Negli anni passati, i fondi di investimento ci avevano abituati ad operazioni quasi esclusivamente nel settore vitivinicolo, oppure in aziende agricole con superfici molto elevate. Negli ultimi anni, invece, si sono moltiplicate operazioni meno consistenti, ma in nuovi ambiti, soprattutto in frutticoltura. In generale, è cresciuto l'interesse dei fondi di private equity verso il settore dell'agricoltura, un tempo considerato poco interessante a causa degli bassi ritorni sugli investimenti che era in grado di generare.
Durante Macfrut 2024, evento chiave per il comparto dell'ortofrutta, Areté, The Agri-Food Intelligence Company, ha organizzato un evento proprio per fotografare il ruolo che gli investitori finanziari stanno giocando nell'innovare e nel far crescere le aziende agricole italiane. Ad inquadrare la situazione è stato Cristian Moretti, direttore generale di Agrintesa, una cooperativa che riunisce oltre 4mila aziende agricole ed è attiva nel mondo dell'ortofrutta e del vino.
Frutticoltura, un settore in affanno
Oggi il settore frutticolo dell'Emilia Romagna, ma in generale dell'Italia, sta attraversando un periodo complicato. Le superfici coltivate si restringono a causa di una redditività in contrazione, provocata dalle crescenti difficoltà di coltivazione causate dai cambiamenti climatici. Ad aggravare la situazione ci pensano i nuovi patogeni, le mutevoli richieste di mercato e la concorrenza, interna ed esterna all'Unione Europea.
Come spiegato bene da Moretti, i gusti dei consumatori stanno cambiando, si nota l'ascesa di prodotti come i mirtilli, l'avocado, l'uva senza semi e i kiwi gialli, mentre altre produzioni tipiche italiane, come la mela o la pera, sono ferme e subiscono la concorrenza estera. In una regione come l'Emilia Romagna, prima produttrice di pesche e nettarine, le varietà più diffuse non tengono il passo e avrebbero bisogno di una svecchiata e di un nuovo approccio alla coltivazione, con una maggiore aggregazione delle superfici. Ma spesso mancano gli investimenti e la volontà di innovare.
Se da un lato la frutticoltura tradizionale inizia a scricchiolare, è interessante notare come i fondi di investimento stiano proprio puntando su questo settore. Il primo ad aver intuito questa opportunità è IDeA Agro, un fondo di DeA Capital, società di gestione del risparmio. Come raccontato da Pier Luigi Rossi, Managing director di IDeA Agro, il fondo ha investito dal 2018 circa 90 milioni di euro in dieci progetti. Si va dalla produzione di noci a quella di nocciole, dai frutteti di kiwi giallo all'avocado, passando per l'uva da tavola e il miele.
Come ben sintetizzato da Rossi, l'entrata di un fondo all'interno dell'azienda agricola non deve essere vista come una semplice iniezione di capitale, paragonabile ad un prestito bancario, quanto ad una partnership a tempo con un socio (di maggioranza) a tutti gli effetti.
Un momento della tavola rotonda a Macfrut 2024
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
Oltre a capitali freschi, infatti, i fondi apportano knowhow, un approccio strategico alla gestione d'azienda, idee innovative e una rete di relazioni utile ad espandere il business. L'obiettivo è quello di aumentare il margine operativo delle imprese, rispettando l'esperienza e il saper fare dell'agricoltore, il cui ruolo resta fondamentale. Insomma, gli sforzi sono volti a produrre redditività e la formula sembra funzionare, tanto che IDeA Agro sta oggi lavorando ad un nuovo fondo da 200 milioni.
Un concetto questo sottolineato anche da Gianni Galasso, senior partner di EOS IM Group, un altro fondo che negli ultimi anni ha fatto diversi investimenti nel settore agroalimentare. Secondo Galasso, l'ingresso di un fondo è come un matrimonio a termine tra l'agricoltore e l'investitore, che potrebbe benissimo essere suggellato con un accordo prematrimoniale in cui entrambe le parti mettono nero su bianco che cosa si aspettano di ricevere l'uno dall'altro. E dopo qualche anno di matrimonio, quando l'azienda agricola è efficiente e produce reddito, il fondo consolida l'operazione vendendo la sua quota per poi passare all'investimento successivo.
Va da sé che questi investimenti sono diversi da quelli a cui sono abituati altri player, come i venture capital, che hanno periodi di investimento molto più limitati, livelli di rischio estremamente alti e l'obiettivo di concretizzare nel breve periodo exit con leve elevate. Ma l'agricoltura, come ci dicono gli ultimi report, è un settore che mal si coniuga con un approccio in stile Silicon Valley, poiché ha bisogno di tempi lunghi e di investimenti corposi.
Un'altra voce interessante alla tavola rotonda è stata quella di Jingold, azienda nota per i suoi kiwi a polpa gialla. Insieme ad IDeA Agro, l'azienda ha avviato una produzione di avocado di 100 ettari in Sicilia, insieme anche ad un partner locale. Come raccontato da Alessandro Fornari, amministratore delegato di Jingold Spa, l'idea è arrivata facendo due considerazioni: da un lato il fatto che il consumo di avocado in Italia, come nel resto del mondo, è in ascesa. In secondo luogo, che le condizioni climatiche in Sicilia rendono oggi questa coltivazione possibile, anche se non facile. Da qui l'idea di lanciare la produzione, lavorando con aziende agricole locali già attive nella produzione di kiwi gialli, coltura spostata dal Centro Italia sull'isola a causa dei problemi legati alla batteriosi (Psa).
Fornari, che ha un'ampia esperienza nel settore della frutticoltura a livello internazionale, ha voluto anche sottolineare le differenze tra l'approccio italiano alla produzione rispetto a quello adottato in altri Paesi, come ad esempio in Sudamerica. In questi casi l'imprenditore agricolo è molto più orientato al mercato e dinamico. Quando una varietà smette di essere redditizia velocemente estirpa le piante per cambiare produzione, facendo anche investimenti importanti. È il caso ad esempio del Cile, che oggi vede come primo mercato di esportazioni delle sue ciliegie la Cina.
A completare la tavola rotonda un player molto particolare, Crédit Agricole. Una banca tradizionale che tuttavia è fortemente focalizzata sul settore agricolo, poiché affonda le sue radici proprio nell'agricoltura francese. Una banca cooperativa che punta molto sui temi della sostenibilità e dell'innovazione, avendo creato una serie di incubatori (chiamati Le Village) per accelerare startup in diversi settori, compreso quello agroalimentare. Una banca che ha da poco deciso di creare anche un fondo d'investimento per entrare direttamente nel capitale di aziende lungo la filiera agroalimentare. Un fondo da 300 milioni, operante sia in Francia che in Italia, che farà investimenti mirati per aumentare la competitività e la sostenibilità delle imprese.
Quello della sostenibilità è un tema ricorrente e i principi ESG sono oggi fondamentali sia nelle valutazioni del merito creditizio tradizionale, sia nei progetti innovativi su cui investono i fondi. Come sottolineato da Davide Piatti, Banquier conseil Crédit Agricole - Area Agrifood, la creazione di valore attraverso una maggiore sostenibilità delle produzioni, sia a livello sociale che ambientale, è infatti considerata una priorità, che permette anche alle imprese di essere più competitive.
Impianti di irrigazione intelligenti per risparmiare acqua, attrezzature per una gestione di precisione degli input agronomici, attrezzature elettriche, sensori e dati per ottimizzare le produzioni sono un investimento in grado di creare valore e al contempo aumentare la sostenibilità.