Vedremo se potrà aiutare in termini di immagine, perché ora il biologico ha un testimonial di antica data e di nuovo ruolo da spendere: Sua Maestà il Re Carlo III, dall'8 settembre scorso alla guida del Regno Unito dopo la scomparsa di Elisabetta II. L'ex principe del Galles è sempre stato un ambientalista e un sostenitore delle produzioni "organic" ben prima che diventassero trendy.

 

Prendiamo il tema con iniziale leggerezza, benché le riflessioni per il settore meritino la giusta consapevolezza che nel tempo il ruolo del biologico e il modello di agricoltura bio si siano evoluti, tanto che l'Unione Europea ha istituito una Giornata ufficiale, il 23 settembre di ogni anno. Oggi l'attenzione dell'Ue e dei 27 Stati membri, nei quali non è più annoverata la Gran Bretagna di Re Carlo III, è nei confronti del settore e ci auguriamo che le celebrazioni si trasformino nell'occasione per dare notizie sul comparto (siamo pur sempre una testata giornalistica) e invitino il mondo agricolo, i trasformatori, gli enti di certificazione, i consumatori stessi e le istituzioni a trovare il modo per rilanciare le produzioni e i consumi, in una fase in cui i maggiori costi di produzione, le minori rese in campo, le difficoltà derivate da un'inflazione galoppante e forse anche una scarsa consapevolezza del fenomeno bio nel suo insieme, rischiano di rallentare un modello di agricoltura più verde. Che poi, a ben vedere, è ciò che si aspettano tutti: un minore impatto ambientale e una riduzione delle emissioni sono obiettivi che dovrebbero riguardare l'agricoltura nel suo insieme, senza distinzione fra bio e convenzionale.

 

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Con il biologico la Commissione Europea si è impegnata notevolmente. Ben prima dell'istituzione di una Giornata commemorativa, con gli obiettivi del Green Deal è stata alzata l'asticella su livelli particolarmente ambiziosi, per raggiungere entro il 2030 il 25% della Superficie Agricola Utile (Sau) in regime bio.
L'Italia non è posizionata così male, tenuto conto che gli ultimi dati fotografano uno scenario composto da quasi 2,2 milioni di ettari bio, con la prospettiva di sfiorare i 3 milioni di ettari nel 2030 e avvicinarsi al target fissato da Bruxelles (oggi siamo al 17%).

 

I fondi a disposizione

Per raggiungere l'obiettivo nella Riforma della Pac 2023-2027 saranno messi a disposizione 2,164 miliardi di euro, con un incremento di 720 milioni nei prossimi quattro anni. Se ben gestiti, saranno un aiuto supplementare utile allo sviluppo di filiere italiane di qualità, fortemente connesse con il territorio, le comunità e i distretti rurali.

 

Accanto alla dote della Pac il biologico potrà contare su circa 300 milioni di euro stanziati nell'ambito del Pnrr al Fondo per l'Agricoltura Biologica (5 milioni l'anno), al Fondo per la Ricerca e al Fondo per il Biologico nelle Mense.

 

I consumi

L'Osservatorio di Nomisma ha messo in luce anche una ripartenza dei consumi fuori casa (+53%), exploit che contribuisce a proiettare a 5 miliardi di euro il mercato interno, con valore all'export pari a 3,37 miliardi di euro (pari al 6% dell'intero export agroalimentare made in Italy e all'8% per il vino e con un incremento del trade del 16% nell'ultimo anno).

 

Ciò significa che il biologico si lega inscindibilmente alle produzioni a più alto valore aggiunto (frutta, lattiero caseario, orticole, vino, olio) e che è percepito a livello di immagine come più sano, più green, più sostenibile.

 

Amico del chilometro zero così come della grande distribuzione, della ristorazione o del discount (con una crescita nell'ultimo anno del 14%), il biologico è effettivamente trasversale e, paradossalmente, indietreggia nelle vendite nei negozi specializzati, che furono il primo canale della fase pionieristica.

L'apertura felice alla grande distribuzione in parte democraticizza i consumi, ampliando la platea dei consumatori, se è vero che - come rileva Nomisma - nell'ultimo anno l'89% delle famiglie italiane ha acquistato almeno un prodotto biologico.

 

È bene tuttavia chiedersi quale sarà il mercato del biologico nel prossimo futuro e quali dovranno essere le condizioni ottimali per facilitarne una ulteriore diffusione. Le stime avanzate dal dettagliato e attento Rapporto Coop 2022, all'interno del quale per il bio è previsto un calo delle vendite del 7%.

 

Idee, appunti, azioni per il futuro

Saranno utili azioni, programmi e idee per difendere un comparto vitale dell'agricoltura e dell'agroalimentare.

 

Innanzitutto, una trasparenza delle filiere, che si ottiene partendo da catene di approvvigionamento più efficienti, maggiore dialogo fra gli attori coinvolti, ma anche una sburocratizzazione del settore che deve poter ridurre i tempi e i costi per ottenere la certificazione. Un chiarimento: quando parliamo di tempi più veloci non ci riferiamo ai tempi di conversione, che sono standardizzati per legge, ma ci riferiamo a tutti i passaggi burocratici e alle lentezze della macchina operativa e certificativa.

 

Un passaggio verso la semplificazione riguarda la possibilità della certificazione collettiva, da perseguire unitamente a un altro fattore in grado di aggregare le filiere: i distretti, che allo stesso tempo uniscono i produttori, i trasformatori, ma mettono d'accordo e promuovono un territorio, un'area specifica, agevolando o rafforzando specifiche identità, che aiutano i consumatori nelle scelte.

 

Essenziale anche un altro fattore: la formazione. Non ci si inventa produttori di biologico. Serve competenza, alla luce delle maggiori difficoltà di produrre in modo sano senza presidi chimici. Inutile nascondersi, è più complesso per alcuni aspetti produrre in regime di biologico, in parte anche per contrastare quei cambiamenti climatici che, fra i propri effetti, annoverano il rischio più alto di essere esposti a malattie di varia natura.

 

Allo stesso tempo, ricerca e sviluppo dovranno operare per completare un salto di qualità assolutamente richiesto per migliorare la qualità delle produzioni, la resistenza delle piante, la resilienza a fronte - come detto - dei cambiamenti climatici, la tutela della biodiversità, ma anche per scoprire nuovi formulati idonei alle colture biologiche, garantire il benessere degli animali e, in un'ottica di filiera, adottare soluzioni legate al packaging (i consumatori lo vogliono leggero, sostenibile, a basso impatto ambientale) e all'efficienza, anche in chiave di trasporti e logistica. Un'adeguata crescita dei distretti e della cooperazione potrebbe aiutare il settore e sostenere i consumi.

 

Crediamo che la crescita del biologico passi soprattutto dalle azioni qui sopra elencate, a partire dall'agricoltura di precisione e dai sistemi di agricoltura digitale, strumenti in grado di migliorare l'efficienza, insieme a genomica e fitoiatria.

Guai a chi pensa che il bio sia una pratica hobbistica o, peggio, dilettantistica. I numeri, le storie, la forza del settore e l'appeal che esercita sui consumatori ci racconta tutt'altro ed è, in verità, la sublimazione del ruolo degli agricoltori come produttori e custodi della terra e delle buone pratiche, senza per questo nulla togliere a chi è rimasto ancorato a diversi modelli di agricoltura.

 

Il settore deve trovare un nuovo equilibrio che metta insieme produttività, competitività delle imprese, maggior valore aggiunto delle produzioni, incremento della shelf life per contribuire a ridurre gli sprechi, transizione ecologica e riduzione delle emissioni, senza dimenticare gli aspetti etici della produzione, contribuendo alla lotta alla disuguaglianza. Solo così si ha un settore in salute e con prospettive di crescita, per chi produce e per chi consuma.