Una decina di anni fa è scoppiata la moda del goji, la superbacca proveniente dalla Cina (di origine mongola, in verità) nota per contenere livelli elevatissimi di antiossidanti. Food influencer e star del cinema ne facevano un uso quotidiano e piano piano questi frutti sono entrati nella dieta di molti italiani.
Sulla scia di questo interesse sono state molte le aziende agricole che hanno deciso di lanciarsi nel business delle bacche rosse, cercando di diversificare le proprie attività agricole, affiancando quindi a colture tradizionali il goji. L'obiettivo era quello di fare concorrenza al prodotto essiccato proveniente dalla Cina con bacche fresche prodotte in Italia. Fresco e genuino contro l'essiccato cinese, insomma.
A distanza di anni la bolla si è sgonfiata e il goji non è più al centro dell'interesse di chef gourmet e social influencer. Tuttavia rimane uno zoccolo duro di consumatori e il mercato si è stabilizzato, giovandosi anche di una diversificazione dei prodotti offerti.
Ma coltivare goji è ancora una opportunità interessante? Abbiamo parlato con diverse aziende agricole che negli anni hanno inserito con successo questa coltura all'interno delle proprie attività. Dal confronto sono emersi quattro consigli per nuovi agricoltori che intendono lanciarsi in questo business.
Uno: controllare il mercato
L'elemento chiave per avere successo nella coltivazione del goji non è avere un prodotto buono e genuino (questa è la base), occorre invece controllare il mercato. Essere cioè in grado di arrivare al consumatore finale. Passare da grossisti, intermediari o anche solo dai buyer della Gdo è un elemento di criticità che può far naufragare il business.
Produrre 1 chilogrammo di goji fresco ha un costo di circa 40 euro, determinato in larga misura dalla raccolta, che deve essere effettuata a mano. In media ci vogliono 1,5 ore a chilogrammo di bacche raccolte, di cui solo una parte può essere avviata al fresco, circa il 60-70%. Con un prezzo di mercato di 50-60 euro al chilogrammo i margini per l'agricoltore ci sono, ma solo se la vendita viene fatta direttamente.
Questo significa puntare ad esempio sulla comunicazione online, creando un sito di ecommerce supportato da canali social pensati per promuovere il prodotto. Si tratta di un lavoro duro e lungo, che richiede un knowhow specifico, ma indispensabile per vendere direttamente al consumatore.
Oppure si può optare per la vendita diretta attraverso mercatini agricoli o chiedendo spazio ad esercenti locali che, inevitabilmente, chiederanno una percentuale sulla vendita. O ancora, funzionano bene gli spacci aziendali all'interno dell'azienda agricola, ma solo se oltre al goji si hanno anche altri prodotti da vendere.
Due: diversificare l'offerta
Le bacche di goji si raccolgono ininterrottamente da fine maggio-inizio giugno, fino a settembre inoltrato (dipende dall'areale di coltivazione). 1 ettaro con 4mila piantine produce circa 5-6 tonnellate nel corso di una stagione.
Una parte può sicuramente essere destinata alla vendita del fresco e qui è cruciale avere una rete vendita efficiente. I risultati migliori si sono avuti con l'ecommerce e con negozi fisici all'interno delle aziende agricole, oppure appoggiandosi a soggetti terzi (piccoli negozianti nei paesi vicini, niente Gdo).
Ovviamente, come detto prima, il grosso del lavoro non è produrre il goji, bensì venderlo al consumatore finale. Ma l'impresa non è impossibile. Anzi, c'è anche un produttore che durante l'estate spedisce via aerea il suo goji fresco fino ad Hong Kong.
Il problema del fresco è che, a fronte di un prezzo unitario elevato (50-60 euro al chilo), ha una shelf life ridotta, massimo dieci, dodici giorni. Ecco allora che quando ci sono picchi di raccolta è indispensabile procedere alla produzione di trasformati (utili anche per assorbire il non vendibile al fresco). Parliamo di succhi, puree, confetture, salse, fino ad arrivare al prodotto essiccato.
I trasformati hanno il grande pregio di poter essere immagazzinati per lungo periodo e di essere spediti con facilità ovunque nel mondo. Di contro, hanno dei costi di produzione elevati e, ancora una volta, necessitano di attività specifiche di marketing per essere venduti al consumatore finale.
Tre: puntare sulle sinergie aziendali
Non è saggio per un agricoltore puntare tutto sul goji. Anzi, dovrebbe essere un'attività collaterale per diversificare le fonti di reddito. Ma se non si vogliono disperdere le energie è bene puntare sulle sinergie aziendali. Abbiamo visto che di solito nei casi di successo il goji si inserisce in maniera naturale nelle attività che già l'azienda agricola porta avanti.
Se ad esempio si producono marmellate con la frutta prodotta in azienda, il goji rappresenta una ulteriore fonte di diversificazione, senza che si debba investire in attrezzature e knowhow. Oppure se già si fa vendita online di frutta fresca, il goji diventa semplicemente una nuova referenza. Lo stesso vale per quelle aziende che partecipano già ai mercatini locali o hanno accordi con piccoli esercenti.
Insomma, è improbabile che una azienda che fa mais o grano possa lanciarsi nel business del goji con successo, a meno di non investire elevate quantità di tempo e denaro.
Quattro: puntare su qualità e made in Italy
Alla coltivazione del goji avevamo dedicato un articolo specifico. Qui ci limitiamo a ricordare che l'unica specie coltivata è il Lycium barbarum, oggi trovabile in moltissimi vivai. Ma in Italia non ci sono ancora delle varietà commerciali adattate alle condizioni pedoclimatiche dei nostri ambienti.
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L'ideale è dunque chiedere del materiale ad aziende agricole nella propria zona che già producono con successo goji, oppure acquistare piante da diversi vivaisti e testarle in campo, selezionando quelle che offrono le migliori performance di crescita e produzione.
L'obiettivo deve essere quello di puntare su un prodotto di qualità, 100% made in Italy. Proprio l'origine italiana, la genuinità e la freschezza sono le leve di marketing che bisogna utilizzare per convincere il consumatore finale all'acquisto.