La Francia si sta candidando ad essere la prima vera Startup Nation europea, uno Stato cioè dove fare impresa è semplice, dove i nuovi imprenditori vengono incoraggiati e dove tutto l'ecosistema nazionale, dal governo alle banche, assiste chi vuole fare innovazione. Con l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea molti investitori e grandi aziende stanno attraversando la Manica per approdare sul continente in modo da rimanere all'interno del mercato unico europeo. E se Berlino sta attirando banche e assicurazioni, Parigi punta sul mondo dell'innovazione.

"Il presidente Macron ha un progetto ben preciso che sta perseguendo in maniera concreta: trasformare la Francia in una Startup Nation", spiega ad AgroNotizie Niccolò Manzoni, uno dei fondatori di Five seasons ventures, un fondo di venture capital con sede a Bologna e Parigi che ha come obiettivo quello di investire in startup e aziende innovative attive nell'AgTech e FoodTech. Fondo che ha debuttato durante il World Agri-Tech Innovation Summit che si è tenuto a San Francisco e di cui AgroNotizie è partner.

"A livello generale per aiutare l'ecosistema delle startup servono tre cose: rendere la protezione della proprietà intellettuale semplice, snellire la burocrazia e garantire l'accesso al capitale". E Macron sta facendo tutto questo, ad esempio mettendo dieci miliardi di euro in Bpifrance (Banque publique d'investissement francaise), il fondo di investimento che Parigi ha creato per supportare il tessuto imprenditoriale nazionale.
 
Ivan Farneti (a sinsitra) e Niccolò Manzoni (a destra)
Ivan Farneti (a sinsitra) e Niccolò Manzoni (a destra)
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Fonte foto: Five seasons ventures)

Israele è per definizione la Startup Nation a cui tutti guardano. Un piccolo Stato, senza risorse naturali e in un perenne stato di guerra, che però è in grado di sfornare startup vincenti ad un ritmo superiore a qualunque altro paese. Oggi lo sviluppo di nuove tecnologie, dall'agricoltura all'industria, rappresenta il 13% del Pil e assorbe l'8% della forza lavoro. In una nazione con appena 8 milioni di cittadini ogni anno aprono 1.400 startup. La collaborazione tra pubblico, privato e mondo della ricerca è uno dei punti di forza del paese. Così come la propensione all'internazionalizzazione.

"La startup ha sempre a che fare con un ecosistema ostile, ma la politica può fare molto per mitigare questa condizione", spiega Ivan Farneti, il secondo fondatore di Fsv, da venti anni attivo nel mondo del venture capital. "Certo anche i nostri imprenditori dovrebbero fare autocritica, lavorare di più sulle lingue e sulla capacità di presentare i propri progetti in maniera chiara agli investitori, che di un business plan valutano alcuni punti chiave".

Negli Stati Uniti trovare investitori è molto più semplice che in Italia. I grandi fondi di investimento, come quelli pensione, hanno una diversa propensione al rischio. Esistono poi società di gestione del risparmio che sono focalizzate solo sul settore agroalimentare. Ecco perché a partecipare in Five seasons ventures sono stati soprattutto fondi nazionali, come Bpifrance e Fondo italiano d'investimento, oltre all'Unione europea attraverso Horizon 2020 Financial instruments. Della partita è anche Nestlé, la più grande multinazionale alimentare del pianeta.

Per le startup AgTech e FoodTech nate in Italia le possibilità di crescere non sono molte. Incubatori e acceleratori verticali sono pochi (Startupbootcamp FoodTech, BeeCoFarm e Ptp) e l'unico fondo corporate è quello di Barilla, Blu1877, anche se tutte le grandi aziende hanno una funzione di open innovation. Five seasons ventures è l'unico fondo di venture capital italiano dedicato al mondo dell'agroalimentare.

"Fino ad oggi abbiamo analizzato circa 150 startup e con due di esse siamo vicini a chiudere un accordo", spiega Farneti. "Siamo alla costante ricerca di realtà innovative che abbiano già sviluppato una tecnologia o un prototipo. L'ideale è che abbiano anche qualche cliente, che per noi è segno di una maturità anche sul lato business". A far guadagnare punti poi sono la grandezza del mercato in cui la startup opera e l'appetibilità per le grandi aziende.

Niente seed capital (i soldi dati per sviluppare una idea), ma solo Series A. Il fondo entra con una quota di minoranza all'interno della startup a cui fornisce il capitale (2-3 milioni), ma soprattutto una rete di relazioni con tutti gli stakeholder del settore. Oltre ai due fondatori, del team fanno parte Giancarlo Addario, per quasi dieci anni open innovation manager di Barilla, oggi basato a Bologna. E Marco Iotti, ex open innovation strategist e project manager di Nestlé. E poi Rob Wylie, ex Shell Agrichem, con una lunga esperienza in investimenti agro-food.

Five seasons ventures guarda sopratutto alle startup in grado di contribuire alle sfide del millennio: produrre più cibo, di migliore qualità, in maniera sostenibile. Miglioramento genetico dunque, ma anche agricoltura di precisione, robotica e indoor farming. C'è poi il tema della riduzione degli sprechi (food waste) lungo la filiera. Il tema della trasparenza e della tracciabilità, con la tecnologia blockchain che oggi attira molte attenzioni. E poi un focus particolare sulle proteine alternative, i nuovi ingredienti, soprattutto se alternativi a quelli poco salutari (come grassi animali, zucchero o sale) e le diete personalizzate sulla base di analisi di metabolismo, Dna e microbioma.

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