Il settore del vino non conosce crisi. Anche nell'anno buio del covid-19 ha sofferto meno rispetto ad altri comparti. È forse questa una delle ragioni che ha spinto diversi investitori istituzionali, come fondi e banche (ma anche famiglie facoltose), a rilevare non poche cantine, soprattutto a guida familiare.


Qualche esempio? L'aggregazione promossa da Clessidra tra Botter e Mondodelvino. Il Gruppo francese Epi, della famiglia Descours, che ha acquisito la Cantina Biondi Santi. Il Gruppo Luciana Mosconi (quello della pasta) che nel 2021 ha comprato il 75% della Cantina La Monacesca di Matelica, nelle Marche.

 

"Il settore del vino italiano attira gli investitori per diverse ragioni. Prima di tutto è un comparto stabile, capace di generare interessanti ritorni sull'investimento. Inoltre è ancora a buon mercato, con aziende dal grande potenziale sul mercato a prezzi ragionevoli. Infine ci sono molte cantine di medie grandi dimensioni che hanno marchi riconosciuti, produzioni elevate e una forte propensione all'internazionalizzazione", racconta Lorenzo Tersi, fondatore e amministratore delegato di LT&Partners e LT Wine&Food Advisory, Società attraverso le quali offre consulenza ad investitori ed aziende proprio sul mondo degli investimenti nel settore vino, e che ultimamente ha curato come global advisor l'acquisizione della storica Cantina Zaccagnini da parte del neonato polo Argea.


Partiamo dall'inizio, qual è il profilo dell'investitore che acquista una cantina?
"Sono di solito investitori istituzionali, ma anche aziende nonché famiglie facoltose. L'obiettivo è quello di completare il bouquet di portafoglio, investendo in un settore in grado di generare profitti e in cui l'Italia ha una posizione ben riconosciuta a livello mondiale e un forte knowhow".

 

Gli investitori sono tipicamente italiani oppure anche stranieri?
"Molti sono italiani, tanti altri sono invece stranieri, ad esempio francesi o statunitensi. Alcuni esempi sono l'americana Platinum Equity, che ha investito in Farnese Vini, oppure la francese Epi, che ha acquisito Biondi Santi per 100 milioni di euro. Per loro le aziende italiane sono particolarmente interessanti".


Come mai?
"Perché l'Italia ha un enorme potenziale ancora inespresso. Sappiamo fare un ottimo vino, abbiamo brand che hanno posizioni di mercato interessanti, in Italia e all'estero, ma spesso le cantine mancano di managerialità e non riescono a valorizzare i loro prodotti adeguatamente".


Gli investitori guardano quindi al potenziale inespresso?
"Spesso . Il margine di miglioramento è molto elevato. Ci sono cantine, ad esempio, che hanno bisogno di liquidità per espandere il proprio business. Altre che, invece, hanno bisogno di manager in grado di creare strategie efficaci. Ogni cantina ha una storia a sé, ma tutti gli investitori guardano al potenziale ritorno sull'investimento".


Storiche famiglie del vino italiano devono dunque cedere il passo a manager paracadutati dai fondi?
"Come ho detto ogni azienda ha una storia a sé. Red Circle è entrato in Masi Agricola con un 10% e ha diritto di rappresentanza nel Cda. Il fondo White Bridge, invece, ha acquisito la Cantina Ulisse e ha inserito il proprio management, che affianca la famiglia. D'altronde il mondo del vino ha delle regole a cui occorre obbedire e questo i fondi lo sanno bene".


A quali regole si riferisce?
"Il mondo del vino è molto simile a quello della moda. Ci sono famiglie che hanno un knowhow e una reputazione che non possono e non devono essere rimpiazzati. Anzi, è interesse di tutti che vengano preservati e accresciuti".

 

Mi sembra che il punto centrale sia proprio questo. Molte cantine italiane hanno una storia e un nome che di per sé hanno un valore elevato perché incarnano i principi della qualità del made in Italy, della genuinità, della storia e della cultura locali. È così? 
"Il mondo delle startup del vino è finito prima della pandemia. Oggi è chiaro a tutti che non ci si può improvvisare vignaioli. Il mercato cerca aziende strutturate con un brand forte e vocate all'export".

 

Come vede il settore del vino tra dieci anni?
"In sintesi: si berrà sempre meno ma sempre meglio. I consumatori oggi tendono ad acquistare meno vino, ma a prediligere bottiglie di più alta qualità, con un maggiore valore aggiunto. A questo si deve sommare il crescente apprezzamento delle nostre etichette all'estero, trainato anche dal boom che sta vivendo il turismo. Sono in aumento poi quelle aziende che si stanno strutturando e vanno alla conquista di mercati esteri. Sono tutti elementi che rendono il settore attrattivo per gli investitori, anche perché, come detto, i prezzi delle nostre aziende sono ancora bassi".


Bassi rispetto ai rinomati château francesi?
"La Francia è stata maestra nel valorizzare la propria produzione e questo si vede sui margini di ricavo delle loro bottiglie. Noi siamo sulla strada giusta, ma c'è ancora tanto da fare in termini di percezione del valore da parte del consumatore. Se si escludono alcune aree di eccellenza, come le Langhe, Bolgheri o la Franciacorta, per il resto il vino italiano ha un posizionamento che deve sicuramente migliorare".


Fino ad ora abbiamo parlato di cantine private, che cosa sta accadendo invece al mondo della cooperazione?
"Le cooperative rappresentano uno dei pilastri di questo settore e anche qui troviamo delle realtà eccellenti. La grande sfida che hanno davanti è quella di riuscire a remunerare sufficientemente bene le uve dei soci, che oggi si trovano ad affrontare costi di produzione in crescita. E per farlo anche loro devono posizionare meglio le proprie bottiglie".


Si riferisce ai costi degli input produttivi?
"Da una parte sicuramente c'è stato un aumento vertiginoso di tutti i fattori produttivi, ma l'altro grande problema è la manodopera. Oggi è sempre più difficile e sempre più costoso trovare operatori specializzati e nel futuro la situazione non potrà che peggiorare. Serve che l'intero comparto lavori per raccontare alle nuove generazioni la bellezza e la grande opportunità di lavorare in viticoltura".

 

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A proposito di giovani, molte cantine oggi si trovano davanti il momento del passaggio generazionale, che spesso è traumatico. Questo avvantaggia gli investitori?
"Da questo punto di vista c'è poca lungimiranza nelle famiglie. Sono poche quelle che ad esempio si attrezzano con un trust e che prevedono l'ingresso di investitori in grado di apportare capitali freschi e managerialità".


Cantine e fondi italiani dovrebbero andare all'estero per acquisire altre realtà?
"Può essere una strategia interessante e credo che qualche azienda italiana prima o poi rileverà qualche château francese per completare il suo portafoglio. Un altro mercato interessante, secondo me, è quello americano e sicuramente avere un'azienda nella Napa Valley permetterebbe di presidiare un mercato fondamentale. Se invece dovessi guardare sul lungo periodo credo che guarderei ad un Paese come la Nuova Zelanda, cercando di replicare l'esperienza di successo di Cloudy Bay".