti da fine marzo a fine giugno (ogni 30 giorni) con il battericida a base di chitina (50-100 g/hL).
In piena estate (da metà luglio a fine agosto) i trattamenti sono stati sospesi. In settembre è stato poi effettuato un trattamento protettivo al tronco e ai cordoni con il battericida a base di chitina (100g/hL). Dopo la raccolta sono stati eseguiti trattamenti con poltiglia bordolese (1,2 kg/ha). Durante l'inverno sono stati poi continuati trattamenti con poltiglia bordolese (1,2 kg/ha) alternati con trattamento a base di chitina (150 g/hL).

A seguito di questo trattamento, le piante tester manifestavano tutti i sintomi mentre sulle 1.600 piante dell'impianto solo 20 hanno rimanifestato i sintomi. Questi risultati sono sicuramente incoraggianti anche se sono da ritenersi preliminari ed ancora da valutare appieno.

Il Bioprotek AHC
All’interno del percorso di sperimentazione per individuare un valido prodotto contro la batteriosi dell’actinidia è stato testato preliminariamente (ha bisogno ancora di verifiche) anche il Bioprotek AHC. Si tratta di un fertilizzante prodotto e confezionato da Essepì Srl e distribuito in esclusiva in Italia da Ri.Va. Srl di Daniele Dall’Agata.
Il prodotto consiste in una miscela di concimi di sintesi e acidi organici a base oleosa. Impiegato in agricoltura integrata su tutte le colture (arboree, erbacee e floricole), si rivela fonte di efficiente di Azoto e Fosforo. Viene assorbito e immesso molto rapidamente nel circolo linfatico e, grazie alla sua matrice polivalente, garantisce uno sviluppo sano ed armonico della vegetazione. Le dosi d’impiego sono di 250 gr/hl con 10 hl/Ha.

Scetticismo da parte degli agricoltori
Scetticismo è stato espresso, a conclusione del'incontro, da parte di alcuni agricoltori presenti in sala.
Il rischio – ha rilevato un agricoltore - è quello di vedere quanto è successo nelle precedenti situazioni in cui tutto ricade su di noi e le istituzioni continuano a rimpallarsi la patata bollente senza intervenire veramente con azioni dirette e con aiuti finanziari.
Un altro agricoltore chiedeva se non fosse necessario fare come è successo per la sharka di creare una lotta obbligatoria su tutto il territorio nazionale allo scopo di impedire speculazioni e azioni illegali e deleterie.

Ferilizzanti vs agrofarmaci
Attualmente gli unici principi attivi autorizzati all’utilizzo su actinidia contro la batteriosi sono il rame da idrossido, rame da ossicloruro, rame da solfato neutralizzato e rame da solfato tribasico.
Il problema che il rame dà citotossicità, inoltre - per legge - ne è consentito un accumulo nel terreno di 6 Kg/ha e un accumulo sui frutti di 5 ppm.
Per cercare di ovviare a questo problema si stanno testando strade e prodotti alternative.
“Attualmente – spiega Tiziano Galassi, Servizio fitosanitario dell'Emilia Romagna - sono stati inseriti in commercio alcuni fertilizzanti che 'dicesi' essere efficaci per combattere o ridurre la batteriosi. Secondo la legge italiana e comunitaria, per poter essere utilizzato come fitosanitario, un prodotto deve superare controlli e ottenere autorizzazioni. Ciò significa, in sostanza, che un fertilizzante deve rimanere un fertilizzante. E che dobbiamo attenerci alla normativa”.