Il mercato dell'olio extravergine di olive langue: i prezzi all'origine - secondo Ismea - sono più bassi di un anno fa con percentuali a due cifre da settimane. D'altro canto la produzione della campagna 2021-2022, nonostante una certa ripresa, conferma l'indebolimento della produzione italiana su base storica. Il dato sul livello dei prezzi è ancora più allarmante se visto da Sud e se si considerano le giacenze, atteso che restano più basse di un anno fa, stando agli ultimi report redatti dall'Ispettorato Centrale per la Qualità e la Repressione Frodi del Mipaaf.

Sulle strategie possibili per rianimare il mercato dell'olio - fuori da operazioni estemporanee e dagli effetti transitori - per tendere una mano decisa ai produttori olivicoli, che soffrono anche di una serie di problemi strutturali, specie al Sud, dove si concentra il grosso della produzione di olive da olio, AgroNotizie ha sentito Teresa Del Giudice, docente di Politica Agraria al Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi Federico II di Napoli e responsabile scientifico del Progetto Box Narrante.

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Il ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli ha recentemente emanato il Decreto che regolamenta - anche per gli oli di oliva Dop e Igp - lo strumento del pegno rotativo, che ha già dato una buona prova di sé prima con il Pecorino Romano e più di recente nel settore vino, proprio nel quadro delle misure previste dal Decreto Cura Italia. Crede che questa misura possa essere una delle soluzioni per gli oli di oliva?

"Sicuramente questa misura creditizia in favore dei produttori di oli extravergini di qualità - Dop e Igp - può essere una spinta verso l'innovazione e la valorizzazione di queste produzioni, specie in contesti come quello della Campania, dove a fronte di oli di altissimo profilo qualitativo troviamo spesso una struttura di filiera molto poco organizzata, che ha sicuramente bisogno di diventare più forte. La misura del pegno rotativo favorisce non solo un prodotto qualitativamente più elevato, ma una filiera specifica dove il tasso di aggregazione è maggiore. Inoltre, per le regole che richiede lo strumento creditizio potrebbe rappresentare anche una spinta ad una maggiore tracciabilità del prodotto. In tale evoluzione culturale, gli oli certificati Dop e Igp presentano una struttura di filiera che già prevede un approccio diverso all'aggregazione con la presenza dei comitati promotori, poi dei consorzi di tutela, e magari anche di organizzazione di produttori".

"Tutto questo è importante: perché se si premia la qualità si può trasferire valore lungo la filiera verso gli olivicoltori, i quali oggi - con una redditività ridotta all'osso e una frammentazione della proprietà fondiaria eccessiva - addirittura sono poco presenti quali beneficiari del premio accoppiato della Pac rivolto all'olio di oliva. Nei dati relativi pensi che in Campania le domande assommano a poche centinaia di ettari. In dettaglio, nel periodo 2018-2020, l'accoppiato olio totale (Misura 15,16 è 17 del sostegno accoppiato Ndr) relativo alla Campania pesava, in termini di valore, lo 0,1% dell'accoppiato olio Italia (Agea-Mipaaf, 2021 Ndr). Anche in questo caso va sottolineato, sulla base delle osservazioni precedenti, che gli oli Dop hanno realizzato un risultato migliore dell'olio non certificato".

Produzioni di Oli Dop e Igp hanno già una funzione aggregante propria, come possono avere in tale contesto appena descritto la funzione ulteriore di favorire l'emersione di aziende olivicole più strutturate?

"La valorizzazione del prodotto può e deve accompagnarsi anche ad altre politiche che possano favorire il subentro dei giovani a capo delle aziende e un ampliamento delle dimensioni aziendali, ricorrendo all'affitto della terra: in questo modo è possibile pervenire, partendo dall'esistente, fatto di aziende frammentate al limite della polverizzazione, ad una strategia di sostanziale ricomposizione fondiaria in capo ad imprenditori giovani e innovatori. Ovviamente dietro questa operazione deve esserci un obiettivo certo per il neoimprenditore, quello di poter creare valore. E su tanto posso dire che abbiamo studi che dimostrano come a livello Italia la presenza in una stessa Regione di oli Dop e di un olio Igp faccia sì che i primi abbiano un prezzo mediamente più alto rispetto a quelle Dop riferite ad aree in cui non è presente una Igp regionale. Le due certificazioni di origine identificano, infatti, non beni fra loro competitivi ma oli percepiti dal consumatore come prodotti diversi nel segmento di qualità: l'Igp fa da richiamo territoriale e di fatto incentiva l'acquisto delle Dop dello stesso territorio".


Restando in Campania - dove l'istruttoria per l'olio evo Campania Igp in questi giorni è all'esame di Bruxelles - quali effetti potrebbe dispiegare sulla filiera olivicolo olearia regionale?

"La Campania da questo punto di vista è un laboratorio ideale, perché ci sono tutti gli aspetti considerati: Dop di grande prestigio come Costa d'Amalfi, Penisola Sorrentina, Colline Salernitane, Cilento, e l'Olio Igp Campania, che potrebbe presto avere una funzione importantissima, proprio perché ci troviamo di fronte ad una regione con una superficie olivetata  di circa 70mila ettari, diffusissima, gestita in zone difficili, lungo le fasce collinari, dove l'olivo è cultura, ma anche paesaggio, cultura e costruttore di territorio, in zone dove l'invecchiamento degli olivicoltori obbliga a politiche di avvicendamento generazionale".

"In questo quadro frammentato, l'Igp potrebbe svolgere un ruolo aggregativo fondamentale, implementando le politiche per favorire l'impresa dei giovani olivicoltori nelle zone interne, innovatori, capaci di utilizzare le più moderne tecnologie digitali, la sensoristica, l'agricoltura di precisione insomma. Tenga presente che in futuro, con il cambiamento climatico, l'olivo potrebbe essere una coltura destinata a scendere in pianura, dove soffrirà di meno l'attacco della mosca olearia e adattarsi meglio di altre produzioni. L'olivicoltura intanto oggi serve a mantenere la collina in uno stato di produzione agricola viva, senza interventi avremmo l'abbandono, con tutte le difficoltà di riutilizzo dei suoli in futuro per altre colture".


Ha detto che oli Dop e Igp non si fanno concorrenza, che sono beni percepiti come complementari dai consumatori: ma è sempre così?

"Nel progetto Box Narrante realizzato dall'Università Federico II con il finanziamento del Psr Campania (sottomisura 16.1 azione 2 - Programma di Sviluppo Rurale - Regione Campania 2014-2020 Ndr), abbiamo creato una confezione innovativa per tre tipologie di olio extravergine con l'obiettivo di informare il consumatore, ma soprattutto di segmentare gli usi del prodotto. Abbiamo identificato tre diversi oli e li abbiamo differenziati sulla base delle caratteristiche salutistiche e sensoriali e del relativo possibile utilizzo in cucina".

"Un extravergine di produzione locale, ma senza marchio di qualità è ottimo per piatti cotti, si può usare tutti i giorni ed ha un costo contenuto. Un olio Igp con più spiccata personalità può entrare in cucina per preparazioni di maggiore pregio, nel pranzo della domenica per intenderci, mentre sui crudi si può scegliere tra gli oli Dop, che da soli possono determinare il diverso gusto di un'insalata. Utilizzare l'aspetto salutistico in associazione a quello sensoriale permetterà anche di legare elementi del gusto quale il piccante o l'amaro dell'olio al relativo contenuto di polifenoli. Questo permetterà una scelta di acquisto e consumo più consapevole. Inoltre, ad un costo medio per litro non eccessivo, si offre una gamma di prodotti di qualità che dovrebbe ampliare i consumi di oli Igp e Dop".

"La sfida dei prossimi anni sarà questa: segmentare non i consumi, ma gli usi degli oli di qualità all'interno di una singola unità familiare, perché comprare tre oli e diversificarne l'uso conviene al consumatore e tiene viva la filiera produttiva: dal campo alla tavola".