I numeri dell'anno appena trascorso permettono solo una moderata soddisfazione. A una ripresa dei consumi sul mercato interno, confermata dalla positiva chiusura natalizia, fa da contraltare un trend del mercato internazionale dove l'Italia non sempre gioca da primattore, ma in qualche caso da comprimario, in particolar modo sui vini fermi.
Il 2019 inizia con le incertezze non rassicuranti legate alla Brexit, al rallentamento dell'economia cinese e alle dispute commerciali in atto tra Pechino e Washington. Negli Usa, poi, lo shutdown sta iniziando a creare i primi problemi amministrativi, avendo bloccato le attività del Ttb, Alcohol and tobacco tax and trade bureau, con ripercussioni che, probabilmente, non tarderanno a riverberarsi sul settore. Un settore che, dopo le altalenanti vicissitudini della vendemmia 2018, con sensibili riduzioni dei prezzi all'origine e tentativi speculativi messi in atto da più parti, necessita di ritrovare coesione e unità d'intenti.
Negli ultimi dieci anni, la geografia mondiale del vino è profondamente cambiata: l'Unione europea oggi ha ridotto il suo peso sul totale commercio dal 70% al 57%, mentre il continente asiatico ha guadagnato 13 punti percentuali, attestandosi oggi al 20%. La Cina da sola conta oggi per il 10% sul totale degli scambi mondiali di vino confezionato, a tre punti dagli Usa, ed è un mercato sui cui si è accesa una fortissima competizione: basti pensare che tra i primi 11 paesi produttori di vino, ben sette hanno Pechino tra le prime cinque destinazioni, mentre solo dieci anni fa erano solo un paio. Per l'Italia purtroppo la Cina è, e resta, una destinazione marginale, anche se il grande lavoro fatto dal tavolo congiunto Mise-Ice-Uiv sta cominciando a dare i primi frutti.
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Fonte: Corriere Vinicolo